G. nacque verosimilmente negli anni Ottanta del Duecento, da famiglia cremonese. La data può essere approssimativamente e prudentemente ipotizzata dal suo curriculum universitario, egli infatti è qualificato come “doctor decretorum”, titolo senza dubbio conseguito nello “Studium” di Padova, città nella quale compare in diverse riprese anche dopo essere approdato in Friuli, fra il 1308 e il 1309 e poi fra il 1311 e il 1312, e dove verosimilmente si trovava per studiare diritto canonico. Il suo arrivo in Friuli avvenne durante gli anni di governo del patriarca Ottobono (1302-1315), che era stato prima vescovo di Padova, ma G. era legato soprattutto a Pagano della Torre, che subentrò a Ottobono quale vescovo della città euganea e divenne a sua volta, nel 1319, patriarca. Del resto Pagano aveva mantenuto saldi rapporti con il Friuli e, tramite i suoi parenti, interferiva costantemente nelle questioni della Chiesa aquileiese. Che la famiglia di G. fosse vicina alla consorteria dei Torriani è confermato dal fatto che il fratello Gabriele fu notaio e scriba di Pagano durante l’episcopato padovano, per poi accompagnarlo ad Aquileia insieme con una numerosa “familia” costituita per lo più da Lombardi. Ed è appunto in armonia alle fortune di questo nutrito gruppo di persone provenienti dalle città lombarde, affluito in Friuli fin dai tempi di Raimondo della Torre (1274-1299) e forse anche di Gregorio di Montelongo (1252-1269) e ingrossatosi nel primo Trecento, che si colloca anche la vicenda di G. Egli, si può dire, rappresenta emblematicamente il profilo dell’“élite” dirigente forestiera che si impiantò in Friuli, spesso per radicarvisi definitivamente. ... leggi Non si trattava solo di parenti e di “fideles” dei patriarchi, ma anche di un personale preparato su un piano culturale e giuridico e pronto a soddisfare le esigenze e le pratiche di governo e amministrative della chiesa aquileiese: un personale non facilmente reperibile in Friuli. La conseguenza fu la progressiva estromissione del gruppo dirigente friulano – evidente soprattutto nei primi decenni del XIV secolo – dai posti di comando e dai benefici più redditizi del patriarcato. Esso fu appunto sostituito da questi personaggi, che venivano compensati per i loro servigi con un plebato, un seggio o una dignità capitolare, una prelatura o, se laici, con beni di natura beneficiale-feudale. In tale contesto la carriera di G. ad Aquileia fu particolarmente brillante e raggiunse presto il suo apice, mai poi superato. Il 21 maggio 1307 il vescovo Pagano della Torre comunicò al patriarca Ottobono e al capitolo della cattedrale che il decanato di Aquileia, vacante, era stato riservato dal legato papale Napoleone Orsini a G. figlio naturale (“natus”) di Enrigino da Cremona, allora arciprete della chiesa di S. Maria di Sarmazza di Padova, e intimò loro di accoglierlo entro sei giorni e a conferirgli il possesso della prebenda. Da quel momento G. resse il decanato per più di quarant’anni, cumulando anche un canonicato a Cividale. La responsabilità non era lieve, giacché egli ricopriva la seconda dignità ecclesiastica della diocesi, dopo quella dell’ordinario, e, vista la particolare sovrapposizione di poteri spirituali e temporali dei patriarchi, spesso si trovò costretto ad agire su più fronti. La sua azione è testimoniata da numerosi documenti, per lo più inediti, compresi nei protocolli dei notai di curia, ma è sinteticamente resa in una breve nota biografica vergata sul necrologio della cattedrale di Aquileia, che ne attesta la stima e l’onore con cui era considerato dai suoi confratelli. A partire da tale ricordo, si può riassumere la pluridecennale permanenza friulana di G. secondo tre filoni: uno politico-istituzionale, uno ecclesiastico-religioso, uno culturale. I primi due sono sicuramente meglio documentati, ma il terzo è forse quello che potrebbe riservare maggiori sorprese. Per gli obblighi della sua dignità, G. era tenuto ad assistere con assiduità il patriarca e gli episodi di collaborazione non mancano e testimoniano una fedeltà