Dottore in decreti, il d.L., da Padova, ecclesiastico curiale detentore di diversi benefici, tra i quali un canonicato a Verona, fu uno stretto collaboratore di papa Eugenio IV (1431-47), che lo nominò collettore generale nei regni di Castiglia e di Leon. Il 23 agosto del 1443 diventò vescovo di Concordia. Non prese però subito possesso della sua sede, essendo stato incaricato di una legazione in Inghilterra per conto del pontefice. Durante la sua assenza i canonici di Concordia chiesero al papa di confermare il trasferimento della sede diocesana da Concordia a Portogruaro, così come disposto dal suo predecessore, ma Eugenio IV, con bolla del 28 gennaio 1445, decise di revocare il provvedimento: non è possibile stabilire se egli si sia consultato o meno con il d.L. prima di prendere tale decisione. Il 20 giugno il vescovo, di ritorno dall’Inghilterra, prese possesso della chiesa di Concordia. Il 3 agosto incontrò il clero diocesano, giunto presso la cattedrale in occasione della festa di santo Stefano: la partecipazione fu però limitata da un’epidemia di peste. Date disposizioni per la costruzione di un nuovo palazzo episcopale a Concordia e nominato un vicario generale, nella persona di Amedeo canonico di Treviso, il vescovo tornò, quindi, a Roma, dove cominciò a collaborare con il fratello Francesco, tesoriere papale. La morte di papa Eugenio IV, avvenuta il 23 febbraio del 1447, lo spinse a lasciare definitivamente Roma per tornare in diocesi, sebbene non fosse sua intenzione risiedervi con continuità: egli dimostrò infatti, in più occasioni, di preferire alla piccola Portogruaro città più grandi e culturalmente più stimolanti, come Padova, Venezia e Ferrara, sulla cui cattedra dal 1447 sedeva il fratello Francesco. Il 6 luglio, nel palazzo di Cordovado, il presule risolse una questione sorta tra il pievano di Azzano e i titolari delle cappelle soggette a quella chiesa in merito alla raccolta del quartese. ... leggi Nello stesso anno fu chiamato a giudicare una causa tra la pieve di Lorenzaga e gli abitanti di Annone, ai quali alla fine concesse di creare una prebenda per un cappellano residenziale. Nel 1448 consacrò la nuova chiesa di S. Martino di Prodolone. In questi anni risedeva in diocesi anche Giorgio, vescovo di Pulati in Albania, cui il vescovo assegnò la vicaria di Cordovado, ma non, come si potrebbe pensare, il ruolo di ausiliare: suo vicario generale era infatti in questo periodo Giacomo de Rubeis. Il 13 dicembre il presule conferì ai signori di Meduno il diritto di avvocazia sul castello omonimo e sulle ville annesse, durante la vacanza della sede. Nell’agosto del 1450, sempre in concomitanza con la festività di santo Stefano, il vescovo incontrò nuovamente il clero diocesano e subito dopo pubblicò gli statuti civili e criminali della diocesi di Concordia, cui aggiunse delle nuove costituzioni. Nel 1451 recuperò un feudo presso Meduno: il 28 novembre il nuovo pontefice, Nicolò V (1447-55), diede esecuzione al provvedimento del vescovo. Nell’ottobre dell’anno successivo il d.L. investì Giacomino di Polcenigo di un manso in Marsure. Tra il 1453 e il 1454 eresse le parrocchie di San Michele arcangelo di Arzene e del Santissimo Corpo di Cristo di Valvasone. Nel 1454 ottenne da papa Nicolò V, per il quale aveva svolto diverse ambascerie a Venezia, il permesso di fare testamento. Morì nell’aprile del 1455, a Ferrara, ospite del fratello Francesco, nominato suo esecutore testamentario. Lasciò al capitolo di Concordia cento ducati da cui ricavare gli interessi necessari alla celebrazione del suo anniversario. Dotò la cappella, da lui edificata nella cattedrale di S. Stefano, di un calice, di una patena d’argento dorato e di un messale miniato. Alla sacrestia della stessa cattedrale, oltre ad affidare altri arredi liturgici (due arazzi grandi, due tappeti, due candelieri, un piccolo catino d’argento) legò altri quattro codici di valore: un breviario «magnum et pulchrum quo utitur in camera», un messale romano «magnum, solemne, novum, in magno volumine», un cerimoniale e un pontificale, poi conservati e rimasti in uso quanto meno fino alla fine del Quattrocento, come testimonia un inventario dei libri del capitolo del 1499.
ChiudiBibliografia
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