V. L. è uno dei pittori che animano il panorama artistico friulano tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento. Sono scarse le notizie sulla sua vita; si sa che nacque in Udine intorno al 1565-70 da un falegname di nome Giovanni, che nel 1591 sposò Chiara, figlia di Gerolamo Ercoliani di Udine, speziale, e che morì il 26 settembre 1620. Ebbe due figli, entrambi pittori, Girolamo, il più noto, e Giovanni Giacomo che l’8 febbraio 1624 venne citato in un processo con l’annotazione che lo diceva allora vivente fuori dal Friuli in località sconosciuta. Lo stesso il 28 marzo 1628 venne pagato per aver dorato il battistero della chiesa di Vito d’Asio. Più numerose le notizie che riguardano la attività pittorica di V.: nel 1591 dipinse due ancone per la chiesa di S. Stefano di Palazzolo; il 10 febbraio 1592 fu pagato per due ancone fatte per la chiesa dei SS. Giusto e Martino di Premariacco e per un’ancona realizzata per la fraterna di S. Daniele di Virco; il 22 febbraio 1593 convenne di fare per la chiesa di S. Silvestro a Premariacco, per 100 ducati, un’ancona alta nove piedi e mezzo e larga sei piedi, scolpita in legno e dorata colle figure della Madonna con il Bambino, san Giuseppe coll’asinello e due pastori nella parte centrale, e le figure di sant’Antonio con il maiale a destra e santa Lucia a sinistra; in alto, l’Eterno Padre in una gloria di angeli al centro tra l’angelo dell’Annunciazione a destra e la Madonna annunciata a sinistra. Nel 1594 realizzò un tabernacolo per la chiesa di Mortegliano per 275 ducati; l’8 aprile 1596 compariva come cameraro della chiesa di S. Cristoforo di Udine; il 20 agosto dello stesso anno pretese 12 ducati come residuo di un vessillo dipinto per la chiesa di S. Stefano di Palazzolo; e il 23 successivo i procuratori della chiesa di S. Giorgio a Pagnacco furono obbligati dall’autorità ecclesiastica a dare al pittore, entro sei giorni, la somma di 15 ducati per la fattura di un tabernacolo. ... leggi Il 6 novembre 1596 i camerari della chiesa di Firmano di Premariacco dichiararono che l’ancona con tabernacolo promessa dall’artista non era ancora completa: il patriarca di Aquileia chiese a V. di ultimare l’opera per le feste di Natale. Nel 1597 scolpì un tabernacolo per l’abbazia di Rosazzo e stimò 705 lire una pala dipinta da Giulio Brunelleschi per la chiesa di Buttrio; nel 1597 ugualmente ne fece uno per la chiesa di S. Martino di Terzo sotto la cameraria di Zaccaria Perozzo; nel 1597-1598 indorò e dipinse l’organo eseguito nel 1553 da Vincenzo Colombo per la chiesa di S. Cristoforo a Udine; il 13 marzo del 1600 l’intagliatore Pietro Tellino citò il capitolo di Cividale che non gli aveva ancora pagato una pala eseguita per la chiesa di S. Stefano già stimata 125 ducati da Giulio Brunelleschi e V. L. il 28 gennaio; nel 1602 eseguì ornamenti alle finestre, alla porta grande e alla croce sopra la strada nell’oratorio del Crocifisso di Udine; nel 1608, per lo stesso edificio, dipinse «la pala et la pitura a paesi et figure dietro la croce» intagliata da Pietro Tellino. Il 4 agosto 1619 presentò una sua stima di 286 lire per vari lavori eseguiti da Giulio Brunelleschi in Buttrio; nello stesso anno restaurò gli affreschi condotti da Pomponio Amalteo nel palazzo comunale di Gemona; nel 1620 dipinse due quadri con la Natività di Gesù e la Nascita della Madonna da mettere ai lati dell’altare maggiore nella chiesa di S. Maria di Castello in Udine. Non si conosce la sua formazione iniziale, che può essere tuttavia in qualche modo recuperata attraverso la lettura delle opere conosciute, a partire dalla prima, un quadro, datato e firmato, dipinto nel 1589 per il collegio dei notai di Udine, dove rimase fino alla prima guerra mondiale: fu all’epoca trafugato (o venduto) e finì in Germania, per adornare infine il coro della chiesa parrocchiale di S. Lorenzo a Mittweida, in Sassonia. Se pur privo della cornice originaria, è un dipinto di grande interesse sia per la dimensione (cm. 110×364) sia per l’argomento allegorico, che ricalca i grandi quadri di committenza pubblica del periodo: raffigura al centro la Sacra Famiglia tra San Giovanni Evangelista e San Marco Evangelista seduto su un leone antropomorfo che tiene tra le zampe lo scudo ovale d’argento allo scaglione di nero della città di Udine. In quest’opera il L. sembra discostarsi da quel pordenonismo di fondo che è dato costante della pittura friulana del