Duca di Benevento e re dei Longobardi († 671). Figlio di Gisulfo II e di Romilda. Come ricorda Paolo Diacono, Romilda, infatuata del kagan degli Avari che assediavano Cividale (610/611), permise ai nemici di introdursi all’interno delle mura. La città fu devastata e gli abitanti in parte furono uccisi e in parte, ormai schiavi, furono deportati in Pannonia. Romilda venne orrendamente messa a morte dopo il saccheggio, mentre i figli Tasone, Cacone, Rodoaldo e Grimoaldo riuscirono a mettersi in salvo. Come ricordato dall’Historia Langobardorum, proprio Grimoaldo, il più giovane, si mise in luce per il coraggio e la determinazione. Prima convinse i fratelli, che avevano pensato di ucciderlo per evitargli la schiavitù o una morte terribile, di risparmiarlo e concedergli di seguirli e, nonostante la tenera età, riuscì a balzare su un cavallo e a fuggire. Pur catturato da un guerriero nemico, avrebbe reagito uccidendolo e raggiungendo quindi il gruppo dei fuggiaschi. Ritiratisi gli Avari, Tasone e Cacone divennero duchi ma, dopo aver ottenuto alcuni successi contro gli Slavi, furono invitati, nel 625, ad Oderzo, dal patrizio Gregorio. Il patrizio, che aveva promesso di adottarli radendo loro la barba, come voleva la tradizione, rinnovando in questo modo l’alleanza con i duchi di Cividale, diede invece l’ordine di ucciderli. Questo tragico episodio, del quale non si riesce a dare una lettura univoca, considerando i rapporti generalmente buoni fra autorità e gerarchie militari bizantine ed i longobardi friulani, sempre molto attenti a marcare la loro autonomia dall’autorità regia, fu certamente all’origine dell’odio di G. nei confronti dei Romani. Tanto più che lo zio paterno Grasulfo II approfittò della situazione e, ignorando i diritti di Rodoaldo e G., divenne duca di Cividale. ... leggi I due fratelli, non sopportando il governo di Grasulfo, si rifugiarono a Benevento, dove era duca Arechi che, come ricorda Paolo Diacono «ortus in Foroiulii fuerat et Gisulfi Foroiuliani filios educaret eidemque Gisulfus consanguineus erat». Arechi stesso dichiarò ai Beneventani che i due giovani figli di Gisulfo sarebbero stati in grado di governare il ducato in modo ben più autorevole di suo figlio Aione. Secondo Paolo Diacono, il figlio di Arechi sarebbe stato colpito da un’infermità mentale dopo aver bevuto una pozione offertagli dai Bizantini, durante una sosta a Ravenna, mentre stava recandosi alla corte di re Rotari. Aione non si riprese mai completamente e cadde combattendo contro gli Slavi presso Siponto. Lo scontro tuttavia si risolse in favore dei Longobardi guidati da Rodoaldo e G.: i due fratelli si avvicinarono ai predoni, giunti per mare dalla Dalmazia e, dopo averli disorientati esprimendosi nella loro lingua, li sconfissero e li misero in fuga vendicando la morte di Aione. Questo episodio documenta in modo inequivocabile che i due fratelli in Friuli, o forse durante la campagna nella valle della Gail condotta da Tasone e Cacone, avevano avuto modo di imparare la lingua degli Slavi che, tra la fine del VI e gli inizi del VII secolo, si erano attestati sull’arco alpino orientale. Rodoaldo sostituì quindi Arechi alla guida del ducato beneventano e, alla sua morte (646/647), gli successe G. Costui si distinse sconfiggendo i Bizantini che si avviavano a depredare il santuario di S. Michele del Gargano; da allora san Michele affiancò san Giovanni Battista quale protettore delle genti longobarde. Morto re Ariperto (661), il duca di Benevento seppe abilmente inserirsi nel conflitto per la successione che vedeva opposti Pertarido e Godeperto, figli del sovrano, fra i quali, secondo la volontà paterna, era stato diviso il regno. Godeperto cercò il sostegno di G. e questi, raccolte le truppe beneventane, alle quali si unirono gli “exercitales” spoletini e della Tuscia, raggiunse Pavia mettendo in fuga Pertarido. Senza alcuno scrupolo Grimoaldo pugnalò Godeperto e si impossessò del trono, mentre Pertarido si rifugiò presso gli Avari. Il nuovo sovrano, in seconde nozze, sposò la sorella di Godeperto, per rendere palese la continuità al vertice del “regnum”. G., resosi conto che fra i Longobardi Pertarido aveva ancora un notevole seguito, lo invitò a Pavia con l’intento di assassinarlo, ma il suo avversario, avvisato del complotto fuggì nuovamente, questa volta nel regno dei Franchi, accolto da Bathilde, regina di Neustria. Nel 663 truppe franche tentarono di restaurare Pertarido sul trono, ma G. le sconfisse presso Asti. Il sovrano continuò ad esercitare le sue prerogative anche a Benevento, pur avendo affidato il ducato al figlio Romualdo, nato dalle sue prime nozze. Nel 663 il re fu costretto ad intervenire in difesa del figlio dopo che l’imperatore Costante II aveva posto Benevento sotto assedio. Costante intendeva emulare le gesta di Giustinano I, ma, sconfitto da G., fu costretto alla pace. G. riuscì a cacciare i Bizantini da tutta la Puglia, ad eccezione di Otranto. Il sovrano raggiunse rapidamente l’Italia settentrionale dove Lupo, duca del Friuli, lasciato a Pavia quale reggente durante la guerra, si era dimostrato insolente e, una volta ritornato in Friuli, aveva tentato di ribellarsi al potere centrale. Come a suo tempo Agilulfo, fu ora G. a chiamare in aiuto gli Avari, da sempre alleati dei sovrani longobardi. Questi giunti in Friuli, sconfissero il ribelle e i suoi seguaci. Tuttavia gli Avari non intendevano ritirarsi in Pannonia e G., che aveva solamente poche truppe al seguito, fu costretto a ricorrere all’astuzia. Fece sfilare più volte il suo piccolo contingente davanti al kagan avaro il quale, stupito per la potenza dell’esercito longobardo, preferì fare ritorno in patria. Il re si impegnò contro l’Esarcato e distrusse definitivamente Oderzo, dopo che già Rotari, l’altro grande re ariano, aveva messo a ferro e fuoco la città. G. divise quindi il territorio opitergino fra i ducati di Treviso, Ceneda e del Friuli, vendicando in questo modo la tragica morte dei fratelli. In campo religioso, nonostante fosse ariano, G. dimostrò sempre una notevole tolleranza nei confronti dei cattolici incoraggiato dalla sua seconda moglie che discendeva dalla dinastia cattolica degli Agilonfingi. L’attività legislativa di G. è attestata dai nove Capitula con i quali integrò l’editto di Rotari. Morì nel 671 per le conseguenze di un salasso lasciando il trono al figlio Garibaldo ancora minorenne che, di lì a pochi mesi, sarebbe stato deposto da Pertarido.
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