Nacque a Varmo (Udine) il 12 gennaio 1939 in una famiglia di possidenti benestanti. Il nonno paterno era, tra l’altro, proprietario di un prestigioso edificio (oggi sede della biblioteca comunale) e la nonna era maestra elementare. Un rovescio economico pose fine a questa condizione agiata e il padre di G. fu costretto a lavorare come contadino, mentre la madre, come nella tradizione friulana, avrebbe badato alla casa, all’orto, al pollame. Primo di tre fratelli, scelse un percorso di studi nella consapevolezza delle ristrettezze economiche e della necessità di ottenere velocemente buoni risultati: si diplomò alle magistrali di Udine nel 1958 e poi si laureò a Urbino nel 1962 con Arturo Massolo. La tesi di laurea esaminava il rapporto tra il pensiero di Jean-Paul Sartre e il marxismo. Trasferitosi a Codroipo, ottenne l’insegnamento di ruolo nella scuola media nel 1965 e tre anni dopo fu assegnato all’Istituto Tecnico “ Antonio Zanon” di Udine. Nel 1970 entrò come assistente di Filologia Romanza presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere di Udine che allora era sede staccata dell’Università di Trieste. Nel 1981 divenne titolare dello stesso insegnamento presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Udine diventata autonoma in base all’art. 26 della prima legge di finanziamento della ricostruzione del Friuli, la n. 546 dell’8 agosto 1977. Nel 1985 fu chiamato come professore associato di Lingua e Letteratura Friulana presso la Facoltà di Lingue dell’Università del Friuli. G. è la figura di poeta e di letterato che meglio rappresenta, per il Friuli e non solo, la vitalità e le contraddizioni proprie dell’ultimo quarto del secolo scorso, vale a dire di un tempo caratterizzato da una rapidissima trasformazione della realtà produttiva e sociale, dall’impatto determinato dall’evolversi della comunicazione, dal processo di trasfigurazione dell’ambiente, fino al limite di uno smarrimento esistenziale silenzioso e inafferrabile (se confrontato ai clamorosi orrori novecenteschi). Dopo aver completato la sua formazione a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta nella vivace realtà urbinate, aggiornata e aperta sulla realtà culturale nazionale e internazionale (soprattutto francese), con la quale mantenne anche in seguito costante relazione, iniziò quella carriera di docente e di filologo che lo avrebbe portato all’insegnamento universitario della lingua e della letteratura friulana in Udine. Accanto al suo contributo alla conoscenza della storia letteraria e della lingua del territorio friulano, concretizzato in numerosi interventi saggistici e in esemplari traduzioni dal latino, il poeta di Varmo fu presto impegnato in una intensa attività creativa. ... leggi L’esordio avvenne con Manovre nel 1967, nella veste di romanziere, dove già emergono le caratteristiche personali di una raffinata coscienza e padronanza della scrittura, sullo sfondo dell’allora attualissima sperimentazione di nuove forme narrative. Il libro propone all’attenzione, se pure con forti caratteri simbolici, la continuità, in tempi di pace e di proclamata libertà, dell’imponente vocazione bellica del secolo, con la sua forza di sopraffazione sull’individuo e sulla natura. Al di là dell’impianto simbolico e della volontà di sperimentare, si può leggere già in questa prima opera quello che sarebbe stato il nucleo centrale al quale avrebbe attinto tutta la sua poetica, fonte di disagio esistenziale e di verità creativa: la fine della civiltà contadina e, con essa, di un rapporto plurimillenario dell’uomo con la natura, che ha dettato le coordinate dell’intero comune universo culturale. G. era consapevole, infatti, per conoscenza e per esistenza, che le pratiche sociali e le forme della comunicazione ereditate si sono sviluppate in modo strettamente articolato con l’ambiente antropizzato in cui sono fiorite. Ne è la prova un libro assolutamente originale, e per questo in parte frainteso, che uscì due anni dopo, nel 1969, L’arte dell’andar per uccelli con vischio. Si nota chiaramente, nelle pagine di questo “trattatello”, che per la prosa è il suo capolavoro, il legame profondo tra lingua e realtà, tra il lascito di una tradizione e le minacce del presente, tra consapevolezza di un processo di trasformazione incontrovertibile della realtà e nostalgia poetica non astratta, ma germogliata