Figlio di Osvaldo e Teresa De Michieli, nacque a Roraigrande di Pordenone il 2 settembre 1801. Fu grazie all’interessamento di don Domenico Odorico, parroco della chiesa di S. Lorenzo nel paese natìo, e dello zio paterno, don Lorenzo, che G. poté assecondare le sue attitudini artistiche iscrivendosi, nel 1820, all’Accademia di belle arti di Venezia. Lì prese a seguire i corsi di elementi di figura e quello di pittura di Teodoro Matteini, all’epoca affiancato dal friulano Odorico Politi, in qualità di aggiunto. Fu sotto la loro guida che l’artista conseguì i primi riconoscimenti: nel 1822 gli fu assegnato il terzo “accessit” per «la copia della statua dalla stampa» e il primo premio per «la copia dal rilievo in disegno»; l’anno successivo ottenne il primo “accessit” per «la copia della testa dal rilievo», mentre nel 1824 fu la volta del primo “accessit” per «il disegno dal nudo aggruppato», per «il disegno dal nudo semplice» nonché del primo premio per «la copia della statua dal rilievo» e per «il colorito». In quello stesso anno, però, gli giunse la chiamata al servizio di leva obbligatorio, che lo avrebbe costretto ad abbandonare gli studi intrapresi se, su sollecito della presidenza accademica, il comune di Pordenone non si fosse attivato per raccogliere il denaro necessario a pagare un sostituto che ne prendesse il posto sotto le armi. Nel 1825 G. poteva così replicare i successi già ottenuti conseguendo il secondo “accessit” per «il disegno dal nudo aggruppato» e il primo premio per «il disegno dal nudo semplice», a cui si affiancava, nel 1826, il primo premio per «il colorito dal nudo». Ciò permetteva al pittore di affrancarsi dalla dimensione meramente scolastica per dispiegare la propria autonomia creativa partecipando all’Esposizione accademica di quello stesso anno con il dipinto raffigurante Giove che accarezza Amore (Soprintendenza speciale per il polo museale fiorentino, in deposito presso l’ambasciata d’Italia a Lisbona), che, per interessamento di Leopoldo Cicognara allora presidente dell’istituzione, fu acquistato dal duca di Lucca. ... leggi Di chiara impostazione neoclassica, esso costituisce un saggio unico nel percorso professionale di G., che nel 1826 diede principio alla tela dal titolo Erminia che, assistita da Vafrino, fascia le ferite dell’esangue Tancredi (Trieste, Civici musei di storia e arte), soggetto richiesto per la partecipazione al Grande concorso di pittura bandito dall’Accademia di Brera a Milano. L’opera, che testimonia il precoce interesse di G. per le poetiche del romanticismo letterario, rimase, per molto tempo, incompiuta nello studio dell’artista, che la portò a termine solo parecchi anni più tardi, vendendola, nel 1838, al collezionista triestino Pietro Sartorio. La sua esecuzione, del resto, cadeva in un momento particolarmente difficile: all’inizio del 1827 gli veniva sospeso il contributo governativo concessogli nel 1824, mentre la morte dello zio don Lorenzo lo privava anche del piccolo sostegno economico che costui gli aveva assicurato sin dal suo trasferimento a Venezia. L’artista era costretto pertanto ad impegnarsi nella realizzazione di disegni preparatori per litografie in alcuni stabilimenti cittadini e ad impartire lezioni private di pittura, onde ricavare quello che gli era necessario per vivere. A quell’epoca risalgono le prime prove nel genere ritrattistico, circoscritte all’ambiente familiare: tra il 1825 e il 1829 si colloca la realizzazione dei ritratti del fratello Lorenzo, delle sorelle Meri ed Elisabetta, degli zii don Antonio e don Lorenzo, serie che culmina con il duplice Ritratto dei genitori (1829; conservato, insieme agli altri, a Pordenone presso il Museo civico d’arte). In quest’ultimo appare più evidente la lezione del conterraneo Politi, ai cui modelli G. sembra fare riferimento per l’impostazione sobria della composizione