GIACOMO

GIACOMO (? - 1242)

abate di Moggio

Immagine del soggetto

Sigillo dell'abate di Moggio (Tolmezzo, Archivio parrocchiale).

Nel 1231 la comunità benedettina di S. Gallo di Moggio elesse l’abate G. Dopo il devastante incendio del 1228 il compito del nuovo abate si presentò certo impegnativo ma, come riferiscono le fonti, G. seppe condurre a termine l’opera di ricostruzione e restauro del complesso abbaziale. L’impegno di G. in favore dell’abbazia è stato dettagliatamente tramandato dal celebre inventario fatto compilare da un suo successore. La fonte ricorda l’imponente mole di lavori promossi da G., che trasformarono radicalmente l’aspetto dell’abbazia mosacense. Notevoli furono le somme stanziate per l’acquisto di paramenti, suppellettili, sculture e immagini dipinte. I danni provocati dalle fiamme resero necessario il restauro del pavimento della chiesa abbaziale, il rifacimento del coro, il ripristino delle cappelle e la loro decorazione. Le strutture destinate allo stoccaggio delle derrate furono restaurate o, in alcuni casi, edificate “ex novo”. G. fece edificare un nuovo granaio abbaziale e, come riferisce ancora l’inventario, per contrastare eventuali nuovi incendi, fece porre in opera delle travi nella copertura del “cellarium” che allora fu pavimentato. Le tecniche costruttive prevedevano ancora l’utilizzo di scandole di legno che G., sebbene tale materiale non fornisse alcuna difesa in vista dei futuri incendi, fece produrre in quantità adeguata alla copertura della chiesa e del chiostro. Tali lavori rappresentarono certamente un notevole impegno per una piccola comunità monastica come quella mosacense, ma le spese sostenute furono tuttavia accompagnate da una saggia gestione del patrimonio abbaziale. I lavori ed i restauri fatti eseguire a Moggio dall’abate G. certamente impressero alle strutture claustrali un nuovo aspetto, anche se ben poche sono oggi le tracce visibili delle opere eseguite nel XIII secolo, pressoché cancellate dagli imponenti lavori eseguiti nell’abbazia nel XVI e nel XVIII secolo. ... leggi Tra i prodotti a suo tempo acquistati dall’abate mosacense ed elencati nell’inventario spiccano il pepe, probabilmente destinato alla conservazione della carne, e lo zucchero. G. si preoccupò anche di acquistare alcuni codici per la biblioteca abbaziale. Sempre l’inventario accenna ad un messale, un mattutinale, un antifonario, un salterio, un graduale, un epistolario e una vita di san Bernardo. L’acquisto fu probabilmente imposto dalla perdita di una parte della biblioteca, diretta conseguenza dell’incendio. Non si può escludere che alcuni dei manoscritti siano giunti da Venezia, dove G. si recò «pro negociis ecclesie», anche se alcuni dei codici e, in particolare, il Libro Theotonicum dictum Walisergast, da identificare con l’opera del cividalese Tommasino da Cerclaria, rimanderebbero alla vicina area austro-bavarese e alla realtà oltralpina alla quale il monachesimo e, più in generale, il clero, l’aristocrazia e la ministerialità del Friuli patriarcale, dal punto di vista politico, ma anche culturale, facevano allora riferimento. Se, all’epoca di G. i legami con le grandi centrali della riforma, Hirsau e Sankt Georgen im Schwarzwald, appaiono ormai anacronistici, è certo che, ancora nel corso di tutto il XIII secolo, le comunità di Moggio e Rosazzo continuarono a rappresentare in ambito friulano i referenti privilegiati di numerose fondazioni benedettine austro-bavaresi. Tutto ciò rivela il persistere dei rapporti delle due comunità monastiche benedettine friulane con le fondazioni della vasta diocesi salisburghese. La saggia amministrazione di G. consentì all’abbazia di Moggio di risorgere in breve tempo e, da questo punto di vista, fu determinante l’impegno profuso dall’abate per riscattare le avvocazie concesse dai suoi predecessori a laici i quali, non di rado, avevano approfittato di tali diritti per appropriarsi dei beni monastici. Talvolta il riscatto avvenne grazie alla devozione dei titolari che, come gli Sbroiavacca ed i Valvasone, rinunciarono spontaneamente all’avvocazia, mentre il conte di Gorizia cedette i suoi diritti solamente in cambio di una discreta somma di denaro. Sebbene le liti con i signori di Gemona e con l’ospedale di Santo Spirito, da essi fondato, fossero ormai endemiche, G. riuscì ad estendere il patrimonio abbaziale acquistando terre a Biauzzo, Gradisca e San Daniele, nonostante, ai suoi tempi, la fase espansiva dei patrimoni delle abbazie benedettine friulane, tramite donazioni ed acquisti, fosse ormai avviata verso un lento ma inesorabile declino. L’abate G. fu assorbito nella difficile opera di recupero delle decime e di altre rendite che, probabilmente cadute in desuetudine, non erano più versate all’abbazia. Nel 1237 fu probabilmente non solo la necessità di denaro che spinse G. a cedere i beni mosacensi di Kirchheim, oggi Sagritz (Carinzia), all’abbazia stiriana di Admont, ma anche il tentativo di razionalizzare la gestione del patrimonio monastico. Nel caso dei beni di Sagritz la riscossione dei censi e la semplice difesa dei diritti di proprietà, tanto distanti dal Canal del Ferro, senza dubbio rappresentò per l’abate e la comunità un insostenibile dispendio di energie. Il bilancio dell’opera di G., morto nel 1242, fu senza dubbio positivo, anche alla luce del fatto che, come si apprende dalle fonti, ebbe modo di saldare i debiti contratti, semplificando così il compito di Bernardo, eletto a succedergli, che a Moggio trovò una comunità monastica ben provvista di tutte le risorse alimentari ed economiche necessarie.

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Bibliografia

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