nella vita quotidiana. Si nota anche la difficoltà, mirabilmente risolta nella forma artistica, di conciliare tradizione letteraria e volontà di innovare, il richiamo a una realtà inattuale nell’orizzonte culturale dominante, ricca, però, di verità e di interrogativi sul presente. Sono difficoltà che affiorano con maggior evidenza nelle prime prove poetiche, La vita artificiale (1968) e Incostanza di Narciso (1973), dove i letteratissimi strumenti della comprensione di sé del poeta si aggrovigliano intorno a una radice sperimentale scoperta e inaridita, nell’incertezza della propria collocazione nel mondo. Un evento tragico, epocale per il Friuli, sarebbe venuto a imporsi su queste tensioni tra intenzioni letterarie e vissuto: il terremoto del 1976. Maturò in G. la scelta per il friulano, la lingua della sua infanzia e della vita radicata nella sua terra. Il modello pasoliniano è compreso criticamente, così che la sua poetica matura su diverse premesse, in una lingua che, per evidenziare le differenze rispetto al friulano materno del poeta delle Poesie a Casarsa, sarà da definirsi “paterna”, ovvero tesa a uscire da un orizzonte soggettivamente mitopoietico per guadagnare lo spazio sociale di un’esistenza condivisa nel conflitto quotidiano. G. stesso, nel saggio introduttivo all’antologia Tanche giaiutis. La poesia friulana da Pasolini ai nostri giorni (2003), traccia il profilo di un’autobiografia intellettuale, attraverso l’interpretazione degli sviluppi della poesia in friulano nel Novecento, che chiarisce le sue posizioni. Fu un percorso complesso, il suo, alla ricerca di una propria voce e di un centro tematico originale: da Tiare pesante (1976, poi compreso in Vâr, 1978) a In âgris rimis (1994), si compone una “svolta” in profondità che oltrepassa l’iniziale prevalere della figura dell’irregolare, il “bintar”, (auto)escluso etico e sociale – ma con affondi affilati sulla realtà –, fino a pervenire a una luminosa lirica della desolazione, che ha il suo vertice in Presumut unviâr (1987). Egli divenne, in questi anni, uno dei principali protagonisti della grande stagione “neodialettale” di fine secolo. È un ruolo riconosciuto dalla critica (bastino i nomi di Maria Corti, Franco Brevini, Dante Isella, Cesare Segre) con una posizione di rilievo nelle grandi opere antologiche, avallata da un assiduo lavoro critico e culturale, rappresentato in particolare dalla rivista «Diverse lingue», che animò e diresse per oltre dieci anni. Ma il suo ufficio non si esaurì nel dar voce e punto di riferimento, attraverso il lavoro della rivista, a un fenomeno culturale tra i più importanti nella realtà letteraria di un decennio: il suo ruolo di caposcuola, infatti, venne ad assumere con il tempo sempre maggiore rilievo per la gran parte di coloro che scrivono poesia nell’oramai ufficialmente riconosciuta “area friulana”. Gli ultimi anni della sua vita, quando l’aggravarsi delle condizioni di salute lo obbligarono a un’esistenza sempre più ritirata, vedono la ripresa dell’attività di prosatore. Prosatore, veramente, e letterato, più che narratore, rimane G. anche quando racconta le sue esperienze, i luoghi, le persone vere e immaginosamente travestite della sua vita: permane, infatti, nella sua pagina un’intensità di elaborazione linguistica che contrasta il fluire della pura narrazione. Gli interessa l’aneddoto, la citazione o l’allusione colta. Ama recuperare termini desueti, riflettere sull’espressione che va stilando. Per impulso di Ferruccio Mazzariol, demiurgo dell’editrice Santi Quaranta di Treviso, ridiede vita ai trattatelli sull’arte aviaria, al suo primo romanzo, e pubblicò tre nuove opere di memorie, testimonianze e invenzioni letterarie sullo sfondo della realtà friulana. Nel bilancio generale della letteratura friulana del secondo Novecento, senza voler fare distinzioni tra italiano e friulano, tra il poeta e il prosatore, tra l’intellettuale e il maestro, ma cogliendo per intero la figura complessa di G., si deve senza riserve assegnargli il posto di maggior rilievo e auspicare che l’interesse degli studiosi, sulla scia dei suoi ammiratori e discepoli, assuma l’impegno di comprendere in profondità quanto egli ha saputo comprendere e dire delle vicissitudini umane condivise dal suo tempo. Morì a San Daniele del Friuli, il 23 gennaio 2006. È stato sepolto nel cimitero del paese natale.