e per la pennellata che procede per larghi piani nella resa dei volumi. Al 1829 si data la commissione da parte di Luisa Ottoboni Boncompagni, moglie di Francesco Papafava di Padova, del dipinto raffigurante Lucia ai piedi dell’Innominato (Padova, collezione privata), che porta l’artista a misurarsi con l’episodio di stretta contemporaneità letteraria rappresentato dal romanzo I promessi sposi di Alessandro Manzoni. Allo stesso periodo devono essere riferite le prime commissioni per ritratti che segnarono inizialmente la fortuna professionale del pittore. Fra i principali committenti di G. si annoverano alcuni esponenti della veneziana famiglia Fossati, per la quale eseguì la tela della Nobile Isabella Fossati con la figlia Maria Clorinda, il genero e le nipoti (1828-1829; Venezia, collezione Palumbo Fossati), “conversation piece” ambientato nel parco all’inglese della villa di campagna che l’anziana Isabella Fossati, nata Mazzarolli, possedeva in borgo Colonna a Pordenone. A quest’opera, che segna la raggiunta maturità artistica del suo artefice, succedono il Ritratto dei due nipoti (1832; Pordenone, Museo civico d’arte), tributo d’affetto ai figli della sorella Elena, rimasta prematuramente vedova, il Ritratto di Francesco Fossati, quello della moglie Teresa Fossati e dei tre figli della coppia, tutti databili al 1833 (Venezia, collezione Palumbo Fossati). In parallelo G. portava a compimento la copia dell’Adorazione dei Magi, in sostituzione dell’originale, ormai consunto dal tempo, realizzato da Federico Zuccari nel 1564, per la chiesa di S. Francesco della Vigna a Venezia. Solo nel 1835 gli si presentò la possibilità di un viaggio a Roma per perfezionare la propria formazione a contatto con i capolavori antichi e moderni dell’Urbe. Qui, grazie ad una lettera di presentazione dell’amico Ludovico Lipparini, venne accolto nello studio di Francesco Podesti, arricchendo il suo soggiorno con lunghe visite nei musei e nelle gallerie cittadine. Rientrato a Venezia, riprese a dedicarsi alla pittura di ritratti: a quel torno di tempo dovrebbe infatti risalire la realizzazione del Ritratto di signora (Roma, Galleria nazionale d’arte moderna), a cui si affianca il Ritratto dell’incisore Antonio Viviani (collezione privata), esposto alla mostra accademica annuale del 1836. Si tratta di due tele che spiccano, nella produzione di G., per la loro perizia d’esecuzione ravvisabile nella raffinatezza degli impasti cromatici, nella cura riservata alla resa dei dettagli, ma soprattutto nella capacità dimostrata dall’artefice di infondere alla fisionomia degli effigiati il soffio vitale di un’acuta introspezione psicologica, secondo i dettami del naturalismo romantico. Si scalano nella seconda metà degli anni Trenta altre significative testimonianze della ritrattistica grigolettiana, al cui novero appartengono il Ritratto di Leonardo Gottardo Galvani (1837; Pordenone, collezione Banca popolare FriulAdria), del conte Pietro di Montereale, di Giovanni Milani (1839; questi ultimi a Pordenone, Museo civico d’arte), di Davide Pesaro Maurogonato (Venezia, Galleria internazionale d’arte moderna di Ca’ Pesaro), che, nel loro insieme, documentano dell’ampiezza e dell’importanza della rete di rapporti che il pittore aveva saputo creare intorno a sé. Accanto a queste richieste di natura privata, cominciarono a giungergli anche rilevanti commissioni pubbliche. Nel 1835 G. fu infatti chiamato a sottoscrivere il contratto per l’esecuzione di una pala d’altare per la chiesa triestina di S. Antonio Nuovo, raffigurante L’educazione della Vergine. La tela, di notevoli dimensioni, costò all’artista tre anni di intenso lavoro, ma gli procurò non pochi riconoscimenti quando, prima di essere inviata a destinazione, fu esposta al pubblico a Venezia, alla mostra accademica annuale del 1838, con il titolo didascalico di Maria