Nacque a Monastetto di Tricesimo (Udine) il 24 giugno 1812 da Tommaso e Lucia, in una casa di contadini. Nonostante alcuni disturbi di salute, la sua vivace intelligenza indusse la famiglia ad avviarlo agli studi presso il Seminario di Udine, dove ottenne risultati eccellenti e manifestò una buona propensione per le lingue moderne e antiche, al punto che per volontà del vescovo, mons. Lodi, venne invitato a studiare anche l’ebraico. Nel 1835 il giovane fu ordinato presbitero e mandato quale cooperatore domestico presso il pievano di Tarcento. Dal 1838 ebbe l’incarico di vicario delle cinque “Ville Schiave” dipendenti dalla pieve di Tarcento; a differenza dei suoi predecessori, fu tenuto a risiedere a Ciseriis, ma nel 1840 rinunciò al posto e nel novembre di quell’anno venne nominato parroco di Vendoglio. La marginalità della nuova destinazione non allontanò G. dai dibattiti contemporanei: fra le carte conservate nella parrocchia si trovano annotazioni sui principali capi d’accusa dei liberali nei confronti della Chiesa e del papa, riflessioni sul «paganesimo socialista» e sull’anticlericalismo, sonetti sottilmente umoristici sul rapporto tra Chiesa e Stato composti negli anni della “questione romana”, sebbene le discussioni e i timori dovuti al cedimento della religiosità tradizionale o alla divulgazione filosofica e scientifica di ispirazione positivista affiorino raramente negli scritti che il sacerdote riservò alla pubblicazione. Nell’ultima fase della vita G. avrebbe collaborato anche con «Il Cittadino italiano», il giornale fondato nel 1878 dai cattolici udinesi, ma i quarant’anni da lui trascorsi a Vendoglio fino al 17 gennaio 1881, data della morte, sembrano essere scanditi soltanto dalla pubblicazione delle poesie religiose e dalla stesura dei discorsi e dei versi composti nelle più diverse occasioni: negli ingressi dei parroci, nelle cerimonie funebri, negli anniversari, nelle inaugurazioni… Negli ultimi anni l’anziano parroco era coadiuvato da don Antonio Bazzara, che sarebbe stato suo successore e che ne avrebbe conservato gelosamente i manoscritti, senza purtroppo riuscire a impedire che molti autografi andassero dispersi. ... leggi Amato dalla gente del paese, G. veniva spesso invitato a predicare in diverse località del Friuli. In piena adesione alle direttive dei superiori, con i quali mantenne costantemente un buon rapporto, impegnò tutta la propria sollecitudine pastorale in una predicazione vivace, nella catechesi in friulano e nell’approfondimento della teologia, della filosofia e della storia moderna per conciliare le nuove scoperte scientifiche con la fede. In particolare G. ravvisò nella propria passione per la poesia uno strumento per la diffusione del messaggio cristiano fra il popolo: e lo fece tanto collocandosi in una tradizione ormai consolidata, con le traduzioni in prosa o versi friulani delle preghiere (Lis orazions par la matine e la sere, 1874 [Le preghiere per il mattino e la sera]) e dei salmi penitenziali (I siett salms penitenziai o siett orazions par domandà misericordie al Signor fatis dal Re David e daùr la spiegazion del Cardinal Bellar[m]in voltadis in furlan, 1869 [I sette salmi penitenziali o sette preghiere per chiedere misericordia al Signore fatte dal Re Davide e tradotte in friulano secondo la spiegazione del cardinale Bellarmino]), quanto, in modo più ambizioso e meno consueto, con il progetto di volgarizzare gli inni meno conosciuti della tradizione cristiana (in particolare Lis gloriis de Madone ossei lis plui bielis poesiis che dopre la Sante Glesie Catoliche par esaltà la Gran’ Mari di Dio dal latin voltadis in furlan, 1863 [Le glorie della Madonna ossia le più belle poesie che usa la Santa Chiesa Cattolica per esaltare la Gran Madre di Dio tradotte dal latino in friulano]), offrendo prove di singolare fedeltà ed efficacia, come nel caso del Vexilla Regis prodeunt: «Il Misteri de Cros al trionfe: / eco in aiar il sacro standard: / s’un chell len e’ ’j è muarte la vite / par salvà dutt il mond da la muart» [Il mistero della croce trionfa: / ecco in alto il sacro stendardo: su quel legno è morta la vita per salvare tutto il mondo dalla morte]. Le preghiere e le meditazioni per la messa (Canzonetis pai fruzz de Sante Infanzie, 1861 [Canzonette per i bambini della Santa Infanzia]; Il furlan a messe, 1862 [Il friulano a messa]) e la Via Crucis (La Via-Crucis in furlan, 1863 [La Via Crucis in friulano]), i sonetti sulle litanie (Lis letaniis de Madone in trenteun sonet pal mes di mai, 1879 [Le litanie della Madonna in trentuno sonetti per il mese di maggio]), le poesie sulla vita della Madonna e sui fiori del mese mariano (Il mes de Madone, 1874 [Il mese della Madonna]) completano il quadro della copiosa produzione religiosa del sacerdote, e sempre all’insegna della cantabilità, della varietà metrica, di un’indole intimista garantita anche dall’(ab)uso dei diminutivi: «Graziose tarzetine, / se jò vess il puar miò cur / come tu inocent e pur / senze une macule: // di che’ Mari cussì buine / ’o voress butami ai pis / e sta lì dug i miei dis / a chiantai gloriis» [Grazioso piccolo narciso, se avessi il povero mio cuore come te innocente e puro, senza una macchia, vorrei gettarmi ai piedi di quella Madre così buona e stare là per tutti i miei giorni a cantarle glorie] (La tarzete [Il narciso]). Ma anche L’otante. Lunariut del Citadin Italian pe’ buine int furlane [L’Ottanta. Lunarietto del Cittadino Italiano per la buona gente friulana] non è esente dal proposito dell’edificazione morale, comune alle tardive poesie nelle quali trae dalle creature animate una lezione di umanità. È verosimile che molti di questi componimenti siano stati preparati dal sacerdote su invito degli amici e per le funzioni nella propria chiesa, per esempio per quelle del mese di maggio; i libri sarebbero invece usciti tardivamente e in forma quasi indipendente. Seppure fedele alla dottrina e disciplinato, G. non era per questo meno incline allo scherzo, come testimonia il sonetto intitolato La carta di don Tita, un componimento, scritto insieme con don Domenico Pancini, che ha per oggetto le meschinità umane del confratello don Miotti. A causa della diffusione di un altro manoscritto, questa volta sulla partenza di don Basilio Benedetti da Colloredo di Monte Albano, G. fu obbligato dalla curia a compiere una settimana di esercizi spirituali. L’amicizia con il conte Pietro di Colloredo Mels gli offrì l’opportunità di conoscere Ippolito Nievo, Arnaldo Fusinato, Caterina Percoto, Francesco Dall’Ongaro. Era inoltre in corrispondenza con il conte Andrea Cittadella Vigodarzere e con Gian Domenico Ciconi. Nella biblioteca del vicino castello di Colloredo leggeva le opere dei poeti religiosi del Seicento e del Settecento: Maggi, Lemene, Ceva; inoltre incontrò i propri modelli romantici in Grossi, Prati, Aleardi, Giusti, Zanella, Manzoni. Si conservano ancora le carte fitte di citazioni dal Paradiso e dal Purgatorio di Dante e dalla Psiche del Prati. È stato Chiurlo ad individuare in queste letture la componente colta della poesia di G.: soprattutto nei confronti di questi autori, infatti, appare debitore di metri e grazie settecentesche e di ispirazione romantica. L’altro fondamentale riferimento nella scrittura del sacerdote è la tradizione friulana, e non soltanto quella religiosa, come dimostra il raffronto fra una sua “giaculatoria” («Une biele Madonine / mi à donade il miò papà: / mi plas tant la so musine / che ogni gnot la uei bussà» [Una bella Madonnina mi ha donato il mio papà: mi piace tanto il suo visino che ogni sera la voglio baciare]) e una quartina di provenienza popolare raccolta dall’amico Pietro di Colloredo Mels: «Mi plàs tant chell biell moreto / che jò plui no sai ce fa: / vuei chialà là ch’al chiamine; / là ch’al peschie ’o uei bussà» [Mi piace tanto quel bel moretto che non so più che cosa fare: voglio guardare dove cammina; voglio baciare laddove passa]. Già D’Aronco aveva evidenziato precise corrispondenze tra le villotte e i componimenti di G., ma l’investigazione del suo fecondo laboratorio poetico e la disamina dello straordinario successo dei suoi versi (ben ventisette poesie furono fedelmente tradotte in sloveno dal sacerdote B. Bevk) permettono di riconoscere nell’intera vicenda un esempio efficace di quella dinamica di diffusione e rielaborazione testuale che P. Toschi ha definito processo «ascendente e discendente». Per questo