Nato a Udine il 14 aprile 1856 dal perito agrimensore Felice e da Luigia Perissini, compì gli studi inferiori a Udine prima di laurearsi in giurisprudenza a Roma nel 1886 e di intraprendere la professione forense, che continuò ad esercitare con esiti eccellenti anche dopo l’ingresso in politica, che ufficialmente risale al 1892. Fu tra gli uomini pubblici più benvoluti dai friulani, e gli va ascritto innanzi tutto il merito di avere scosso dall’immobilismo una vita politica locale caratterizzata dalla progressiva sclerosi del liberalismo conservatore. Fondò il Partito radicale in Friuli e ispirò la nascita e lo sviluppo del combattivo periodico «Il Paese» (1896-1915), organo dapprima settimanale e poi, dal 1905, quotidiano della democrazia friulana, ponendosi nel solco del dissenso rispetto alla politica liberale, di destra o di sinistra che fosse, interpretando il pluriforme malcontento di ambienti borghesi e proletari e avanzando un programma legalitario che teneva le distanze tanto dal collettivismo socialista, quanto dall’individualismo economico liberale. Tale programma era comunque sufficientemente elastico e di massima da poter raccogliere anche cittadini dalle posizioni per certi versi antitetiche, come ad esempio anticlericali (per lo più massoni) e cattolici “liberali”, conservatori progressisti e socialisti riformisti, esponenti di classi agiate e popolari; così, attorno al partito e al giornale – entrambi, va detto, fin troppo dipendenti dal carisma della sua personalità, peraltro contrassegnata da una specchiata rettitudine pubblica e privata, che gli fece guadagnare costantemente il rispetto degli avversari – si strinsero uomini dalle più varie provenienze: giovani professionisti, impiegati, commercianti, nonché nutrite frange dei nuclei artigiani, operai e più in genere subalterni che non erano ancora dotati di una struttura politica organizzata, ma il cui progresso era considerato da G. indispensabile per dare un senso compiuto all’unità. Uomo di raffinata cultura giuridica, storica e classica – il fratello Emilio è stato uno dei maggiori poeti in lingua italiana del Friuli –, fu oratore brillante e coinvolgente e si rivelò, nonostante lo spirito e i modi sempre misurati e signorili, un vero e proprio trascinatore di folle. ... leggi Nel 1889 risultò eletto consigliere comunale a Udine; tre anni dopo, sconfitto nel collegio udinese alle politiche del 1892, poté comunque essere inviato alla Camera (ove sarebbe stato vicinissimo al maggiore esponente radicale, Felice Cavallotti, divenendone il successore) con le suppletive del giugno 1893, la cui necessità s’era imposta per la morte del candidato vincitore, Federico Seismit Doda. A partire da quella data, e fino al 1923, fu deputato radicale per Udine per ben sette volte, con due sole interruzioni. Se perse alle elezioni del 1895, si affermò in quelle del 1897 e fu protagonista, durante la XX legislatura (fra il 1897 e il 1900), di una tenace opposizione alla politica reazionaria del governo nel biennio 1898-1899, in alternativa alla quale indicò piuttosto – per riavvicinare il “Paese legale” al “Paese reale” – le vie dell’educazione delle coscienze del popolo, del progresso economico e di una serie di riforme. Poi, di fronte alla svolta liberale del gabinetto Zanardelli-Giolitti, dal 1901 (anno in cui i radicali udinesi conquistarono il comune di Udine, del quale tennero l’amministrazione fino alla fine della prima guerra mondiale), sollecitò la realizzazione di azioni concrete, e non solo l’allentamento della morsa autoritaria in materia di ordine pubblico. Dopo la sconfitta nel ballottaggio delle turbinose e contestate elezioni del 1904, con tanto di sollevazioni popolari a suo sostegno e inevitabile intervento della forza pubblica a Udine, tornò alla Camera nel 1909, denunciando il clientelismo, la corruzione e il nuovo trasformismo della maggioranza, che in quegli ultimi anni s’era raggruppata attorno a Giovanni Giolitti. Per anni antimilitarista (oltre che, in generale, critico implacabile nei confronti dei vari governi conservatori), passò gradualmente su posizioni sempre polemiche, sì, nei confronti delle istituzioni e degli uomini di potere, però meno insistite e impetuose e, soprattutto, più vicine agli ideali della patria e del prestigio internazionale del Paese: confluì, per tale via, fra i tanti che approvarono la guerra di Libia nel 1911, considerandola necessaria per il completamento dell’amalgama e dell’unità degli italiani; ebbe inoltre forti riserve verso il suffragio universale maschile sancito nel 1912, temendo per un prematuro coinvolgimento politico diretto di masse impreparate. A partire dalla nuova affermazione politica del 1913, poi, si situò tra quanti determinarono l’allontanamento del Partito radicale dalla suddetta maggioranza giolittiana, continuando a mantenere le distanze, nel