Il 20 marzo 1706 le autorità comunali di Cividale stesero i capitoli che dovevano regolare la gestione delle scuole pubbliche cittadine, cui erano stati chiamati a presiedere i padri somaschi. I primi di costoro, a seguito di quella deliberazione, giunsero nella cittadina ducale il 19 settembre successivo, mentre il giorno di sant’Andrea, 30 novembre, dopo le sacre funzioni, fu recitata un’orazione, che servì a prendere ufficiale possesso delle scuole. Queste s’aprirono, con la partecipazione di un centinaio di allievi, il 3 gennaio 1707. In tale occasione si fece la prolusione agli studi. A tenerla (così come l’orazione del 30 novembre precedente) fu un giovane somasco, il veneziano G. L. perché era allora ventunenne, essendo nato nella città lagunare l’anno 1685 (il Dandolo dice 1688, ma ciò lo renderebbe un po’ troppo acerbo per le funzioni svolte già a Cividale). Nacque da padre friulano e, così, qualcuno (come ad es. il di Manzano) lo cita come Leonarduzzi. Le testimonianze coeve, però, e le sue opere a stampa portano sempre il cognome Leonarducci. Aveva vestito l’abito dell’ordine il 25 agosto 1705, nella casa somasca di S. Maria della Salute a Venezia, evidenziando subito capacità, se a lui fu data la responsabilità di tenere quelle orazioni e prolusione, nonostante la giovane età. Tenne inoltre, il primo settembre, l’accademia di chiusura, dal titolo Il Liceo nel Friuli. Per undici anni fu maestro di retorica nello stesso collegio cividalese di Santo Spirito e tra i discepoli ebbe diversi giovani poi distintisi nell’agone culturale: Federico Nicoletti, Giambernardo Pisenti e soprattutto Iacopo Stellini, che si dice egli abbia convinto a vestire l’abito dell’ordine del beato Girolamo Emiliani, mentre originariamente era intenzionato ad entrare tra i francescani. ... leggi La dottrina e l’abilità didattica vieppiù cresciute fecero sì che egli nel 1718 venisse chiamato ad insegnare, sempre retorica, in una delle più importanti scuole somasche, il collegio Clementino di Roma. Qui rimase per una decina d’anni e qui la morte di papa Innocenzo XIII, nel 1724, gli offrì spunto ed ispirazione per quell’opera poetica (La Provvidenza) che gli diede allora ampia fama, pur nella ripresa del modello dantesco. Nel 1701 papa Clemente XI aveva destinato che ogni anno un convittore del Clementino componesse e poi recitasse nella cappella pontificia un’orazione sul mistero della Trinità. Dal 1719 al 1727 il L., quale maestro di retorica, ebbe l’incarico di sovraintendere e seguire tali redazioni. Le orazioni venivano poi pubblicate annualmente. Nel 1728 accettò di accompagnare a Vienna, come istitutore, due convittori, i nobili forlivesi Nicolò ed Andrea Piazza, che nella capitale austriaca si recavano in qualità di paggi, l’uno alla corte dell’imperatore Carlo VI, l’altro a quella della principessa Anna. A Vienna fu apprezzato nel mondo letterario ed anche dall’imperatore, cui dedicò una canzone. Dopo un triennio nella città danubiana, si recò, sempre al seguito dei giovani Piazza, a Napoli, al collegio Macedonio. Fece infine ritorno a Venezia, alla casa professa, ottenendo poi un incarico parrocchiale, per passare poi (1738-41) a Padova, quale preposto alla chiesa di S. Croce, presso l’omonimo collegio somasco, ove proprio in quegli anni era venuto ad alloggiare anche il suo vecchio discepolo Iacopo Stellini. Nel 1741 ebbe nuovamente un incarico scolastico, quale rettore del collegio dei Nobili alla Giudecca. Nel frattempo continuava a lavorare al poema La Provvidenza, dedicandosi inoltre alla stesura di numerose opere ascetiche, ad iniziare da Maniera di ben prepararsi alla comunione, pubblicata a Venezia nel 1732, più volte ristampata per l’abbondanza della dottrina e l’eleganza dello stile, né minor plauso ebbe il componimento latino Augustissimae deiparae in coelum Assumptae carmina, pubblicato dal Bartoli e di cui bene parlò Apostolo Zeno. Altre operette ascetiche ebbero buona accoglienza, anche in questo caso testimoniata dalle riedizioni: Considerazioni morali cristiane per un apparecchio al Santo Natale (Venezia, 1739); Divozioni da praticarsi in onore de’ santi Angeli custodi nella chiesa parrocchiale di S. Croce di Padova (Venezia, 1743); Modo di aspettare la venuta dello Spirito Santo (Venezia, 1744); Esercizio per tre giorni di preparamento alla festa di s. Antonio da Padova (1746); Esercizi per nove giorni da prevenir la festa del beato Girolamo Emiliani (Venezia, 1748); Pratica del comunicarsi (Venezia, 1752); Istruzione per ben confessarsi e comunicarsi e alcune meditazioni in Lezioni, epistole e vangeli delle domeniche ad uso del nob. collegio Mansi (Napoli, 1788). Come detto, la morte di Innocenzo XIII lo colpì profondamente, turbato dall’improvviso venir meno, in un momento difficile per la Chiesa, della guida di un papa