Nato a Rovigno, in Istria, il 22 agosto del 1821, G. studiò giurisprudenza all’Università di Padova, intraprendendo poi la carriera di avvocato a Trieste. Qui si dedicò inizialmente alla vita politica, prendendo parte ai moti patriottici del 1848 e ricoprendo in seguito la funzione di consigliere comunale. I suoi interessi, tuttavia, furono ben presto rivolti principalmente agli studi di antichità, di epigrafia e di topografia, cui si dedicò con grande passione, non sempre sorretta da un metodo scientifico, tanto da suscitare alcuni rilievi critici che gli furono rivolti in particolare da Enrico Maionica. Cominciò, dunque, ad interessarsi delle indagini in corso a Trieste e ad Aquileia, nei cui pressi possedeva alcune proprietà terriere e una villa, a Paperiano (odierna Papariano), nella quale avviò la raccolta di un’importante collezione di oggetti e monumenti provenienti dagli scavi che si effettuavano nel territorio dell’antica città e nelle sue vicinanze. A partire dalla metà del secolo, G. seguì personalmente o raccolse informazioni sulla maggior parte delle indagini archeologiche e dei rinvenimenti effettuati nella regione, in particolare sugli scavi condotti dal barone Ettore von Ritter presso Monastero e su quelli del conte Francesco di Toppo alle Bacchine e alla Colombara. La sua attenzione andò soprattutto alla documentazione epigrafica, della quale intraprese una schedatura completa, comprendente indicazioni sul luogo di ritrovamento e su quello di conservazione, la riproduzione del testo nel rispetto dell’impaginazione antica e un breve commento. ... leggi La pubblicazione delle schede epigrafiche, prevista in due volumi, tuttavia, avvenne solo alcuni anni più tardi. Nel frattempo, nel 1868, G. fu nominato conservatore dell’Archivio diplomatico triestino, per il quale fece svolgere un accurato lavoro di inventario del materiale documentario. Nel 1870, fu chiamato a fare parte di un Curatorio per la gestione del Museo tergestino delle antichità e in tale funzione, oltre che in qualità di consigliere comunale, si adoperò nel favorire e condurre a termine l’acquisizione da parte del comune di Trieste della raccolta di antichità aquileiesi curata da Vincenzo Zandonati, ricca di ben 25.355 pezzi. In seguito all’acquisto, che comprendeva più di trecento documenti epigrafici, sculture e frammenti antichi, G. elaborò un progetto volto a fornire un migliore assetto al Museo lapidario posto sul colle di San Giusto, nel giardino presso il cenotafio di Winkelmann. Oltre alla creazione di ripiani e gradoni lungo il declivio, G. fece innalzare un alto muro di cinta in sostituzione della cancellata di ferro, ricavando nella muratura alcune nicchie nelle quali fu inserito il materiale lapideo della collezione Zandonati e dando così forma all’Orto lapidario, che conserva ancora oggi quasi integralmente la sistemazione originaria. Provvide, inoltre, nel 1871, ad avviare i lavori per la realizzazione di una cella a forma di tempietto, da utilizzare come gliptoteca. Poiché l’apparato museale, in seguito alle acquisizioni e all’arricchimento delle raccolte, non era più gestibile per il tramite di curatori e commissari temporanei, G. promosse l’organizzazione in pianta stabile del Museo, inteso come istituzione cittadina autonoma, avviandone la redazione dello statuto, che fu approvato nel 1873, e favorendo la nomina di Carlo Cunz quale primo direttore. Dopo circa venticinque anni di indagini, nel 1877, G. licenziò per la stampa il volume Le antiche lapidi di Aquileja, che raccoglieva 817 iscrizioni inedite da lui schedate personalmente e, nella maggior parte dei casi, frutto di rinvenimenti occorsi tra il 1860 e l’estate del 1876. Si trattava in realtà del secondo dei due volumi originariamente previsti, nei quali egli avrebbe voluto raccogliere l’intero corpus delle iscrizioni aquileiesi. Il primo volume avrebbe dovuto comprendere le iscrizioni già note ed edite da tempo e il secondo quelle inedite. Tuttavia, nel 1872, l’uscita della “pars prior” del quinto volume del Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL) ad opera di Theodor Mommsen, aveva reso superflua parte del lavoro. Pertanto, su consiglio dell’amico Tomaso Luciani, G. ritenne opportuno accelerare e anticipare la pubblicazione del secondo volume, rendendo così nota la grande mole di materiale inedito affinché potesse essere utilizzata da Mommsen per l’integrazione del CIL, la cui prima compilazione si era sostanzialmente fermata alle iscrizioni note fino al 1860. Nel 1876 G. conobbe Mommsen nel corso di un viaggio compiuto da quest’ultimo in Italia settentrionale e ne