fanciulla che interpreta le profezie. Giunta a Trieste, la pala suscitò i commenti ammirati della critica e l’interesse dei collezionisti privati, che non mancarono di rivolgersi a G. per incrementare le proprie raccolte d’arte. A questo tipo di committenza deve essere ricondotta la realizzazione di alcuni dipinti a soggetto storico-letterario e biblico che impegnarono il pittore in quel torno di tempo e trovarono attenti acquirenti proprio tra gli esponenti dell’aristocrazia mercantile del capoluogo giuliano. Nel 1836 egli partecipava a Venezia all’Esposizione accademica con la tela Erminia che alla vista dell’esangue Tancredi precipita di sella, di cui oggi non si conosce l’ubicazione, ma che all’epoca riscosse un tale successo da convincere il triestino Salomone Parente a richiederne una copia per sé. A quell’altezza cronologica deve essere riferita anche la richiesta avanzata da Leone Hierschel per un’opera di soggetto tassiano dal titolo Tancredi visita la salma di Clorinda (collezione privata), che però fu compiuta solo nel 1843. A queste commissioni si affiancò, inoltre, quella di Pietro Sartorio riguardante l’opera Paolo e Francesca (Trieste, Civici musei di storia e arte), chiaramente ispirata alla Divina Commedia dantesca, consegnata dal pittore nel 1840. In quegli stessi anni, l’impegno professionale dell’artista si accresceva sul versante religioso, con l’esecuzione di alcune importanti pale d’altare che gli assicurarono fama e riconoscimenti anche oltre i confini della sua patria. Nel dicembre del 1836, il cardinale János László Pyrker, già patriarca di Venezia dal 1821 al 1827, gli commissionò un quadro raffigurante S. Michele Arcangelo che abbatte Lucifero da collocarsi su uno degli altari laterali della cattedrale di Eger in Ungheria, che da poco era divenuta la sua sede vescovile. Soddisfatto del risultato, il presule fece seguire la richiesta di una seconda pala con la Sacra Famiglia che, ultimata nel 1838, fu ugualmente spedita in terra magiara. Nell’ottobre dello stesso anno l’imperatore Ferdinando I, sceso in Italia in visita ufficiale, trascorse qualche giorno anche nella città lagunare dove, visitando l’Esposizione accademica aperta in concomitanza con l’avvenimento, espresse il desiderio di acquistare un’opera di G. La richiesta ufficiale, avanzatagli dal segretario dell’istituzione Antonio Diedo, non prevedeva alcuna indicazione specifica per il tema da trattare, che era lasciato a libera ispirazione dell’artefice. Il pittore scelse di rappresentare l’Ultimo colloquio del doge Francesco Foscari con il figlio Iacopo (Vienna, Österreichische Galerie, Belvedere), un episodio di storia veneziana che interpretava efficacemente l’eterno dilemma, ben noto ai potenti, tra affetti privati e ragion di Stato. Iniziato solo nell’agosto del 1839, il dipinto fu portato a compimento nel 1842 ed infine trasferito a Vienna, dove fruttò all’artista una ricompensa considerevole e la nomina a socio dell’Accademia di belle arti della capitale asburgica. Questi successi valsero a G., nel 1839, la nomina di “aggiunto” alla cattedra di elementi di figura che il coetaneo e amico Ludovico Lipparini deteneva presso l’Accademia veneziana. In quel periodo continuarono a giungere al pittore numerose commissioni: nel 1840 la Fabbriceria della chiesa di S. Giorgio a Pordenone gli richiese l’esecuzione di una pala raffigurante l’Educazione della Vergine, che, però, fu consegnata solo nel 1845 a causa di una malattia agli occhi di cui l’artista sofferse in quel giro d’anni. Benché avesse raggiunto una certa stabilità economica, egli continuò a dedicarsi al genere ritrattistico; risalgono verosimilmente a quell’epoca il Ritratto di Virginia Sartorelli (Venezia, Galleria internazionale d’arte moderna di Ca’ Pesaro) e quello della Signora Bianca F. (Pordenone, Museo civico d’arte), che spiccano nella