di così grandi capacità. Poi, a mente meno turbata, la sua riflessione si spostò sul fatto che non sono gli uomini, pur validi e meritevoli, a regolare le cose umane, ma la Provvidenza divina, e volle rivestire poeticamente tale pensiero. Lo fece richiamandosi a Dante, da lui già da tempo studiato e presentato ai suoi discepoli, in un tempo, ancora pieno della gonfiaggine seicentesca o dedicatosi alle pastorellerie arcadiche, nel quale l’Alighieri era tenuto indubbiamente in poco conto. Fu quindi uno dei primi a richiamarne la poesia ed a ripercorrerne le tracce, aprendo la strada al Varano ed al Monti. Scrisse tre canti, pubblicati nel 1728, credendo di aver così raggiunto il suo obiettivo, ma ci fu chi lo consigliò di dar più corpo all’opera e così essa, per l’accumularsi di sempre nuovi episodi e nuove ispirazioni, si dilatò fino a comprendere quarantacinque canti, che egli diede alle stampe nel 1739. In essi si narra il viaggio che l’autore compie nel Regno del Cielo, guidato dall’Angelo custode, e le sue considerazioni sugli avvenimenti del Nuovo e Vecchio Testamento. Nelle arruffate e apparentemente negative vicende umane egli riconosce via via la presenza di un ammirevole e provvidenziale disegno divino. Quei quarantacinque canti rappresentavano, però, solo la prima parte del poema. Della seconda L. riuscì, prima della morte, a comporre sedici canti, che restarono inediti fino al 1827, quando il somasco padre Moschini ne fece stampare i primi quattro, seguiti l’anno dopo dagli altri dodici. L’opera ebbe molti ammiratori (tra i quali Saverio Bettinelli, non tenero in genere con gli imitatori di Dante). Antonio Evangeli scrisse che La Provvidenza era «fatta ad imitazione di Dante, ma in modo però, che n’emula le virtù, non già ne ricopia, come molti an fatto, i difetti». Alcuni, in effetti, si lanciarono, un po’ arditamente, a porla alla pari per forza poetica e dottrina al modello. Tralasciando tali ingenue esagerazioni, si tratta indubbiamente di lavoro di valore, forse uno dei più validi, nella scia dantesca, prima dell’arrivo del Monti. Possiede uno stile energico, presenta immagini vivide, atte a rappresentare i grandi fenomeni della natura ed i misteri della religione, ma anche eccessiva uniformità e aridità nella trattazione, che, più che nutrita di fatti e personaggi, si mostra didascalica, seguendo la dottrina tomistica. Educatore prudente, savio e premuroso, nell’ottobre 1750 il L. ottenne di tornare a Cividale, quale rettore del collegio, e lì mori, per un colpo apoplettico, l’8 giugno 1752. «Il suo nome presso i Cividalesi suona ancora come l’ultimo tocco dell’arpa di un angelo», scriveva nel 1835 il Fapanni. Alcune opere manoscritte sono presenti nell’Archivio Somasco di Genova: Traduzione delle favole di Fedro; Esercizio del cristiano; Sopra la Poetica; Regole universali da osservarsi dai convittori; Regole della lingua italiana.
ChiudiBibliografia
G. LEONARDUCCI, La Provvidenza, Venezia, Occhi, 1739 (= Venezia, Alvisopoli 1827-1828); ID., Maniere di ben comunicarsi […], Venezia, Monti, 1732; ID., Divozioni da praticarsi in onore de’ santi Angeli custodi nella chiesa parrocchiale di S. Croce di Padova, Venezia, Occhi, 1743; ID., Modo di aspettare la venuta dello Spirito Santo, Venezia, Occhi, 1744; ID., Esercizi per nove giorni da prevenir la festa del beato Girolamo Emiliani, Venezia, 1748; ID., Pratica del comunicarsi, Venezia, 1752; ID., Istruzione per ben confessarsi e comunicarsi e alcune meditazioni in Lezioni, epistole e vangeli delle domeniche ad uso del nob. collegio Mansi, Napoli, 1788.
G. MOSCHINI, Della letteratura veneziana del secolo XVIII fino a’ nostri giorni, Venezia, Palese, 1806-08, II, 148; III, 154; B. GAMBA, Galleria dei letterati ed artisti più illustri delle Provincie Austro-Venete al finire del secolo XVIII, Venezia, Alvisopoli, 1822 (= Bologna, Forni, 1975); F.S. FAPANNI, Gaspare Leonarducci, in Biografia degli Italiani illustri, a cura di E. DE TIPALDO, II, Venezia, Alvisopoli, 1835; T. BORGOGNO, CRS d. Gaspare Leonarducci, «Album. Giornale letterario e di belle arti», V/5 (1839), 405; G. DANDOLO, La caduta della Repubblica di Venezia ed i suoi ultimi cinquant’anni, Venezia, Naratovich, 1855, 324-325; Nouvelle Biographie Générale, XXIX, Paris, Didot et C., 1862, 740; Biographisches Lexikon des Kaiserthums Oesterreich, 15 Theil, Wien, Hof u. Staatsdruckerei, 1866; DI MANZANO, Cenni, 112; L. ZAMBARELLI, Il culto di Dante tra i padri somaschi, Roma, Tipografia Istituto Pio IX, 1921, 73-89; G. NATALI, Storia letteraria d’Italia. Il Settecento, Milano, Vallardi, 1929, 748; D. MONDRONE, Un poema settecentesco dimenticato, «Civiltà Cattolica», 10/2 (1939), 331-346; M. LENARDUZZI, Gaspare Leonarduzzi, «Il Barbacian», 2 (1998), 96; DBF 447-448.
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