contempo, dalle tentazioni socialiste. La prima guerra mondiale lo vide interventista a fianco dell’Intesa, e rimase sempre convinto della necessità di quella che considerava una grande rivoluzione capace di determinare la sorte dei popoli d’Europa sotto molteplici punti di vista. Alto commissario per l’Assistenza ai profughi di guerra nel gabinetto Orlando fra il 1918 e il 1919, fu altresì, dal gennaio di quest’ultimo anno, attivissimo ministro dell’Assistenza militare e delle pensioni di guerra, sempre pronto, in questo come in ogni altro frangente, e nonostante l’impegno sempre assiduo nella politica nazionale, ad affrontare le più varie tematiche riguardanti la propria terra, della quale curò gli interessi in modo appassionato ed efficace. Degno rappresentante dei friulani, dunque (anche e soprattutto dopo la tragedia di Caporetto), nel dopoguerra, in contrapposizione alle sfere triestine, si batté perché fosse riconosciuta e conservata l’unità etnica, storica, linguistica e geografica del Friuli come entità regionale. Auspicò inoltre la ricostituzione, da parte delle autorità ecclesiastiche, del patriarcato di Aquileia. Nuovamente eletto deputato alla fine del 1919, condusse la propria battaglia contro i Partiti popolare e socialista, nella convinzione che quelle formazioni politiche di massa portassero gravi responsabilità nella scissione fra le aspirazioni popolari e il sentimento nazionale: così, oppostosi a Francesco Saverio Nitti, considerato troppo accondiscendente, simpatizzò per il nascente movimento fascista e si avvicinò, questa volta, a Giolitti nelle elezioni del 1921, che gli furono favorevoli. Colonialista convinto, fra il 1921 e il 1922 fu a capo del Dicastero delle colonie (governo Bonomi). Dopo la marcia su Roma, da esponente della Democrazia sociale (che prese il posto del Partito radicale) diede la sua fiducia a Benito Mussolini primo ministro, mentre l’anno seguente sostenne la legge elettorale Acerbo (voluta da Mussolini per assicurare al suo partito una solida maggioranza parlamentare), nella quale vedeva la possibilità di ritornare alla stabilità politica e alla normalità democratica. E proprio in conseguenza di un discorso di G. a favore di quella legge, pronunciato nel luglio 1923 (tre mesi prima della morte, avvenuta a Tricesimo, il 21 ottobre 1923), si vide consegnare dai fascisti udinesi, su iniziativa del Gran Consiglio all’unanimità, la tessera ad honorem del Partito nazionale fascista. Nel 1926 furono pubblicati a Milano, da Treves, i suoi Scritti e discorsi scelti (con prefazione di Ettore Ciccotti). Memorabili rimangono alcune sue orazioni tenute alla Camera, soprattutto nel periodo bellico e postbellico.
ChiudiBibliografia
Tricesimo, Archivio Girardini, ricco di appunti personali e di un consistente carteggio. Presso la Fondazione Feltrinelli a Milano sono conservate ventinove lettere del periodo 1891-1897.
DBF, 397; La morte di S. E. l’on. Giuseppe Girardini, «Giornale di Udine», 23 ottobre 1923; Giuseppe Girardini nella vita politica-parlamentare, «La Patria del Friuli», 21 novembre 1923; Nell’anniversario della morte di S. E. Giuseppe Girardini, ibid., 22 ottobre 1924; E. MERCATALI, Giuseppe Girardini (Rimembranze d’un anima devota), «La Panarie», 1 (1924), 21-24; Z., Giuseppe Girardini, «Giornale del Friuli», 21 ottobre 1927; G. BUGGELLI, La riconquista di Misurata e l’azione di Giuseppe Girardini, Udine, Istituto delle edizioni accademiche, 1939; B. VIGEZZI, Il suffragio universale la crisi del liberalismo in Italia, «Nuova rivista storica», 48 (1964), 538, 542 s., 560; U. ZANFAGNINI, La vocazione al diritto, «MV» (numero speciale Un secolo col tricolore), 26 luglio 1966, 59; T. TESSITORI, Conquistata maturità democratica, ibid., 89; U. ZANFAGNINI, L’azione interventista di Giuseppe Girardini, «Il Friuli», 12/5 (1968), 11-15; T. TESSITORI, Storia del Partito popolare in Friuli (1919-1925), AGF, Udine, 1972, passim; A. GALANTE GARRONE, I radicali in Italia (1853-1925), Milano, Garzanti, 19782, 399; RINALDI, Deputati, 265-270; RINALDI, Deputati 2, I, 391-398; A. M. PREZIOSI, Udine e il friuli dal tramonto dell’Italia liberale all’avvento del fascismo; le aspirazioni autonomistiche di Girardini, Pisenti e Spezzotti, «Storia contemporanea», 15/2 (1984), 213-244; C. RINALDI, Il giornalismo politico friulano dall’Unità d’Italia alla Resistenza, Udine, s. ... leggin., 1986, 210-232; T. TESSITORI, Storia del movimento cattolico in Friuli (1858-1917), Udine, Del Bianco, 19892, passim; F. ZAVALLONI, Girardini, Giuseppe, in DBI, 46 (2001), 483-485; S. ZILLI, La costruzione di una periferia. Una geografia del Friuli tra Unità e prima guerra mondiale vista attraverso le elezioni politiche, in Friuli. Storia e società II, 151-192: 163 s.; G. CISOTTO, La “terza via”. I radicali veneti tra Ottocento e Novecento, Milano, F. Angeli, 2008, 149-228.
Nessun commento