G. studia diritto canonico all’Università di Bologna, insieme al cugino Guido di Baisio, destinato a una lunga carriera episcopale, e a Giovanni di Andrea, che diventerà uno dei più illustri canonisti del Trecento: tra i loro insegnanti è lo zio Guido di Baisio, famoso decretalista e futuro cappellano di papa Benedetto XI. L’influenza esercitata da questo personaggio presso la curia romana facilita senza dubbio la carriera dei nipoti. Alla morte dello zio Guido nel 1313, il G. è chiamato a succedergli nell’ufficio di arcidiacono di Reggio Emilia: la sua nomina è di certo agevolata dalla presenza sulla cattedra reggiana del cugino Guido. In questo periodo il futuro vescovo di Concordia comincia anche a insegnare decreti a Bologna. Il 9 settembre del 1318, pur avendo conseguito solo gli ordini minori, è nominato da papa Giovanni XXII vescovo di Modena. Non si hanno molte informazioni per il periodo in cui G. siede sulla cattedra emiliana: nel 1323 è incaricato dal papa, insieme ad altri procuratori, di avviare delle trattative di pace con Cangrande della Scala e Passerino da Mantova. Nel 1329 è espulso da Modena dai rappresentanti del comune, ma non si conoscono le cause di un simile provvedimento. Non trovando una soluzione per farlo rientrare in città, nel 1330, il legato pontificio in Lombardia propone a Giovanni XXII il trasferimento di G. al patriarcato latino di Costantinopoli: la candidatura del presule non è però presa in considerazione, non risultando tra le più gradite a Venezia. Fallita la promozione patriarcale, il G. riesce a tornare a Modena e a riassumere il governo della sua Chiesa, che mantiene fino al settembre del 1334, quando è trasferito nella diocesi di Concordia. A volerlo sulla cattedra friulana è Bertrando di Saint-Geniès, che, da poco nominato patriarca di Aquileia, ha bisogno di validi collaboratori per governare e riformare il principato ecclesiastico. ... leggi Il G. si rivela nel tempo come il principale coadiutore del metropolita, assumendo nel 1334 l’ufficio di vicario generale del patriarcato e mantenendolo fino alla morte. La sua prima attestazione in regione risale al maggio del 1335, quando partecipa al concilio provinciale indetto a Udine dal patriarca. Dopo pochi mesi G. risulta già impegnato in diverse azioni diplomatiche: tra il 1336 e il 1337 il vescovo di Concordia è incaricato di seguire la causa tra il patriarcato e Rizzardo da Camino; nello stesso periodo è impegnato nel cercare un accordo tra Aquileia e Venezia per l’Istria. La sua collaborazione con Bertrando si estende ben presto in ambito ecclesiastico: nel 1338 partecipa alla consacrazione della chiesa di Venzone; pochi mesi dopo il patriarca lo incarica della visita della diocesi di Aquileia; nell’anno seguente affianca Bertrando durante un secondo concilio provinciale; nel 1341 assume il compito di inquisire la collegiata di Udine e di emanare dei nuovi statuti. Non secondario è, inoltre, il suo impegno presso il tribunale metropolitico, che manterrà per tutta la vita. Nel 1342 il G. è impegnato in un’azione diplomatica nei confronti di Venezia per difendere i diritti del patriarcato sul “castrum” di Cavolano sul Livenza: la causa, protrattasi fino al 1345, si concluderà proprio grazie a una sentenza emanata dal vescovo di Concordia, per volontà di papa Clemente VI. Il patriarca, consapevole del valido contributo offerto dal G. alla sua azione di governo, ricambia i servizi del presule, concedendogli, nel 1346, l’autorità di assegnare quei benefici della diocesi di Concordia, il cui conferimento spetterebbe alla sede aquileiese. Un’altra prova della stima di Bertrando nei confronti del suo suffraganeo è la nomina a rettore della chiesa di Udine, che G. visiterà nuovamente nel novembre dello stesso anno. La preparazione giuridica del G. e la sua esperienza di governo si rivelano fondamentali anche per la diocesi di Concordia: i numerosi impegni assunti in qualità di vicario generale del patriarcato non lo distolgono, infatti, dal prendersi cura della sua chiesa, minata, in questi anni, da una crisi istituzionale e finanziaria. Sin dall’arrivo a Concordia, suo compito primario è dichiaratamente quello