che rimase salda sotto i patriarcati di Ottobono, Gastone e Pagano della Torre, Bertrando di Saint-Geniès, Nicolò di Lussemburgo, anche se mostrò la migliore intesa specialmente con Pagano e con Bertrando. Pagano impiegò più volte il decano come ambasciatore o nunzio nelle continue guerre e trattative che lo opponevano ai conti di Gorizia o a Venezia, soprattutto per le questioni istriane, fra il 1330 e il 1331, nelle quali egli diede prova di capacità diplomatiche, sebbene condizionate dalla endemica fragilità degli accordi e dei compromessi che venivano continuamente raggiunti e infranti. Bertrando, quasi alla fine del suo patriarcato, si rivolse a G. in una celebre lettera nella quale ricapitolava la sua azione di governo. Il documento a suo modo dichiara il grado di partecipazione che a quell’opera aveva prestato pure il decano, lodato dalla nota obituaria per aver difeso «viriliter e tamquam verus pugil eiusdem ecclesie» i diritti minacciati dai nemici esterni, Veneziani e Trevigiani avanti gli altri. Tuttavia i momenti di maggiore impegno sul piano politico toccarono a G. durante le vacanze della sede patriarcale succedute alla morte di Ottobono, nel gennaio del 1315, e di Pagano nel dicembre del 1332. Nella prima circostanza egli fu affiancato dal conte Enrico di Gorizia, che fungeva da capitano generale per il Friuli, nella seconda, sia pure solo per pochi mesi, dal nunzio papale Pietro “de Talliata”. In entrambe le evenienze, che si protrassero per molti mesi, benché fra mille difficoltà, seppe traghettare le sorti del patriarcato nelle mani del nuovo ordinario («rexit et gubernavit laudabiliter et potenter», scrive l’anonimo autore del suo elogio), allacciando subito con lui rapporti di fiducia. Sotto il profilo più propriamente ecclesiastico-religioso, G. seppe innanzi tutto tutelare e aumentare i redditi del proprio capitolo, acquisendo per la prebenda decanale la pieve di Trivignano e lasciando una notevole quantità di legati pii ad utilità dei suoi confratelli. Fra il 1330 e il 1339 G. promosse una delibera capitolare che razionalizzava la complessa macchina della celebrazione degli anniversari del capitolo e dava regole precise per la suddivisione degli introiti, materia che suscitava continue liti. Sono inoltre ricorrenti suoi interventi per mantenere la disciplina capitolare. Egli partecipò ai sinodi diocesani e ai concili provinciali convocati dai patriarchi, fra i quali spiccano quelli del 1335 e del 1339 ove con una larga adesione dei vescovi suffraganei fu redatta una legislazione provinciale, che rimase sostanzialmente immutata fin dopo il concilio di Trento. Nel 1325 G. donò “pro anima” al capitolo una mezza marca aquileiese, da pagarsi annualmente in perpetuo, in occasione della festa delle quattro vergini aquileiesi Eufemia, Dorotea, Tecla ed Erasma, per retribuire i partecipanti all’officio divino che si stabiliva di celebrare. A prima vista si tratta di un normale lascito devoto, tuttavia esso forse non era estraneo a un orizzonte diverso, nel quale si contemperavano religione e cultura, intesa nella sua ricaduta artistica. A questo periodo, infatti, viene normalmente datata la realizzazione dell’arca delle Vergini aquileiesi, ascritta a un ampio programma di committenza monumentale pensato da Pagano della Torre, che sarebbe stato ben consapevole pure delle sue valenze ideologiche e propagandistiche. G. viene descritto come «elegancia moribus et scientia inter alios excellens et conspicuus»: al di là delle lodi di maniera per un defunto, forse in lui si può riconoscere uno degli ispiratori o dei compartecipi della “politica” artistica di Pagano e una sensibilità culturale che, sia pure ipotizzabile per il suo cursus di studi, era rimasta sinora in ombra. G. morì ad Aquileia l’8 febbraio 1352, non prima di aver favorito la carriera di un omonimo nipote, figlio di ser Sapere, canonico aquileiese dal 1331 e anch’egli decano fra il 1360 e il 1367, dal quale è opportuno distinguerlo.
ChiudiBibliografia
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