Nato a Campoformido (Udine) il 6 febbraio 1949, fin da ragazzo si trasferì con la famiglia a Udine. Dopo la laurea in giurisprudenza trovò impiego come segretario comunale: un lavoro che svolse dimostrando doti di competenza e di umanità (particolarmente significativo il periodo trascorso a Faedis). Se da un lato l’incarico gli consentiva di venire a contatto con una realtà di paese sentita (o vagheggiata) come più autentica e gli permetteva di interessarsi alla gente e al territorio, nonché di collaborare con i gruppi locali a varie iniziative di carattere culturale, dall’altro gli faceva rilevare, quotidianamente e inevitabilmente, contraddizioni, storture, ingiustizie che pesavano fortemente sulla sua sensibile personalità. Frutto del suo interesse per l’ambiente dove si trovava ad operare è il volume Faedis, un paese nella storia, un saggio di storia locale scritto insieme a Pietro Poiana e pubblicato nel 1978. Dal 1982 al 1984 diresse «Agorà, foglio letterario di paese», un periodico ciclostilato (in tutto uscirono una quindicina di numeri) su cui, oltre a G., scrivevano giovani di Faedis e altri loro amici. Negli stessi anni G. tenne una rubrica sul mensile «In uàite», intitolata Il det tal nâs [Il dito nel naso], in cui metteva in risalto soprattutto «il mutamento avvenuto nel dopo terremoto, la ricostruzione materiale ma non spirituale, il malessere di una società in profonda trasformazione» (Tosoni). G. sentiva l’esigenza e l’urgenza di usare la parola come testimonianza dell’assurdità del vivere moderno che devasta le relazioni e l’esistenza di tutti e di cui nessuno sembra veramente preoccuparsi. Tra il 1984 e il 1986 pubblicò tre libri di poesie, che segnarono il rapido bruciarsi non solo della voce poetica, ma anche della speranza. ... leggi Sono testi che esprimono «il disagio esistenziale dell’uomo nell’impermanenza dei sentimenti e nella fugacità della vita, nella spasmodica necessità di sviluppo e nell’alienante grigiore delle città, nei feticci dell’attuale società anonima e opulenta, dove si compie la tragica vittoria delle cose sugli uomini, dell’avere sull’essere, del progresso obbligato sui valori e sugli affetti» (Martinis). Il primo volume, Rosis in bocje [Fiori in bocca], uscì nel 1984. Sono poesie d’amore o meglio della ricerca dell’amore vitale, salvifico, un anelito che nella società di oggi non può che essere vano. I testi portano ciascuno il nome di un fiore: a volte sono legati a mazzi, a volte sono petali che compongono corolle. La scelta del friulano (che a G. costò un po’ di fatica, non parlandolo nella realtà di tutti i giorni) rimanda a situazioni, valori e sentimenti drammaticamente sconvolti o che, se sopravvivono, sono in putrefazione. Non per niente, precisa lo stesso G. in una breve premessa, la traduzione in italiano a volte è «letterale, altre volte è rielaborazione del contenuto, altre volte ancora è opposizione, risposta, anche in ragione dei diversi richiami che l’uso delle due lingue in forma comparata produce». Si veda, a titolo esemplificativo, «rose colôr di duc’ i colôrs» [fiore colore di tutti i colori]: «Mi plasares la a morosâ / tal paîs dongje / e spetâ le me frute / saltâ fûr di cjase / dopo le me prime sivilade. / Viodile cori tal curtîl / cu les ciocules in man / […]» [Mi piacerebbe andare a far l’amore nel paese vicino e aspettare la mia ragazza uscire di casa dopo il mio primo fischio. Vederla correre nel cortile con gli zoccoli in mano]. Nella traduzione annessa invece si legge «fiore senza colore»: «Non ci sono più paesi / dove andare a far l’amore / e baciare le labbra del viso amato / nell’afa dolce di un agosto sfinito. / Filo spinato recinta il cortile abbandonato, / chiuso come il nostro cuore impaurito». Nelle due successive raccolte, Esodo, del 1985, e L’ultimo re, del 1986, scritte in italiano, la denuncia si addensa fino a farsi ossessione, profezia: «Riuscirò ad imparare dai poeti del passato? / Avrò tempo di comprendere il buon uso / dei diversi stili e la metrica e la sintassi / facendo tesoro di imprescindibili stilemi? / Camminiamo nel pantano e l’urgenza / l’urgenza assoluta e spaventosa / che batte alla porta del nostro tempo, / è soltanto di gridare senza tregua / […] / Raccolgo soltanto il fragore della tragedia / che diffondo largo intorno a me / perché tutti possano udire» (Esodo XXIV, Profeta o poeta); «Ancora un poco e diventerete feroci / come tigri senza cibo da una settimana; / ancora un poco e ogni cosa sarà fatta per imitazione / col corpo staccato da un’anima senza direzione, / ancora un poco e sarete come pietre, / gelidi e senza vita nella notte del tempo. / Ancora un poco e i potenti saranno bambini: / chi comanda sarà capriccioso e leggero e camminerà come un cieco sulla strada […]» (L’ultimo re, 28). Dopo un silenzio durato cinque anni («La parola diventa dardo / soltanto / se esce da un uomo compatto / che è esempio, non muto discorso», aveva scritto in Esodo VIII, Poeta o profeta), la notte del 24 novembre 1991 G. si lasciò travolgere dal treno a poca distanza dal suo paese natale.
ChiudiBibliografia
G. GEATTI, Storia di Faedis, in collaborazione con P. POIANA, Udine, Società editrice friulana, 1978; ID., Rosis in bocje, Udine, Ribis, 1984; ID., Esodo, Salt di Povoletto, Grafiche Civaschi, 1985; ID., L’ultimo re, Salt di Povoletto, Grafiche Civaschi, 1986.
M. MARTINIS, Gli Statuti di Faedis. Una moderna riflessione del compianto Giulio Geatti (1949-1991), «Sot la nape», 52/3-4 (2001), 21-22; G. GEATTI, Alla ricerca di un confronto tra gli statuti di Faedis del 1326 e la realtà contemporanea, ibid., 23-25; G. D’ARONCO, L’amôr di Geatti, «Il Gazzettino», 20 novembre 1984; M. TOSONI, Morte annunciata sui binari, ibid., 26 novembre 1991; Giulio Geatti, in Importanti per il Friuli, in Agenda Friulana, Udine, Chiandetti, 2010.
Nessun commento