I tre fratelli G. costituiscono una dinastia di medaglisti nei decenni centrali del Novecento essenziale per lo sviluppo dell’arte della medaglia e la numismatica italiana: in particolare essi seppero trarre vantaggio dal legame mai interrotto con il Friuli, con Buia in particolare, che rimase costante durante la loro attività svolta in larga parte a Roma.
Pietro, nato a Buia (1898–1998), fu dapprima fornaciaio in Austria. Durante la prima guerra mondiale un compagno di prigionia russo gli insegnò l’arte dell’incisione. Rientrato in patria, poté studiare all’Accademia di Brera a Milano, lavorando contemporaneamente allo Stabilimento Johnson, e in seguito all’Accademia di Venezia. Nel 1927 si trasferì a Roma, dove perfezionò la tecnica dello sbalzo e dell’incisione. Partecipò quindi alla Biennale di Venezia del 1928 e, per la Mostra augustea della romanità, nel 1936, ottenne dal comune di Roma l’uso della Torre dei Capocci, dove collocò la sua residenza e il suo laboratorio: qui lo raggiunsero la famiglia e soprattutto i fratelli Celestino e Vittorio. Dal 1937 lavorò per venticinque anni alla Zecca di stato. Con la Repubblica di Salò venne trasferita ad Aosta la fabbricazione delle monete di corso legale, presso la Società nazionale Cogne, dove da alcuni anni era stato messo a punto un procedimento per la fabbricazione di acciaio particolare per monete (acmonital, lega ferro-cromo-nichel). Ciò comportò il trasferimento di Pietro da Roma ad Aosta nella primavera del 1944 con tutta la sua famiglia, composta da moglie e dai quattro figli (un quinto sarebbe nato ad Aosta nel 1945). Lì realizzò anche una trentina di medaglie con figure di noti personaggi valdostani. ... leggi Nel dopoguerra, rientrato a Roma, eseguì per la Zecca italiana numerose monete (tra cui le 20 lire in bronzital); le più famose sono certo le 500 lire d’argento, riproducenti nel recto il profilo della moglie Letizia, emesse nel 1958, che divennero oggetto di discussione perché molti ritennero che il disegno degli stendardi al vento fosse sbagliato. Lavorò molto per la Città del Vaticano, dove fu ritrattista ufficiale durante i pontificati di Giovanni XXIII e Paolo VI, ma anche per Stati esteri come Turchia, Oman, Malta, Israele, Tunisia, San Marino. Conformemente allo spirito del “ritorno all’ordine”, fin dagli anni Venti Pietro fece proprio un certo gusto neoquattrocentesco e volle proporsi come continuatore della purezza dell’arte classica, caratteristica che avrebbe mantenuto costantemente fino alle sue ultime opere, anche per una intima adesione alla ritrattistica. Sul piano tecnico eliminò la preparazione con la plastilina per modellare direttamente sul gesso, in negativo, le sue opere, in qualche modo ammodernando il procedimento di Antonio Fabris, che incideva direttamente il conio d’acciaio. Nei suoi “classici” tondi, legenda, spesso in più righe, e ritratto paiono quasi avere la stessa dignità, come, nel rinascimento, quadro e cornice avevano il medesimo valore. Altro carattere artigianale, che perseguì scrupolosamente, fu la attenta cura di tutte le fasi della realizzazione della medaglia, il che rese sicuramente più personale e più controllata l’esecuzione. Per tener viva la sua memoria sono state fatte dai figli tre donazioni: una al comune di Buia, conservata al Museo della medaglia del paese collinare, riguardante i ritratti della famiglia, una alla regione Valle d’Aosta, conservata alla Biblioteca regionale di Aosta, riguardante i ritratti dei personaggi valdostani del 1944-1945, e una alla Biblioteca Apostolica, conservata al Medagliere Vaticano, riguardante i ritratti dei pontefici e dei prelati.
Fin dal 1934 Celestino (1912–2007) appare strettamente legato allo stile e ai modi di Pietro (si veda la medaglia per monsignor Lorenzo Balconi). Dal 1939, dopo aver collaborato con il fratello maggiore per numerose realizzazioni, svolse un suo proprio percorso artistico nell’arte della medaglia e nella numismatica, che lo portò a realizzare modelli per il Sovrano militare ordine di Malta, l’Uganda, la Giordania, l’Indonesia, il Sharjah e il Fujairah. Nel secondo dopoguerra cercò una propria strada, che lo portò vicino a certo linearismo grafico dell’arte contemporanea. Nel 1979 firmò, insieme con Guido Veroi, la moneta da 500 lire per la Città del Vaticano, nel primo anno di pontificato di Giovanni Paolo II. Fu anche istruttore del personale per le Zecche della Turchia e dell’Iraq, e svolse una attività analoga ad Arezzo presso una ditta privata.
Vittorio (nato nel 1918 e morto prematuramente nel 1947), dopo l’esperienza della guerra in cui, come i fratelli, fu fatto prigioniero, partecipò alle giornate di Napoli e poi sostituì il fratello Pietro alla Zecca nel periodo in cui questi era ancora impegnato ad Aosta. Appassionato della soluzione di problemi tecnici, sperimentò strumenti in uso presso i dentisti per la più fine lavorazione del gesso nella modellazione e applicò particolari patine alle sue realizzazioni. Nell’immediato dopoguerra diede prova di una sua personale sensibilità, vicina all’arte del tempo.
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