Nato a Udine nel 1526, il L. compì nella città natale la sua prima formazione, forse sotto la guida di quello stesso Sebastiano Fausto da Longiano che insegnò al fratello Francesco, apprendendo con profitto il latino e anche il greco, come dimostrano la perizia usata nel tradurre e nell’utilizzare Ippocrate e Galeno, e le poesie composte direttamente in lingua antica. Perfezionò quindi la sua prima formazione umanistica e arricchì gli interessi letterari con lo studio della filosofia e della medicina a Padova, dove probabilmente seguì le lezioni del famoso medico Oddo degli Oddi, al quale dedicò i giovanili esametri degli Aforismi ippocratei e di cui celebrò poeticamente i successi scientifici e professionali («In Oddi de Oddis […] medicamentum novum inventum 1554»), e di Bernardino Tomitano, al quale dedicò nel 1567 la propria opera De morbo Gallico. Trasferendosi a Venezia fece lì pratica di medicina sotto la guida di Giannantonio Secco da Crema («mia fida […] scorta ne la prattica di medicina», manoscritto Hortis, I 56) fino, parrebbe, al 1554 quando, come testimoniò lui stesso dedicando al Secco il De compescendis animi affectibus, iniziò la libera professione. Il rapporto con il maestro rimase peraltro vivo nel tempo, se nel 1574 indirizzò alla vecchia guida i versi «de maris excrescentia Venetam Urbem inundante». Quello di Venezia – come ancora lasciano intendere le numerose poesie che egli inviò a colleghi e a personalità della realtà veneziana, e che compose in occasione di eventi significativi – fu l’ambiente nel quale il L. si realizzò professionalmente come medico e dove condusse una vita ricca di corrispondenze e relazioni nel tessuto sociale, politico e culturale della Repubblica: lo fanno intuire l’epigramma composto per la morte del patrizio Niccolò Zeno, grande politico, storico e uomo di cultura («In Nicolai Zeni obitum 1565»), i versi dedicati a Jacopo Sansovino in onore delle sue statue di Marte e Nettuno con cui l’artista illustrò la Scala dei giganti di Palazzo ducale («In Iacobi Sansovini Florentini sculptoris Neptunum et Martem marmorea signa Venetiis fixa in scala Palatii Divi Marci 1566»), le lodi rivolte alla riuscita professionale di medici suoi conoscenti (tra le altre: «In Aloysium Bonardum medici […] ad Muranensium publicam curam electum […] 1570»); nello stesso modo, la partecipazione con cui il L. – rivolgendosi a quelli che dovette ormai considerare come i propri concittadini – coglie e dà risalto ad alcuni passaggi chiave della vita della Repubblica e dell’Europa del tempo è indice di sentimenti e interessi in linea con i valori della classe dirigente veneziana («In […] Venetos senatoresXLIconclusos pro […] duce eligendo [1567]»; «Ad […] Venetos […] navalem bellum contra Turcos […] comparandos»). Dalla stessa attività poetica occasionale e di dedica emerge, d’altra parte, il segno profondo che nel L. aveva lasciato l’esperienza padovana, come dimostrano le poesie da lui indirizzate a illustri medici e scienziati padovani, per elogiare le loro opere date alla stampa («In terapeuticon Pauli Pernumia […] Patavini» [1564]) o nella circostanza della loro scomparsa («In M. Antonii Passeris Patavini Philosophi obitum 1563»). L’attaccamento alle proprie radici impedì al L. di rescindere il vincolo che lo legava alla terra del Friuli e alla sua cultura. ... leggi Egli partecipò, infatti, con suoi versi latini a diverse raccolte poetiche sotto il segno di personaggi della Patria, come a quella del 1561 per la morte di Irene da Spilimbergo, musa tutelare dei poeti veneti e friulani – per la quale il L. scrisse anche versi greci; oppure alla celebre silloge delle Rime sopra la fontana di Helice, allestita da Cornelio Frangipane nel 1566; il L., inoltre, proclamando l’antica clientela della «Luisina familia» nei confronti della schiatta dei Savorgnan, dedicò a Girolamo Savorgnan, pievano di Flambro e vescovo di Sebenico, il suo Tractatus de confessione aegrotantium (1563). La data di morte del L., come dimostrano le dediche di alcune sue poesie, è successiva al 1577 (al 1576, secondo Cirilli). Il racconto fatto dal L. sulle circostanze che lo spinsero a presentare al giudizio di Domenico Venier il proprio commento al sonetto petrarchesco Il mal mi preme et mi spaventa il peggio ben sintetizza la figura di medico e di letterato dell’autore, personaggio in cui la spiccata inclinazione umanistica si fonde con le irrinunciabili istanze pratiche. Nella lettera di dedica al Venier, grande animatore della vita culturale veneziana del tempo, il friulano descrive