produzione di G. per l’acuta indagine psicologica che li contraddistingue. Al 1845 si data anche la realizzazione del grande Ritratto della famiglia Petich (Pordenone, Museo civico d’arte) su commissione dell’imprenditore Antonio Busetto detto Petich, uno dei protagonisti dell’impresa architettonica che, tra il 1841 e il 1845, portò alla costruzione del ponte ferroviario sulla laguna di Venezia. Nonostante questi episodi di notevole qualità esecutiva nel corso degli anni Quaranta, G. andò progressivamente privilegiando le opere a soggetto biblico e le pale d’altare che, in numero sempre crescente, venivano licenziate dal suo studio. Tra i lavori risalenti a quel periodo e meritevoli di menzione va ricordato il dipinto Susanna e i vecchioni (Treviso, Civici musei), già appartenuto all’imprenditore trevigiano Sante Giacomelli, e quello con l’Incontro di Giacobbe e Giuseppe (collezione privata), portato a termine su richiesta di Iacopo Treves, una delle personalità più rappresentative del collezionismo veneziano dell’epoca. In quel medesimo 1846, inoltre, si registra la sottoscrizione del contratto per l’esecuzione dell’enorme tela raffigurante l’Assunzione della Vergine che il primate d’Ungheria József Kopácsy aveva deciso di allogare al pittore per collocarla sull’altar maggiore della basilica di Esztergom. La pala, che per contratto avrebbe dovuto essere esemplata sull’Assunta di Tiziano nella chiesa veneziana di S. Maria Gloriosa dei Frari, costò all’artefice otto anni di lavoro: essa, infatti, fu terminata ed inviata a destinazione solo nel 1854. Nel frattempo G. aveva ottenuto la tanto sospirata titolarità della cattedra accademica di elementi di figura (1850), incarico a cui si dedicò con impegno e passione fino alla morte. All’inizio degli anni Cinquanta dal suo studio furono licenziate altre pale d’altare, di cui la S. Lucia (1853) per la chiesa di Agordo (Belluno) e il S. Luigi Gonzaga (1854) per l’arcipretale di Cles (Trento) sono quelle di maggior impegno. La consegna dell’Assunta per Esztergom fruttò al pittore la commissione di altre due tele raffiguranti la Crocifissione e S. Stefano, re d’Ungheria, che offre la corona del Regno alla Madonna, opere che il nuovo primate d’Ungheria Janos Scitowszky gli richiese per gli altari laterali della basilica strigoniense. Di esse solo la prima fu portata a termine nel 1864, mentre la seconda restò incompiuta alla morte di G. e fu completata da Napoleone Nani. Numerose altre richieste impedirono, in quegli anni, al pittore di onorare i suoi impegni: l’esecuzione del dipinto raffigurante la Vergine che intercede presso la Trinità per le anime purganti per S. Giacomo a Udine e della S. Lucia per la chiesa di S. Lorenzo a Roraigrande di Pordenone, ultimati entrambi nel 1865, testimoniano dell’impegno profuso da G. negli ultimi anni della sua vita, che si concluse a Venezia, per polmonite, l’11 febbraio 1870.
ChiudiBibliografia
F. DRAGHI, Il professore Michelangelo Grigoletti pittore, Thiene, Tip. Municipale di G. Longo, 1870; N. BARBANTINI, Catalogo della Mostra del Ritratto Veneziano dell’Ottocento, Venezia, Donaudi, 1923, 11-12; M. MARCHI, Michelangelo Grigoletti, Udine, Edizioni de La Panarie, 1940; Michelangelo Grigoletti e il suo tempo. Catalogo della mostra di Pordenone, a cura di G. M. PILO, Milano, Electa, 1971; G. PAVANELLO, Michelangelo Grigoletti (1801-1870): appunti per un profilo, in Il Museo Civico d’Arte di Pordenone, a cura di G. GANZER, Vicenza, Terra Ferma, 2001, 50-59; F. CASTELLANI, Grigoletti, Michelangelo, in DBI, 59 (2002), 424-426; Michelangelo Grigoletti. Catalogo della mostra, a cura di G. GANZER, Pordenone, Comune di Pordenone, 2002; G. GANZER - V. GRANSINIGH, Michelangelo Grigoletti, Pordenone/Milano, Comune di Pordenone/B. Alfieri, 2007 (con bibliografia precedente).
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