sorse un proficuo rapporto. Già nell’autunno dello stesso anno, infatti, ben prima dell’uscita in stampa, G. inviò una copia del volume a Mommsen, che ne fece ampio uso, elogiando l’autore con parole di estrema riconoscenza. Come scrisse privatamente a Luciani: «Finalmente ho avuto la buona fortuna di entrare in relazioni dirette col Gregorutti, che ha fatto più per Aquileia nell’ultimo vicennio che tutti i collettori degli ultimi due secoli». Al di là della correzione di alcune letture e trascrizioni, in effetti, Mommsen si mantenne critico solo riguardo ad un aspetto peculiare, che costituiva tuttavia anche un pregio dell’opera di G., ovvero il fatto che egli avesse raccolto persino i frammenti e i frustuli più minuti, fidando nella possibilità futura di integrare o raccordare tra loro alcuni di questi. Il secondo volume del corpus epigrafico di G. non vide mai la luce. Esso avrebbe dovuto comprendere «tutte le altre iscrizioni lapidarie aquilejesi, nonchè le epigrafi sopra cotti, lucerne, bronzi, fistole di piombo, tubi d’acquedotto, gemme, ed ogni altra maniera di oggetti» ed essere «corredato della pianta d’Aquileja, colla indicazione delle località e del sito dei principali ritrovi, nonchè di copiosi indici generali». Pur senza rinunciare inizialmente alla sua pubblicazione, G. preferì avviare l’opera di edizione puntuale delle iscrizioni inedite o da lui riviste, provenienti non solo da Aquileia ma anche da Trieste e dall’Istria, utilizzando quale strumento e veicolo le pagine dell’«Archeografo triestino», la cui nuova serie aveva da poco visto la luce e di cui divenne un regolare collaboratore. Nel corso di una decina d’anni, G. pubblicò in tal modo altri 348 documenti epigrafici, che in parte confluirono nei Supplementa italica curati da Ettore Pais. Parallelamente, egli si dedicò con altrettanta passione allo studio della produzione di materiali fittili e alla relativa documentazione epigrafica. Riprendendo in tal modo parte di quanto aveva previsto di pubblicare in volume, curò la pubblicazione nella stessa rivista di 680 oggetti recanti iscrizioni bollate o graffite, concentrando poi la sua attenzione sulla figulina Pansiana e sulle officine di laterizi di Aquileia, di cui pubblicò 216 bolli, ampliando così le proprie indagini agli ambiti della produzione, del commercio e dell’economia nell’antichità. I suoi interessi si rivolsero infine al territorio aquileiese e ad alcuni problemi riguardanti la viabilità antica, dando origine ad una serie di articoli che apparvero anch’essi sull’«Archeografo triestino». Alcune iscrizioni scoperte nel corso dell’Ottocento e le indagini topografiche direttamente compiute nella regione da G., in consonanza con le attività della Commissione centrale sulla topografia della Venezia in età romana, avevano dato grande impulso alle conoscenze e imponevano ormai una revisione del quadro generale della viabilità antica nella regione. Gravi problemi di salute lo costrinsero, però, ad abbandonare la prosecuzione della pubblicazione del materiale raccolto e delle osservazioni compiute. Nel 1894 la collezione che egli aveva allestito a Paperiano fu acquistata dal Museo di Aquileia. Con essa, G. lasciò in eredità a Maionica la propria raccolta di volumi, di documenti e di scritti inediti. Maionica, che si era assunto il compito di pubblicarli, non riuscì a portarlo a termine. Nonostante la condivisione di interessi e passioni, che li aveva spinti negli anni ad uno scambio reciproco di informazioni, G. e Maionica rappresentavano due mondi e due metodi d’indagine non facilmente conciliabili e talvolta opposti. G. si spense a Fiumicello il 20 ottobre 1898. Con lui scomparve l’ultimo rappresentante della tradizione antiquaria ottocentesca in Friuli. La donazione a Maionica e, in precedenza, lo scambio delle schede epigrafiche con Mommsen, sembrano simboleggiare un passaggio di consegne e la presa di coscienza dell’avvenuta trasformazione nei metodi e nei programmi dello studio dell’antichità, dall’approccio antiquario alle scienze storiche. Al di là del metodo, criticamente definito come «soggettivo» da Maionica, e della mole della raccolta documentaria, elogiata dallo stesso Mommsen, va senz’altro attribuito a G. il merito di avere intuito l’importanza di alcuni gruppi e classi di documenti inscritti, aquileiesi e non, che fino ad allora erano stati per lo più trascurati. Lo studio dei laterizi bollati e quello del vasellame fittile con marchi e graffiti hanno costituito, infatti, un apporto innovativo e durevole, e risultano ancora oggi importanti per coloro che si interessano a questi ambiti della ricerca.