infatti il modo in cui, senza sottrarre tempo all’esercizio della sua professione, egli avesse condiviso il proprio scritto in corso di elaborazione con il suo maestro Giovannantonio Secco, al quale «ghe lo venni a leggere in barca a parte a parte mentr’io lo accompagnavo ne le visite de gl’infermi». E tale compresenza di aspetti legati all’attività operativa con quelli più strettamente speculativi e critico-letterari è il tratto che distingue anche la produzione del L., la quale accanto alla giovanile traduzione in versi degli Aforismi ippocratei (Aphorismorum Hippocratis sectiones septem nuper e Graeco in Latinum carmen hexametrum versae, 1552) annovera altre più mature trattazioni, di ampio respiro quale il De compescendis animi affectibus per moralem philosophiam et medendi artem (1562), di impianto effettivo come il Tractatus de confessione aegrotantium a die decubitus instituenda (1563), di carattere editoriale come il De morbo Gallico omnia quae extant apud omnes medicos cuiuscumque nationis (1567), e anche opere – in volgare – di natura letteraria e materia medico-fisiologica come il Dialogo intitolato La cecità (1569), ispirato al caso del medico veneziano Niccolò Massa, divenuto cieco in tarda età. Un risvolto invece eminentemente letterario e linguistico è rappresentato dal già citato commento manoscritto inedito, probabilmente autografo, al sonetto petrarchesco Il mal mi preme. Le fonti del commento al sonetto esplicitate nel manoscritto ai margini dell’esposizione indicano, accanto a qualche testo letterario (Omero, Cicerone, Rethorica ad Herennium, Petrarca, Ariosto) e scritturale, un gran numero di riferimenti aristotelici e una preponderanza assoluta di citazioni dalle opere di Galeno. Tale dato, se riscontrato con l’affermazione contenuta nella dedicatoria a Venier di aver steso l’operetta («caprizzo») nelle pause di una metodica attività di traduzione dai due autori greci («non potendo sempre esser’intento in volgere Aristotele e Galeno»), oltre a documentare un ulteriore aspetto dell’attività scientifico-culturale del L. vale a definire con precisione il suo atteggiamento esegetico, rivolto a dotare il testo del sonetto di una interpretazione filosofico-medico-scientifica piuttosto che considerarlo nei suoi aspetti retorico-formali. Tuttavia, alcuni riferimenti precisi e polemici nei confronti di precedenti interpretazioni del sonetto, contenute nei commenti di Girolamo Squarciafico (1497) e Alessandro Vellutello (1525), dimostrano che il L. non fu affatto digiuno di conoscenze retoriche e letterarie, che erano invece inserite in un’ampia preparazione culturale e scientifica. A integrare il quadro, stanno diversi interventi della mano che scrive i quali, accanto a qualche modifica di contenuto, apportano correzioni formali, di lingua e di stile, tese a eliminare le escursioni dialettali del testo, uniformando il dettato secondo alcune delle indicazioni del modello bembiano del fiorentino trecentesco.
ChiudiBibliografia
Ms BAU, Bartoliniana, 20, 81-147 (carmina e liriche greche copiate da Domenico Ongaro); ms BCU, Joppi, 164 (carmina e liriche prob. autografe, di cui quelle datate coprono gli anni 1562-77); ms BNMV, Lat., XII, 150 (4395), f. 117v (epigramma «Lustra diu vivens vidi numerosa, coegi»); ms Trieste, Biblioteca civica, “A. Hortis”, Petrarchesca, I 56 (commento al son. Rvf 244); l’Iter Italicum fornisce ulteriori riferimenti in opere manoscritte (II 174, 203, 205, 259, 274; V, 523a, 523b; VI, 235a).
F. LUISINI, Aphorismorum Hippocratis sectiones septem, nuper e Graeco in Latinum carmen hexametrum versae ab Aloysio Luisino Utinensi, Venezia, Giunta, 1552; ID., De compescendis animi affectibus, per moralem philosophiam et medendi artem tractatus in tres libros divisus, Basilea, Perna, 1562; ID., Tractatus de confessione aegrotantium a die decubitus instituenda, Aloysio Luisino […] auctore, Venezia, Guerra, 1563; ID., De morbo Gallico omnia quae extant apud omnes medicos cuiuscunque nationis, qui vel integris libris, vel quoquo alio modo huius affectus curationem methodice aut empirice tradiderunt […], I-II, Venezia, Ziletto, 1566-1567; ID., Dialogo intitolato La cecità de l’ecc. medico m. Luigi Luisini, Venezia, G. de’ Cavalli, 1569; poesie in: Helice; carmina in Diversorum praestantium poetarum carmina in obitu Irenes Spilimbergiae, Venezia, Guerra, 1561.
LIRUTI, Notizie delle vite, II, 148-153; VALENTINELLI, Bibliografia, 332, 335, 351; F. CIRILLI, Luigini, Francesco, in DBI, 66 (2006), 504.
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