Figlio del nobile Girolamo dei Geronimiani, nacque a Udine, in borgo Grazzano, attorno al 1440/45; compì i primi studi probabilmente sotto la guida di Giovanni da Spilimbergo e Francesco Diana. Si dedicò molto presto alla composizione di carmi e ricevette già nel 1489 l’alloro poetico da Federico III. Difficile ricostruire le sue condotte di insegnamento in varie località, prima del ritiro nella villa sulle rive del Torre («vixit tranquilla in solitudine»). Nel 1496 insegnò per un trimestre a Udine in attesa dell’assunzione di Francesco Filomuso da Pesaro. Per certo il 16 gennaio 1500 stipulò il contratto per un incarico biennale a Trieste: «vir ser Augustinus Hieronimianus, gramaticae professor ac laureatus poeta, civis et habitator terrae Utini […] promisit solemniter eidem ser Ioanni Danieli tamquam sindico et procuratori prelibatae magnificae Communitatis Tergesti […] se conferre et ire habitatum Tergestum, et ibi publice in scolis legere et docere ac instruere gramaticam, oratoriam et poeticam artem in lingua latina omnes et singulos ipsum audire volentes per annos duos continuos, cum salario ducatorum quinquaginta […] solvendorum in fine singulorum quatuor mensium, et domo habili pro scolis et habitatione eiusdem». Rieletto precettore nella stessa sede il 16 luglio 1503, lasciò l’incarico prima del 29 agosto dello stesso anno; anche in seguito continuò la sua attività di docente a Udine. Morì dopo il 1522, poiché pianse nell’ode a Reginald Pole la morte dell’umanista belga Cristoforo Longolio («[…] Ille tuus iacet / heu Longollius heu maxima Romulae et / Graiae lumina linguae / nostri gloria temporis»), che forse aveva incontrato a Venezia o a Padova attorno al 1520, e di cui aveva apprezzato il fervente ciceronianesimo. ... leggi Sepolto a Udine, nella chiesa di S. Francesco, era ricordato con una lapide, oggi scomparsa: AUGUSTUS VATES HIC SITUS EST. Lodato per la sua “vis oratoria” e per i suoi versi da Iacopo Valvasone di Maniago, da Cimbriaco («facunda est tibi gratia linguae / cum laudatoris fungeris officio»), da Gian Francesco Superchio detto Filomuso di Pesaro, da Cristoforo Longolio, da Iacopo di Porcia, che in un’epistola ad Antonio Belloni appunta: «Augusti poetae nostri Foroiuliensis aeream imaginem, quam mihi egregia liberalitate tua dono dedisti, inter argenteas aureasque imagines locavi, ut tanti viri memoria etiam ad posteros transeat, etsi sciam imaginem illam non tantam in se vim habere quam ipsius viri carmina». Spesso è rammentato insieme con il concittadino Giovanni Candido, giureconsulto e storico, per la affettuosa celebrazione di glorie e luoghi udinesi. I suoi versi, perlopiù inediti, compaiono in varie raccolte miscellanee; il suo componimento per il capitano delle truppe veneziane Girolamo Savorgnan, tradotto da Luigi Candoni, è sfruttato per l’impiego di alcuni nomi geografici. Le cinque epistole latine del G. attestano i prevalenti interessi culturali e i suoi legami con personaggi di spicco: la prima a Erasmo Brasca, «Tergestinae praefectus urbis» nel 1499, autore di una Descrizione geografica della Svizzera che G. volge in latino; la seconda al mecenate pordenonese Princivalle Mantica per accompagnare il «libellum, quem tenui struximus lyra»; la terza a Cinzio da Ceneda, che aveva sollecitato il suo giudizio su un carme appena composto («Quaeris quid de carmine tuo, cum eius examen mihi iniunxeris, sentiam»), ricevendone lodi iperboliche («Est ergo sublime, tersum, elegans, pulcrum reconditae sententiae et exquisitae, multum vetustatis, candoris plurimum. Non Catullum, meherculem, doctum, tam excultum dixerim»); la quarta al notaio di Spilimbergo Eugenio Tacito, suo zio per parte di madre, desideroso di conoscere il suo parere di letterato («Dispicis quid de libello, quem mihi misisti, sentiam. Schedion indico»); l’ultima, infine, ad Angelo da Rimini, per spronare l’invio della tragedia che aveva appena scritto.
ChiudiBibliografia
ASU, NA, 5351, Giacomo Clapiz, f. 3r-v; BCU, Annales civitatis Utini, 39, f. 77v-78r (8 luglio 1496); inoltre BCU, M. CLAPIZ, Catalogo de’ nobili di Udine, 1518. Inediti due carmi di Cinzio da Ceneda e l’epistola autografa a Francesco Pittiani («Apollineo Pithiano, divi Danielis oppido, publico professori, amico peramabili»), conclusa da un’ode saffica, conservate in ms BNMV, Lat., XIV 50 (4238), f. 301 r-v.
CAPODAGLI, Udine illustrata, 117-118; LIRUTI, Notizie delle vite, I, 397-400; G. FONTANINI, Catalogus virorum illustrium Provinciae Fori-Iulii, in Historiae literariae aquileiensis libri V, Roma, Pagliarini, 1742, 458; G.A. GRADENIGO, [Lettere], in Memorie per servire all’istoria letteraria, IX, Venezia, Valvasense, 1757, 481-496; DI MANZANO, Cenni, 105; V. LANCETTI, Memorie intorno ai poeti laureati d’ogni tempo e d’ogni nazione, Milano, P. Manzoni, 1839, 234-35; B. ZILIOTTO, La cultura letteraria di Trieste e dell’Istria, Trieste, Editrice libraria, 1913, 94; ID., La storia letteraria di Trieste e dell’Istria, Trieste, Editrice libraria, 1924, 21; Emigrati illustri a Vicenza, «Archivio Veneto», 16 (1934), 270; MARCHETTI, Friuli, 972; DBF, 388 (dove si sostiene che sia morto nel 1532). Per l’incarico triestino: B. ZILIOTTO, Agostino Geronimiano a Trieste, «Il Tesaur», 3/4-6 (1951), 27; per quello udinese ONGARO, Scuole, 54-55.
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