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Opere di A. Giacomini: La vita artificiale, Padova, Rebellato, 1968; Manovre, Milano, Rizzoli, 1968; L’arte dell’andar per uccelli con vischio, Milano, Scheiwiller, 1969; Incostanza di Narciso, Milano, Scheiwiller, 1973; Andrea in tre giorni, Padova, Rebellato, 1981; Es-fragmenta, Milano, Scheiwiller, 1985; Il disequilibrio, Udine, Campanotto, 1985; L’arte dell’andar per uccelli con reti, Milano, Scheiwiller, 1988; Il giardiniere di Villa Manin, Treviso, Santi Quaranta, 2004; Viaggio in Friuli, tra i vini e gli uomini, Treviso, Santi Quaranta, 2004; Il ragazzo del Tagliamento, Treviso, Santi Quaranta, 2007 (postumo). L’editore Santi Quaranta di Treviso ha ristampato nel 2000 i due trattatelli Andar per uccelli con vischio e Andar per uccelli con reti in unico volume, con il titolo Andar per uccelli, con Postfazione di G. M. Villalta, e in seguito, nel 2001, Manovre, con Postfazione di G. M. Villalta. Opere di A. Giacomini in friulano: Vâr (Raccolta di poesie contenente anche Tiare pesante), Prefazione di D. M. Turoldo, Milano, Scheiwiller, 1978; Sfuejs, Milano, Scheiwiller, 1981; Fuejs di un an, Genova, San Marco dei Giustiniani, 1984; Lune e sclesis, Pesaro, Flaminia, 1986; Presumût unviâr, Milano, Scheiwiller, 1987; Tal grin di Saturni, Mondovì, Boetti, 1990; In âgris rimis, Milano, Scheiwiller, 1994; Tango, Scandicci, Mugnaini, 1997; Antologia Privata. Poesie in friulano (1977-1997), Faenza, Mobydick, 1997.
C. BO, Un nuovo scrittore tra realtà e avventura, «L’Europeo», 22 agosto 1968; R. BARILLI, I cingoli della banalità, «Corriere della Sera», 1° settembre 1968; C. GARBOLI, Appuntamento con la morte, «La Fiera letteraria», 23 settembre 1968; G. GRAMIGNA, L’innominato alle manovre, «Corriere d’Informazione», 28 settembre 1968; F. BREVINI, Giacomini, un Villon friulano, «Corriere del Ticino», 12 dicembre 1981; M. CORTI, Prefazione a Fueis di un an, cit. ... leggi; M. CUCCHI, Poesia in tre lingue, «Panorama», 6 dicembre 1987; D. ISELLA, Prefazione a Presumût unviâr, cit.; P. GIBELLINI, Nel paese Perduto, «Corriere del Ticino», 5 dicembre 1987; G. D’ELIA, Dica il dialetto quel che la lingua nasconde, «Il Manifesto», 8 giugno 1988; F. LOI, Prefazione a L’arte dell’andar per uccelli con reti, cit.; G. TESIO, Prefazione a Tal grin di Saturni, cit.; G. M. VILLALTA, Introduzione a Antologia Privata, cit.; C. SEGRE, Il magnifico esordio di Giacomini, «Filologia moderna», 7 (1985), e ripresa in «Strumenti critici», n.s., 21/3 (2006).
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