di fornire all’amministrazione diocesana strutture solide e ben articolate, che possano coadiuvarlo nell’esercizio delle proprie funzioni e garantire una corretta gestione economica dell’episcopato. G. si impegna, inoltre, nel recupero dei beni e delle giurisdizioni temporali sottratti ai suoi predecessori, soprattutto nella zona settentrionale della diocesi. Nel fare questo, ottiene il sostegno del metropolita ma anche quello della curia romana. Nel febbraio del 1336 papa Benedetto XII incarica il canonico Eusebio da Romagnano di giudicare le cause intentate dal vescovo di Concordia per vedere riconosciuti i propri diritti e per recuperare i beni usurpati. Alla fine dell’anno il G., grazie all’interessamento del cugino Guido di Baisio, trasferito a Ferrara, riesce a recuperare una copia della bolla concessa da papa Urbano III al vescovo Gionata nel 1186, relativa alle giurisdizioni ecclesiastica e temporale di Concordia. Nello stesso periodo gli ufficiali vescovili cominciano a raccogliere le prime testimonianze relative ai diritti usurpati all’episcopato. In luglio G. intenta una causa contro i di Polcenigo per il garrito in Tramonti e i confini tra Fanna, controllata da questa famiglia, e il castello vescovile di Meduno. In ottobre G. ottiene da Galvagno di Spilimbergo il riconoscimento della proprietà di diversi campi in Murlis. Nel dicembre del 1338 recupera i numerosi mansi dell’episcopato in Sequals, detenuti indebitamente dagli eredi del purgravio Enrico da Gorizia. L’anno dopo il G. cita in giudizio il nobile Cucitino di Montereale per i diritti sul Canale di Barcis. All’inizio del 1341 riesce ad ottenere dal pontefice la nomina di un giudice, nella persona del vescovo di Treviso, nella causa contro i di Prampero per il castello di Cusano. Nel 1342 il vescovo trova un accordo con i di Varmo per determinare i confini del territorio castellano di Mocumbergo. Nel 1343 G. termina il suo lavoro di ricognizione e di recupero dei diritti e dei beni detenuti dall’episcopato nella Destra Tagliamento, confermato dal patriarca Bertrando dopo un’attenta analisi dei documenti prodotti. Rimane aperta solo la questione di Cusano, che i di Prampero si rifiutano di rendere all’episcopato: nonostante un secondo interessamento della curia romana nell’ottobre del 1344, il vescovo non riesce a far valere i diritti dell’episcopato su questo castello. Il G. non si preoccupa solo di recuperare i beni e le giurisdizioni sottrattegli ma anche di garantire all’episcopato gli strumenti necessari alla loro conservazione; suddivide, quindi, il territorio diocesano in quattro gastaldie (Concordia, Portogruaro, Cordovado, Meduno) e nel 1337 pubblica a Cordovado gli statuti civili per i borghi e le ville soggette alla sua autorità. Negli anni in cui siede sulla cattedra concordiese G. si rivela non solo un abile amministratore e un esperto uomo di governo, ma anche un pastore attento alle necessità della sua Chiesa, cercando di favorire la formazione del proprio clero e dimostrandosi aperto alle esigenze dei fedeli. In tale ottica è fondamentale la volontà di ripubblicare con alcune aggiunte le costituzioni sinodali dei suoi predecessori (1335), al fine di fornire a tutto il clero diocesano gli strumenti necessari all’esercizio delle proprie funzioni e di garantire il rispetto di quanto contenutovi. Il vescovo rivolge una particolare attenzione alla cattedrale di S. Stefano, che a causa della disaffezione dei canonici, in questi anni, è particolarmente trascurata: nel 1339 consacra due nuovi altari dedicati a santo Stefano e alla santa Croce; nello stesso anno crea tre mansionari, che ne garantiscano l’officiatura; nel gennaio del 1340 visita il capitolo di Concordia per correggere diverse irregolarità commesse dai suoi membri nella gestione economica dell’istituzione e soprattutto nel servizio liturgico della cattedrale. G. muore ad Udine il 9 giugno del 1347 ed è sepolto nella locale chiesa di S. Francesco. La formazione culturale del vescovo G. traspare anche da un elenco parziale dei libri da lui posseduti al momento della morte. Essi si possono suddividere in quattro sezioni principali: testi giuridici, esegetico-teologici, liturgici, opere