Da un documento del 20 maggio 1448, si apprende che G. era figlio del defunto notaio Giacomo de Carnea, abitante a Udine. Il padre fu verosimilmente Giacomo di Giovanni de Val de Carnea, noto per essere stato anche scriba della curia patriarcale. È possibile che G. sia venuto alla luce orfano di padre e ne abbia perciò assunto il nome in memoria. La cronologia autorizza tale ipotesi. Gli ultimi documenti noti di Giacomo di Giovanni risalgono al 1411, mentre un ricordo autobiografico del presunto figlio, espresso nel periodo compreso tra l’ottobre del 1435 e l’agosto del 1437, lascia dedurre che egli avesse a quell’epoca un’età di circa ventiquattro anni. Infatti, in un’orazione rivolta al papa Eugenio IV per chiedere un rimedio alla propria indigenza, al fine di proseguire gli studi giuridici, G. dichiara di aver già studiato diritto civile per un triennio. Tre anni, dunque, dopo le Artes portano a pensare a un’età prossima ai venticinque anni, e quindi a una nascita collocabile all’inizio degli anni Dieci del secolo XV. Quando G. espose la propria orazione davanti ad Eugenio IV, aveva già incontrato il suo patrono: Ludovico Trevisan, allora vescovo di Traù (dal 24 ottobre 1435), poi arcivescovo di Firenze (6 agosto 1437) e quindi patriarca d’Aquileia (12 dicembre 1439-27 marzo 1465) e cardinale camerlengo. Il sodalizio proseguì negli anni fiorentini di Ludovico, quando G. copiò alcuni codici, e ne fruttò la prebenda canonicale di Aquileia, attestata almeno dal 1442. Il 30 settembre 1443 il canonico fu esaminato, insieme con un altro, circa la conoscenza dell’officio divino ed entrambi furono riconosciuti idonei alla dignità ricoperta e che egli tenne fino alla morte, avvenuta il 21 dicembre 1482, come si legge nel Necrologium Aquileiense, dove si fa memoria di numerosi lasciti per la celebrazione del proprio anniversario. ... leggi Biondo Flavio da Forlì ricorda G., unico tra i Friulani, «eloquentia ornatissimus». Da un precoce testamento, del maggio 1448, si sa che il canonico possedeva il De oratore di Cicerone, il De institutione grammaticae di Prisciano, oltre che opere di Lattanzio, di Girolamo e l’Etica nicomachea di Aristotele: tutti libri destinati al convento di S. Francesco di Udine, in caso di morte, e testimoni di studi grammaticali e retorici. Di G. rimangono due orazioni di sicura attribuzione, ora edite. Oltre alla già menzionata, rivolta ad Eugenio IV, ne sopravvive una indirizzata al doge Pasquale Malipiero, nel 1457, per congratularsi a nome della Patria del Friuli della recente elezione. Il fatto che la scelta per pronunciare un simile discorso ufficiale a nome dell’intera provincia friulana sia caduta su di lui, testimonia la stima e la considerazione di cui godeva in vita. Egli però è soprattutto noto per un manipolo di opere, di diverso genere, ma tutte impostate secondo i canoni e i gusti della letteratura umanistica latina allora vigente e probabilmente frutto non solo di libero e appassionato studio, ma anche dell’attività di copista svolta durante gli anni giovanili, quale integrazione economica. Si tratta di una produzione letteraria costruita soprattutto con la tecnica del centone, poco originale, ma che valse a G. l’apprezzamento e l’amicizia, tra gli altri, di Francesco Barbaro, di Guarnerio d’Artegna e di Giovanni da Spilimbergo, e lo caratterizza come uno tra i più prolifici autori del Quattrocento friulano. Proprio a Francesco Barbaro, nominato nel 1448 luogotenente della Patria del Friuli, G. dedicò il De antiquitatibus Aquileiensibus, che conobbe un’edizione settecentesca in un contesto miscellaneo. Al genere storico G. aggiunse quello agiografico, componendo la Vita beatae Helenae Utinensis, dedicata al pontefice Paolo II (1464-71). Pur con alcuni limiti di carattere letterario, si tratta di una importante testimonianza dell’agiografia umanistica. La terza opera conosciuta di Giacomo è il De militari arte apud Graecos Carthaginenses Romanosque et armis contra Turcos sumendis, rivolta a Federico “comes” di Urbino (riconosciuto duca nel 1474, fino alla morte nel 1482), nella quale G. si rivolge pure al papa Sisto IV (1471-84) invitandolo a prendere le armi contro i Turchi. Le ultime due opere sono in parte o del tutto inedite e i manoscritti, in unico testimone, sono conservati presso la Biblioteca Apostolica Vaticana.
ChiudiBibliografia
Mss BAV, Lat., 1223, Giacomo da Udine, Vita beatae Helenae Utinensis; Ibid., Urb. Lat., 933, Giacomo da Udine, De militari arte apud Graecos Carthaginenses Romanosque et armis contra Turcos sumendis.
GIACOMO DA UDINE, De antiquitatibus Aquileiensibus, in Miscellanea di varie operette, II, Venezia, Lazzaroni, 1740, 99-134.
BLONDI FLAVII, Italia illustrata […], Basileae, in officina Frobeniana, 1531, 386; A. TILATTI, Il canonico Giacomo da Udine e una sua orazione ad Eugenio IV, «Metodi e ricerche», n.s., 7/1 (1988), 61-66; ID., L’elezione del doge Pasquale Malipiero e l’orazione di Giacomo da Udine in nome della Patria del Friuli, «Metodi e ricerche», n.s., 8/2 (1989), 37-48; LIRUTI, Notizie delle vite, I, 365-369; C. SCALON, Necrologium Aquileiense, Udine, Istituto Pio Paschini, 1982, 383-384 e n. 49bis; SCALON, Produzione, 31, 43, 82, 393-394, 415, 436; A. KNOWLES FRAZIER, Possible Lives. Authors and Saints in Renaissance Italy, New York - Chichester, Columbia University Press, 2005, indice.
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