Nacque a Belluno (Borgo Piave, sulla riva destra del fiume) il 22 marzo 1830, primo di sette figli, da Pasquale, insegnante di matematica in quella città, e Maddalena (Elena) Varola. Di antica famiglia pordenonese (attestata la loro presenza dalla seconda metà del Cinquecento), trascorse parte dell’adolescenza nell’avita casa di Roraipiccolo (attuale frazione di Porcia) che lo stesso G. dovette porre all’incanto nel 1857 per ripianare i debiti contratti dallo zio Giovanni, unitosi in matrimonio con Antonia, rampolla della nobile famiglia Montereale (nonna paterna era invece una contessa Gozzi, Angela, nipote dei letterati Gaspare e Carlo). Nelle sue memorie, pubblicate postume, precisò che il padre volle attribuirgli il nome Aristide «per un grande amore ch’egli portò sempre verso l’equanimità e giustizia», verosimilmente riferendosi all’omonimo politico ateniese passato alla storia, secondo Plutarco, come “il giusto”. Frequentato il ginnasio in san Procolo a Venezia (dove nel frattempo la famiglia si era trasferita) tra 1842 e 1846, passò quindi al liceo, interrotto al secondo anno per i moti del ’48: iscrittosi alla guardia nazionale, influenzato anche dal sentimento antiaustriaco del padre, dovette dopo pochi mesi abbandonare la divisa per motivi di salute, riparando convalescente presso le zie a Roraipiccolo. Caduta la Repubblica di San Marco, G. si iscrisse a Giurisprudenza presso l’Università di Padova, seguendo però i corsi privatamente a Venezia, stante la chiusura dell’ateneo decretata dall’I.R. Governo militare e l’interdizione ai non residenti – limitatamente alle facoltà politico/legali – anche dopo la riapertura nel 1851: conseguì nel 1853 l’“assolutorio legale” ma non la laurea, «mancandogli i mezzi per pagare la tassa». Dopo un breve periodo di praticantato (l’avvocatura non era nelle sue corde) vinse nel 1854 uno dei posti per un corso di perfezionamento a Vienna: qui trascorse tre anni, allietato dalla compagnia degli amici Emilio Teza e Ferdinando Porcia, nei quali approfondì gli studi storico-filosofici su classici autori protestanti, maturando una più ampia e moderna visione della situazione sociale e politica a lui contemporanea. ... leggi All’ultimo periodo viennese risalgono le sue prime produzioni da pubblicista: sei articoli apparsi in «Rivista veneta» settimanale che ebbe una breve vita, da aprile a novembre 1856, cui collaborarono, tra molti, anche Pacifico Valussi e Ippolito Nievo. Rientrato a Venezia nel 1857 si iscrisse come praticante presso il tribunale provinciale e iniziò la collaborazione a «L’Eco dei Tribunali» periodico veneziano fondato nel 1850 dove scriverà anche il fratello Andrea, in tema di abolizione della pena di morte. Chiamato alle armi nel 1859, per non prestare il servizio militare nell’esercito austriaco, si trasferì prima a Firenze, poi a Torino e infine, liberata dopo la seconda guerra d’indipendenza, a Milano, dove lavorò dapprima per la «Gazzetta dei tribunali» fondando poi nel 1860, proprio dalle ceneri della Gazzetta, il «Monitore dei tribunali» che diresse fino al 1869; a Milano inoltre, ottenuta la cittadinanza del Regno d’Italia il 13 giugno 1861, nel novembre di quell’anno fu chiamato a dirigere un istituto tecnico, passando nel luglio 1865 alla carica di rettore del convitto nazionale Longone, che mantenne per quattro anni. In questo ambito i suoi interessi cominciarono a rivolgersi verso i problemi della scuola e dell’educazione, come testimoniano le prime riflessioni pedagogiche apparse su «Il Politecnico» di Cattaneo (Sulla corrispondenza della educazione colla civiltà moderna, febbraio 1866; L’istruzione elementare nel Regno d’Italia in paragone cogli altri Stati, dicembre 1867: i principali fra questi interventi sparsi verranno ripubblicati nel 1923 da Ernesto Codignola in una raccolta intitolata L’educazione nazionale) sviluppate poi, nel 1869, in un testo più ampio e filosofico, rielaborazione dell’utilitarismo di John Stuart Mill, L’uomo e le scienze morali, considerato una delle punte del positivismo italiano. A quest’anno risale anche il suo primo incarico governativo, chiamato nella neocapitale Firenze a ricoprire le cariche di provveditore centrale