l’indagine sulla fortuna deve concentrarsi non soltanto sui giudizi critici degli studiosi, ma anche sul favore del pubblico. G. Costantini, curatore dell’ampia raccolta del 1900, pur riconoscendo alcuni limiti di queste composizioni, ne apprezzò la singolarità, la specificità e la varietà di argomenti. Chiurlo le colloca nel clima di rinascita della poesia religiosa proprio degli anni che seguirono gli eventi napoleonici: filtrati attraverso l’ispirazione romantica e un nuovo sentimento della natura, ritornano i temi didascalici del Settecento e forme ormai desuete, che si traducono in versi dal sapore sovente lezioso e ingenuo; alla «spontaneità popolaresca», alla «dignitosa sobrietà» e alla «sostenuta nobiltà» manzoniane viene contrapposto «quel vezzo diminutivo-vezzeggiativo» che soffoca la poesia. È invece positivo il giudizio sulle traduzioni, in particolare quelle dei salmi penitenziali: esse «rivaleggiano sempre in immediatezza, ricchezza melodica, popolarità sobria, spesso in aderenza al testo e in forza espressiva, con le migliori traduzioni italiane e straniere». I giudizi successivi poggiano in gran parte su quello di Chiurlo. Soltanto D’Aronco adotta criteri di analisi diversi: dopo aver constatato come la poesia di G. sia apparsa spesso, nonostante il fine morale, «brillante e piacevole, specie per il gusto popolare», egli indaga il problema assai intricato della rielaborazione, spontanea o riflessa, dei testi, riconoscendo la matrice «galleriana» di alcuni fra i canti popolari raccolti nella provincia di Udine. Gli fanno eco G. Comelli e A. Ciceri, la quale ricorda che «Molti suoi versi erano ripetuti dalla gente, con una circolazione a largo raggio ed in assoluto anonimato, come si trattasse di un prodotto collettivo. A sua volta, assumeva dal popolo testi di preghiere». Veicolo potente di tale circolazione è stata la musica: non soltanto le melodie anonime (che complicano i già ardui problemi del livello testuale), ma anche quelle di compositori come I. Tomadini, L. Garzoni, G. Peresson, A. Bertoni e O. Rosso, che hanno premiato con un recupero di carattere colto e cosciente i brani più suggestivi del sacerdote tricesimano.
ChiudiBibliografia
I manoscritti e le lettere di G.B. Gallerio sono conservati presso l’Archivio parrocchiale di Vendoglio e presso la BCU, Principale, 524, 3643, 4108/3; alcune prediche presso l’Archivio plebanale di Tarcento.
L’edizione più completa dei versi è: Poesie friulane del Sac. G.B. Gallerio raccolte e trascritte da G. Costantini, Udine, Patronato, 1900.
DBF, 376-377; D. PANCINI, Parole sulla vita di Don Giovanni Battista Gallerio parroco di Vendoglio lette in quella chiesa parrocchiale nel trigesimo della sua morte, Udine, Patronato, 1881; Un brindisi del sacerdote Gallerio (inedito). Capo d’anno, «Pagine friulane», 4/6 (1891-1892), 84; Un sonetto inedito di Giovanni Battista Gallerio [La carta di don Tita (Soliloquio)], a cura di G. C. COSTANTINI, ibid., 13/9 (1900-1901), 145; B. CHIURLO, G.B. Galerio e una sua poesia inedita, «Le nuove pagine», 1/2 (1907), 22-25; CHIURLO, Antologia, 63, 324-329; L.N. COMINI, Giov. Battista Gallerio, «La Panarie», 9/50 (1932), 93-96; B. CHIURLO, La poesia di Giovanni Battista Gallerio (1812-1881), «Ce fastu?», 16/1 (1940), 3-29; G. BIASUTTI, Sacerdoti distinti dell’arcidiocesi di Udine defunti dal 1863 al 1884 (episcopato di mons. Casasola), Udine, AGF, 1958, 42-44; G. D’ARONCO, Giovanni Battista Gallerio e la rifioritura di alcune poesie popolari religiose in Friuli, «Studi Goriziani», 26 (1959), 5-35; VIRGILI, La flôr, I, 285-291; G. COMELLI, Tricesimani illustri. ... leggi G. B. Gallerio, in Tresésin, 322-323; D’ARONCO, Nuova antologia, II, 68-73; Puisie furlane di pre’ Tite Galerio, Introduzione di A. Ciceri, Treppo Grande, Associazione G.B. Gallerio, 1987; A. BRUSINI, Pre Tite Galeri, treseman, «Sot la nape», 40/1 (1988), 65-69; G. ZANELLO, Versi di Giovanni Battista Gallerio (con due lettere a Caterina Percoto), «M&R», n.s., 20/1 (2001), 15-45; ID., Giovanni Battista Gallerio (1812-1881). Gli autografi delle poesie e delle prediche friulane, Villanova di San Daniele (Udine), Glesie furlane, 2005.
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