Cinquecento e guardare invece ai maestri veneti, al gigantismo drammatico del Tintoretto e soprattutto al luminismo e ai giochi chiaroscurali di Iacopo Bassano. Ciò che appare evidente soprattutto nella sua opera di maggior impegno, la bella tela del 1597 raffigurante la Flagellazione, dipinta per la cappella della confraternita del Crocifisso nella chiesa di S. Francesco di Udine ed oggi visibile nella chiesa di S. Antonio Abate. Il L. è discontinuo nella resa qualitativa dei lavori, che comunque talvolta mostrano interessanti brani paesaggistici e gradevoli impasti di colore, come nel dipinto della basilica della B. V. delle Grazie di Udine dove con insolita iconografia raffigura Sant’Antonio che predica da un albero (1604), rifacendosi in ciò ad una diffusa leggenda secondo la quale il santo venne a Udine nel 1227 per predicare contro le eresie. Dipinti da lui eseguiti si conservano soprattutto a Udine e a Gemona del Friuli, nel cui duomo è stato trasportato un altare del L., già nella chiesa di S. Maria la Bella, semidistrutto dal terremoto ed abilmente poi restaurato. La pala raffigura la Vergine in trono e santi, è datata e firmata 1612, ed è considerata dal Marchetti una delle migliori opere del pittore; nella predella, minuscole figure dell’Annunciazione e due deliziosi episodi della vita della Vergine.
In quanto a Girolamo Lugaro, figlio di V., le notizie biografiche sono ridotte a ben poco: si sa che il 14 maggio del 1635 nella chiesa di S. Cristoforo a Udine fu padrino al battesimo di Girolama Anzola figlia del sarto francese Giacomo Eglin, e analogamente il 15 ottobre dello stesso anno padrino al battesimo di Sebastiano Bombelli, il futuro ritrattista; che possedeva, insieme con il fratello (probabilmente Giovanni Giacomo, di cui in una carta del 1624 rimane il ricordo) una casa in Mercatovecchio (già di proprietà del padre), che, infine, morì il 13 gennaio 1650, fu sepolto in S. Cristoforo. La sua attività artistica è attestata da alcuni documenti che lo vedono operoso in San Daniele del Friuli tra il 1624 ed il 1626, dove per 55 ducati dipinse un grande quadro per il comune, per 85 ducati le portelle dell’organo del duomo e per 40 ducati la Torre delle Ore. Quest’ultima opera è andata perduta, mentre le altre sussistono, anche se non più in situ. Il dipinto del comune si trova oggi nel locale Monte di pietà: di grande dimensione (cm 232 x 323), rappresenta un’Allegoria della città di San Daniele, con la Trinità e la Vergine in alto tra nubi e angeli in volo recanti corone e serti di fiori e in basso le figure di san Daniele profeta inginocchiato sulla sinistra e san Michele in piedi sulla destra. Al centro, la veduta di una città ideale e quella di San Daniele, la più antica che si conosca, con le case, i campanili, le torri alte sul colle coperto di fitta vegetazione. Impaginate entro una calibrata scenografia, le figure sono bloccate nella loro ufficialità, ma nello sforzo di far risaltare la propria simbologia perdono in comunicativa e vivacità. Del resto, il quadro rientra in quel genere di pitture di commissione pubblica che tra Cinque e Seicento fiorì nell’intero Stato veneto. Per scelta e stesura dei colori, tecnica, invenzione ed impaginazione, pur con qualche sgrammaticatura si qualifica come dignitoso prodotto d’arte e spiega perché i camerari del duomo sandanielese l’anno seguente 1625 affidarono al suo autore la pittura delle portelle dell’organo vecchio con la raffigurazione dell’Uccisione di Abele, del Sacrificio di Isacco, di Mosè e Aronne e della Caduta della manna, Il lavoro fu accolto con unanime soddisfazione e il 24 aprile 1625 il pittore fu pagato con 85 ducati. Nel 1797 le pitture furono tolte dalla sede originaria, ridotte in quattro grandi quadri e collocate sulle pareti laterali del duomo, accanto a due tele di Pomponio Amalteo. Mostrano tutti i limiti dell’arte di G., in quanto sono nel complesso composizioni prive di respiro, sorde nel colore, incerte nella rappresentazione delle figure umane e nella definizione degli spazi, animate da un gigantismo inane che solo alla lontana si riallaccia ai modelli della tradizione pordenonesca. Rappresentano l’ultima opera ad oggi conosciuta del pittore, in quanto non datati sono due altri dipinti conservati nel duomo di San Daniele e raffiguranti Cristo con gli strumenti della Passione e La strage degli innocenti.
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