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Scritti di C. Gregorutti: Le antiche lapidi di Aquileia, Trieste, Julius Dase, 1877; La Fullonica di Pola ed iscrizioni inedite polensi, «Archeografo triestino», s. II, 4 (1876-1877), 97-118; Iscrizioni inedite aquileiesi, istriane e triestine, ibid., 389-403; Esemplare di una decorazione militare romana della categoria delle falere, ibid., s. II, 5 (1877-1878), 155-169; Iscrizioni inedite aquileiesi, istriane e triestine, ibid., 331-347; Iscrizioni inedite aquileiesi, istriane e triestine, ibid., s. II, 6 (1879-1880), 334-348; Antichi vasi fittili di Aquileia [parte I], ibid., 392-411; Antichi vasi fittili di Aquileia [parte II e parte III], ibid., s. II, 7 (1880-1881), 115-136 e 221-234; Iscrizioni inedite aquileiesi, istriane e triestine, ibid., s. II, 10 (1884), 366-415; Iscrizioni inedite aquileiesi, istriane e triestine, ibid., s. II, 11 (1885), 259-296; Inschriftenfunde in dem Gebiete von Aquileja, «Archaeologisch-Epigraphische Mittheilungen aus Oesterreich», 11 (1885), 248-250; Strassenzüge bei Aquileja, «Mittheilungen der k. k. Central Commission», 11 (1885), 110-117; Iscrizioni inedite aquileiesi, istriane e triestine, «Archeografo triestino», s. II, 12 (16) (1886), 159-207; La figulina imperiale Pansiana di Aquileia ed i prodotti fittili dell’Istria, «Atti e Memorie della Società istriana di storia patria», 2 (1886), 219-253; Iscrizioni inedite aquileiesi, istriane e triestine, «Archeografo triestino», s. II, 13 (1887), 126-208; Le marche di fabbrica dei laterizi di Aquileja, ibid., s. II, 14 (1888), 345-398; L’antico Timavo e le vie Gemina e Postumia [parte I e parte II], ibid., s. II, 16 (1890), 259-315 e 377-419; L’antico Timavo e le vie Gemina e Postumia [parte III e parte IV], ibid., s. II, 17 (1891), 166-206 e 363-392; L’antico Timavo e le vie Gemina e Postumia [parte V], ibid. ... leggi, s. II, 18 (1892), 37-79.
T. LUCIANI, Lettera a Teodoro Mommsen intorno all’opera: Le antiche lapidi di Aquileia pubblicate da Carlo Dr. Gregorutti, «Gazzetta di Venezia», 17 novembre 1876 [= «Archeografo triestino», s. II, 4 (1876-1877), 404-408]; T. MOMMSEN, Le antiche lapidi di Aquileia, pubblicate per Carlo Dr. Gregorutti, iscrizioni inedite, Trieste, Julius Dase, 1877 («Bullettino dell’Istituto di corrispondenza archeologica», 1877, 189-192); ID., s.v. Carolus Gregorutti, in Inscriptiones Galliae Cisalpinae Latinae, consilio et auctoritate Academiae Litterarum Regiae Borussicae, Pars posterior, Inscriptiones regionum Italiae Undecimae et Nonae comprehendens (CIL, V, 2), Berolini, apud Georgium Reimerum, 1877, 1024; Il Museo civico di antichità di Trieste. Informazione di C. CUNZ, con note illustrative del lapidario triestino del dr. C. Gregorutti, Trieste, G. Balestra & co., 1879; E. MAIONICA, Studi aquileiesi [parte I], «Archeografo triestino», s. II, 20 (1895), 179-193; L. LORENZUTTI, Carlo Gregorutti [con una nota di A. Puschi], «Archeografo triestino», s. II, 23 (1899-1900), 418-419; A. CALDERINI, Aquileia romana. Ricerche di storia e di epigrafia, Milano, Vita e pensiero, 1930 (= Roma, L’Erma di Bretschneider, 1972, ristampa anast.), LIV-LVI e LXII; G. BANDELLI, Gli scavi di Aquileia tra scienza e politica (1866-1918), in Gli scavi di Aquileia: uomini e opere e indici dal vol. XXXI al XL, «AAAd», 40 (1993), 163-188; L. BERTACCHI, Carlo Gregorutti e Enrico Maionica, in Gli scavi di Aquileia: uomini e opere, ibid., 189-208.
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