dell’Istruzione primaria e popolare e segretario della commissione per l’istruzione obbligatoria. A seguito della breccia di Porta Pia, fu inviato a Roma per valutare la situazione scolastica della città ed attuarvi l’estensione della legislazione del Regno in materia. Nominato nel marzo 1871 provveditore provinciale di Milano, G. rimase comunque a Roma, comandato presso l’amministrazione centrale: di questa città divenne poi, il 5 gennaio 1874, provveditore agli studi, carica che mantenne fino al 3 aprile 1882, allorquando, su propria richiesta motivata dalle precarie condizioni di salute (un leitmotiv della sua intera esistenza) fu collocato a riposo dal ministro Guido Baccelli che pur lo avrebbe voluto promuovere direttore capo divisione per l’istruzione primaria e popolare. Non mancarono comunque ulteriori impegni, come, ad esempio, il rinnovo della nomina nel 20 aprile successivo (a fianco, tra gli altri, di Crispi e Casorati) a membro della Commissione ministeriale «pel riordinamento della statistica giudiziaria», incarico che andava a sommarsi ad innumerevoli altri svolti nel periodo romano (per citarne alcuni: 1872, membro permanente della Commissione centrale di statistica; 1873, consultore legale per il ministero della Pubblica Istruzione; 1875 commissario per il riordinamento delle scuole elementari; 1878, relatore sulle condizioni dell’istruzione pubblica in Italia; 1881, membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione; commissario inoltre in molti concorsi a cattedra, divenne poi egli stesso, nel 1886, professore incaricato di pedagogia nel Regio Istituto superiore di magistero, istituito a Roma quattro anni prima). Parallelamente, G. aveva proseguito l’intensa attività pubblicistica, soprattutto su questioni di pedagogia, ma anche di diritto e statistica (annotando in privato uno zibaldone di pensieri, che avrebbe pubblicato poi nel 1886). Nel 1880 presentò una relazione all’XI congresso pedagogico di Roma, edita lo stesso anno ne Il metodo d’insegnamento nelle scuole elementari d’Italia, pubblicazione ristampata innumerevoli volte fino al 1948 (l’ed. Paravia 1923 riporta sul frontespizio la dicitura «consigliata dal Ministero della Pubblica Istruzione»): vi si sostiene la necessità di adeguare i programmi scolastici a quelli delle nazioni europee avanzate, di sfuggire lo sterile nozionismo e porsi piuttosto l’obiettivo di insegnare ai bambini il ragionamento e l’applicazione pratica di quanto appreso: «Il maestro deve tener presente che la scuola ha da servire a tre fini, a dar vigore al corpo, penetrazione all’intelligenza e rettitudine all’animo». Le elezioni politiche del 23 maggio 1886 lo videro secondo (con 3785 voti) dopo il conte Angelo Papadopoli (3910) fra gli eletti al Parlamento nel secondo collegio di Venezia (Dolo), riconfermato poi a quelle del 23 novembre 1890. G. era d’altronde già stato coinvolto nell’attività legislativa, contribuendo nel 1883 alla revisione del progetto di legge per la riforma degli asili: in qualità di deputato (corrente liberaldemocratica) poté apportare un contributo maggiore – improntato a un progressismo moderato – in varie Commissioni, specialmente quella per il riordinamento dell’istruzione elementare (maggio 1887-gennaio 1888) di cui fu relatore e principale ispiratore dei nuovi programmi. Fu membro dell’Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti dal 7 febbraio 1889, socio dell’Accademia dei Lincei dal 9 febbraio 1890 e dell’Accademia di Padova dal 18 maggio 1891. A Padova, il 7 ottobre 1891 un tumore al palato, manifestatosi alcuni mesi addietro, lo tolse dal numero dei vivi. Tra gli innumerevoli plessi scolastici che in tutta Italia recano il suo nome, anche la “storica” scuola primaria di Pordenone progettata da Augusto Mior, che modificò l’intitolazione da “Vittorio Emanuele III” in applicazione dell’ordine emanato dal Ministero dell’Educazione Nazionale, successivo all’Armistizio di Cassibile e alla cosiddetta “fuga del re”, volto alla soppressione di «tutte le intitolazioni a membri viventi della ex famiglia reale di scuole elementari e materne» nei territori della RSI.
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