Nacque a Udine intorno al 1525. Il padre, Raffaele, era “degano” di Saciletto e sovrintendeva alla molitura del grano nel distretto di Cervignano. Il Vasari ricorda che Sebastiano Florigerio eseguì un ritratto di Raffaele, che è stato identificato con un bel ritratto d’uomo con barba presente agli Uffizi di Firenze e portante sul retro la scritta «Grasso del Palma Vecchio», ma che recentemente Caterina Furlan ha pubblicato come “Ritratto di collezionista” di pittore veneto della prima metà del secolo XVI. G. B. si sposò con Antonia di Leonardo Virco di Udine e in seconde nozze con Corona Vallaressa, vedova di Nicolò Stanzil di Gemona. Ebbe un figlio, Antonio, che morì giovane. Non si sa quale bottega artistica abbia frequentato per apprendere l’arte: il primo documento conosciuto che lo riguarda lo vede già pittore di una pala d’altare per la chiesa di S. Cristoforo di Udine (perduta), stimata da Giovanni ricamatore nel 1547. Dalla stessa chiesa venne incaricato nel 1549 di dipingere altre due pale, una con la figura di san Giovanni e l’altra con quella di sant’Anna, opere anch’esse perdute, stimate nel 1550 da Francesco Floreani. Nel 1551 partecipò al concorso per la pala d’altare della chiesa di S. Lucia, insieme con Pomponio Amalteo, Francesco Floreani e Bernardino Blaceo che risultò vincitore. Nel 1552 dipinse due “pargoletti” per il duomo di San Daniele del Friuli, nel 1553 una pala per la fraterna di S. Nicolò di Buia. Nel 1551 aveva intanto cominciato a decorare la chiesa di S. Pietro a Maiano: lavori oltremodo impegnativi, consistenti nella decorazione dell’intero coro «cum pictura, et rallievo, ac inauratura» oltre alla pittura ed all’indoratura delle porte. ... leggi Si può presumere si trattasse di una complessa macchina d’altare, parte in pittura parte in scultura, in grado di “chiudere” l’intero coro, così come avrebbe fatto qualche anno più tardi per la pieve di S. Lorenzo a Buia. I pagamenti dell’opera, portata a termine nel 1553 e stimata da Bernardino Blaceo, si protrassero fino al 1559 e oltre. Perduto anche questo lavoro, gli sbiaditi affreschi del 1554 con figure mitologiche della facciata della casa ex Sabatini di Mercatovecchio in Udine devono essere considerati la prima opera conosciuta dell’artista. Questi poco dopo fu protagonista di un significativo episodio: quando nel 1555 si stabilì di dipingere la cantoria dell’organo del duomo di Udine e si diffuse la voce che il lavoro sarebbe stato affidato ad un pittore forestiero (nel 1553 già l’Amalteo era stato incaricato di dipingere le portelle), G. B., insieme con Francesco Floreani, presentò alla convocazione una supplica chiedendo che fosse loro dato l’incarico, perché non solo essi sarebbero stati in grado di dipingere «in tal modo, che sarà lodato da giodiciosi […]», ma anche perché «ciascuna legge obbliga i magistrati et ufficiali di qualunque bene regolata città favorire più gli originari de l’una et de l’altra conditione, che estranei et forestieri nelle loro scientie et arti; quando non solamente vi è parità, ma anche qualche poca differenza». Bastò questo perché il lavoro fosse loro affidato, a patto però che non pretendessero più di quanto era stato dato al Pordenone per il corrispondente lavoro fatto (una trentina d’anni prima) all’organo vecchio. Il G. dipinse le scene con l’Annunciazione, la Natività, la Circoncisione (e con le Nozze di Cana e la Guarigione di un infermo oggi in sacrestia), mentre spettarono al Floreani quelle relative alla Epifania, a Gesù fra i Dottori, alla Guarigione di un infermo e alla Guarigione di un paralitico. La fama raggiunta con questa impresa ebbe come conseguenza immediata la richiesta da parte della chiesa di Latisana di dipingere le portelle dell’organo che il veneziano Vincenzo Colombo aveva appena costruito: cosa che fece nel 1558 dipingendo la Caduta della manna nella parte esterna e Giobbe e il Sacrificio di Isacco in quella interna. I dipinti, che riprendevano almeno in parte tematiche adoperate dal Pordenone e dall’Amalteo per l’organo monumentale del duomo di Valvasone (pure costruito dal Colombo) sono purtroppo andati perduti nell’Ottocento. Doveva trattarsi tuttavia di un lavoro spettacolare, così come quello eseguito nello stesso 1558 per la chiesa di S. Lorenzo in Monte a Buia. Qui il pittore aveva costruito un complesso apparato scenico che, secondo la credibile ricostruzione di G. C. Menis fondata sull’ampia documentazione rimasta, chiudeva la visione del coro all’altezza dell’altar maggiore con un impianto architettonico, sul quale si aprivano due porticine laterali in legno decorato e dipinto, che vedeva la grande pala con il Martirio di S. Lorenzo al centro ed ai lati due episodi della vita del Santo. La pala rappresenta il più alto raggiungimento artistico di G. B., che prende spunto dalla tela di analogo soggetto di Tiziano nella chiesa dei gesuiti di Venezia per dar vita ad una composizione di vasto respiro