della latinità classica e cristiana. Per quanto riguarda il primo blocco si segnala l’assenza di testi legislativi, come le Decretali. Sono, invece, presenti opere di approfondimento dottrinale: i commenti di Giovanni di Andrea, il De electionibus del cardinale Guglielmo “de Mandagoto” con diversi opuscoli e “quaestiones disputatae”. Sempre al primo gruppo appartiene un Officium inquisitionis, identificabile con il De officio inquisitionis, un manuale di procedura in uso nel Trecento nelle diocesi di Bologna e Ferrara. In appendice a questo codice sono state aggiunte delle decretali emanate dopo la compilazione del Sextus (1296), ma non ancora raccolte nelle Clementine. Pur non essendo un testo giuridico ma di filosofia politica, può essere accostato a questo blocco anche il De ecclesiastica potestate libri tres di Egidio Romano. Interessanti si presentano anche i titoli dei volumi esegetico-teologici, che rivelano l’attenzione del presule per la predicazione. Si tratta di libri piuttosto diffusi in ambiente ecclesiastico, utilizzati per la compilazione di sermoni: a tal fine sono utilizzati probabilmente anche dal G., che possiede una raccolta di omelie da lui scritte. Il primo di questi codici contiene alcune postille ai Vangeli; seguono le Collationes di frate Giacomo “de Gorena”, i Sermoni festivi di frate Giacomo da Varazze e i Sermoni domenicali e festivi di frate Luca da Bitonto. Opere più propriamente teologiche sono il Compendium theologicae veritatis di frate Ugo da Strasburgo e la Summa de officio sacerdotis di frate Alberto da Brescia. Di proprietà del vescovo sono anche il Catholicon sive Prosodia del frate domenicano Giovanni Balbi da Genova e una leggenda dei santi, da identificare probabilmente con la Legenda Aurea di frate Giacomo da Varazze. Meno consistente risulta il gruppo dei testi liturgici, che comprende un breviario completo e un salterio, prestati d’abitudine a parenti e “familiares”, e un Liber pontificalis, fatto commissionare dal vescovo per la chiesa di Concordia. Di particolare rilevanza risulta, invece, il blocco dei codici contenenti le opere della latinità classica e cristiana, perché permette di inserire il G. in un preciso clima culturale che, nei primi decenni del Trecento, da Avignone si diffonde in tutta l’Europa occidentale, con la riscoperta e la valorizzazione dei classici. Innanzitutto emerge un marcato interesse del vescovo per Seneca, di cui possiede un vasto “corpus” di opere: pur mancando i riferimenti ai titoli, non è da escludere la presenza al fianco dei già conosciuti Dialogi e delle Epistulae ad Lucilium anche delle tragedie del filosofo ispanico. Altrettanto importante si rivela la presenza nella biblioteca del vescovo G. di alcuni libri del Ab urbe condita di Tito Livio, il cui recupero filologico vede la luce proprio ad Avignone grazie a una sinergia editoriale tra Francesco Petrarca e alcuni esponenti della famiglia Colonna. All’interesse per la storiografia romana si ricollega anche il possesso del Factorum et dictorum memorabilium di Valerio Massimo. Un altro volume, citato nel testamento di G., è il De Civitate Dei di sant’Agostino, prestato al presule dal Convento Maggiore dei frati Minori di Venezia: si tratta di un’opera che, in questo periodo, non raggiunge una grande diffusione ma si presenta ricca di suggestioni per i suoi contenuti e soprattutto per i legami culturali con la corte papale. Anche il codice denominato Paladius, identificabile con l’Opus agriculturae o De re rustica, un trattato di agronomia scritto da Palladio Rutilio Tauro Emiliano nel IV secolo, sembra rifarsi agli interessi dei protoumanisti. G. partecipa di questo nuovo clima culturale, mantenendo negli anni rapporti proficui con la corte papale di Avignone ma anche e soprattutto con l’Università di Bologna: tramite Giovanni di Andrea, il vescovo può, infatti, disporre di interlocutori di rilievo, come Francesco Petrarca, Pietro Alighieri, i fratelli Giacomo e Giovanni Colonna, Nicolò Capocci, che gli permettono di condividere le prime espressioni della cultura umanistica.
ChiudiBibliografia
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