in cui l’episodio del martirio, alla presenza di numerosa folla, si staglia entro una calibrata e piacevole cornice architettonica. Singolare, e non ancora messo in rilievo, il fatto che tra gli astanti si riconosca il ritratto di Giovanni da Udine, che insieme con Pomponio Amalteo viene chiamato a stimare l’opera. Giovanni da Udine era amico di Giorgio Vasari: può essere che anche lui sia stato tramite tra il pittore aretino e il G., che come noto collaborò alla stesura delle Vite dei pittori friulani, come chiaramente si evince da quanto scrive in proposito lo stesso Vasari nominandolo all’interno del profilo dedicato al Pordenone e ad altri pittori friulani del Cinquecento: «messer Giambattista Grassi pittore et architettore eccellente, dalla cortesia et amorevolezza del quale avemo avuto molti particolari avisi delle cose che scriviamo del Friuli». Non è certo che il Vasari abbia conosciuto personalmente il G. Della loro collaborazione, infatti, non si conserva che una sola memoria documentaria: la lettera del 15 dicembre 1563 con la quale Cosimo Bartoli, da Venezia, così riferisce al Vasari: «Io non manco di sollecitare lo schizzo [notizie] del Pordenone et lo harò quando Dio vorrà». L’affermazione del Vasari che il G. sia stato eccellente anche come architetto (ma di un suo impegno in tale professione niente sappiamo), ha motivato l’attribuzione al nostro della facciata della chiesa di S. Giacomo in Udine, che invece fu eseguita da Bernardino da Morcote. Il G. fu sostanzialmente pittore: suoi alcuni affreschi, una Crocifissione all’interno della casa della fraterna di S. Lucia di Udine, quelli, con storie di santa Lucia, ormai illeggibili, nella facciata della stessa casa – ne rimane il disegno fatto nel 1859 da G. B. Cavalcaselle, e quelli (1568) delle pareti del salone del Parlamento del castello di Udine, con storie dell’antica Roma (Curzio si getta nella voragine, Catone l’Uticense) e storie allegoriche, che proprio dalla vicinanza con quelle dipinte nello stesso luogo dall’Amalteo impietosamente scoprono i loro limiti (gigantismo vuoto nelle figure, povere di colore, non sempre ben rapportate al contesto). Apprezzabili, invece, anche per le aperture al mondo veneto, le opere su tela: la pala che fa bella mostra di sé nell’altare di S. Valentino nel duomo di Latisana (1568), con piacevoli scorci paesaggistici, quella dell’altar maggiore della parrocchiale di Turriaco (1574), degna di nota per l’attenta prospettiva, e le grandi portelle d’organo del duomo di Gemona del Friuli, con concitate storie sacre (l’Assunzione all’esterno e Il ratto di Elia e la Visione di Ezechiele all’interno). Nell’ultima sua opera conosciuta, pagata soltanto nel 1584 agli eredi, con figure felicemente risolte, buona definizione dello spazio, drammaticità controllata da un colore che, senza essere violento, non è nemmeno sordo, il Grassi dimostra di aver raggiunto quella maturità di linguaggio che gli merita un ben preciso posto nella storia dell’arte friulana del Rinascimento. Fece testamento il 13 maggio nella sua casa di borgo Poscolle in Udine: morì un mese dopo, il 18 giugno 1578.
ChiudiBibliografia
G. VASARI, Le vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori [1568], IV, a cura di P. DELLA PERGOLA - L. GRASSI - G. PREVITALI, Milano, Edizioni Club del libro, 1963, 377-378; DI MANIAGO, Storia, I, 78-79, 178-179; II, 29; JOPPI, Contributo quarto, 34; L. GRASSI, Monografia per le nozze d’oro Olinto Cossio-Luigia Grassi, Udine, 1935; BAMPO, Contributo quinto, 173-176; CAVALCASELLE, La pittura, 104-107; G. BERGAMINI, Il pittore Giovanni Battista Grassi informatore del Vasari, «MSF», 53 (1973), 99-116; G.C. MENIS, Contributo a Gian Battista Grassi. La pala di S. Lorenzo a Buja (1558), in Studi forogiuliesi in onore di Carlo Guido Mor, Udine, Deputazione di storia patria per il Friuli, 1984, 171-184; G. BERGAMINI, Il pordenonismo in Friuli, in Il Pordenone. Catalogo della mostra (Villa Manin di Passariano, 21 luglio-11 novembre 1984), a cura di C. FURLAN, Milano, Electa, 1984, 157, 172-173; P. CASADIO, Grassi, Giovanni Battista, in La Pittura in Italia. Il Cinquecento, Milano, Electa, 1988, II, 737; F. QUAI - G. BERGAMINI, Documenti per lo studio dell’arte in Friuli nei secoli XV e XVI, X, «Sot la nape», 40/2 (1988), 15-20; L. FINOCCHI GHERSI, Grassi, Giovanni Battista, in DBI, 58 (2002), 628-630; C. FURLAN, in Più vivo del vero, 24, 182-183; Capolavori salvati. Arte sacra 1976-2006. Trent’anni di restauri. Catalogo della mostra (22 settembre-31 dicembre 2006), a cura di G. BERGAMINI - L. BROS, Udine, Museo Diocesano e Gallerie del Tiepolo, 2006, 102-111; Pomponio Amalteo. Pictor Sancti Viti 1505-1588. Catalogo della mostra (San Vito al Tagliamento, 22 settembre-17 dicembre 2006), a cura di C. FURLAN - P. CASADIO, Milano, Skira, 2006, 204-205; Arte in Friuli. Dal Quattrocento al Settecento, a cura di P. PASTRES, Udine, SFF, 2008, indice.
Nessun commento