Il nobile pordenonese A. M. (figlio di Giovanni Daniele), processato dal Sant’Ufficio nel 1571-73, proveniva da una illustre casata di origini comasche. Va distinto dal cugino Alessandro di Francesco, padre di quella Anna Mantica, che andò sposa nel 1530 al capodistriano Nicolò Vergerio, nipote di Pier Paolo Vergerio. Nacque intorno al 1503. Frequentò l’Università di Padova dal 1522 al 1524 e fu poi per un biennio a Bologna. Non conseguì il dottorato, ma poté praticare l’avvocatura a Pordenone; soggiornò lungamente anche a Venezia, dove strinse amicizia col celebre avvocato Francesco Assonica. “Cittadino primario” della terra di Pordenone, dotato di un patrimonio stimato intorno ai 40.000 ducati, il M. negli anni Sessanta esercitava una grande influenza fra i nobili del consiglio: nel 1561 e 1566 fu eletto consigliere e giudice e rappresentò la sua terra, come nunzio, nei contatti con altre comunità vicine. Fu però coinvolto in una serie di sanguinose faide e lotte di fazione, le cui origini venivano fatte risalire alla tradizionale inimicizia fra le famiglie Mantica e Rorai (o Rorario). L’inizio effettivo dei contrasti fu rappresentato da una sanguinosa faida fra i Mantica e i della Porta, scoppiata nel 1534; e poi da una disputa legale tra i Mantica da un lato, ed i Ricchieri e i Domenichini dall’altro, iniziata nei tribunali nel 1557 e rapidamente degenerata. Per fronteggiare l’opposizione delle potenti casate pordenonesi dei Ricchieri, Domenichini, Rorai, Cesena e Gregoriis, cui si erano uniti gli Alberti, i Brunetta, i Fanzago e Rossitti, il M. contava sul numeroso parentado, sugli amici (i Fontana e i Franceschini) ed anche su una banda di uomini da lui reclutati. ... leggi Già nel 1560 la giustizia del duca di Mantova lo aveva accusato di aver pagato un sicario nel tentativo di uccidere Girolamo Scrova, suo rivale in una questione di dote. Altri bravi furono assoldati negli anni seguenti: sicché nel 1571 i suoi uomini, pur decimati da bandi e arresti, erano ancora una dozzina: guidati dal figlio del celebre pittore detto il Pordenone, Curio Regillo, essi giravano per la città con armi da taglio ed archibugi a ruota. Gli avversari non erano da meno ed i rettori veneti di Pordenone erano sostanzialmente impotenti. A poco erano quindi valse le apparenti riconciliazioni pubbliche, come quella con Antonio Domenichini nel 1568-69. È perciò probabile che i suoi avversari abbiano voluto colpire strumentalmente il M. con la denuncia presentata contro di lui al Sant’Ufficio il 5 giugno 1568. Certamente il nobile non si comunicava, anche a causa delle molte inimicizie, da oltre quarant’anni; ed era ora accusato del possesso di libri di Pier Paolo Vergerio, di comportamento irreligioso e di negazione dell’immortalità dell’anima. Però il processo nei suoi confronti fu avviato solo nell’ottobre del 1571. Sul tramonto delle sue fortune può avere quindi influito l’ostilità del nuovo rettore veneziano di Pordenone, Andrea Bollani, che si era accostato ai suoi nemici. Dopo che un commissario dell’Inquisizione ebbe interrogato a Pordenone i testimoni d’accusa, il M. fu citato a comparire davanti al Sant’Ufficio di Venezia, dove il suo costituto ebbe luogo nel corso di quattro impegnative sedute, tra il 10 novembre 1571 e il 26 gennaio 1572. Cercò di dimostrare la propria completa innocenza; ma solo l’accusa di aver posseduto e letto scritti del Vergerio fu lasciata cadere, perché risultò dalle testimonianze che essa riguardava principalmente un parente, Giovanni Battista Mantica, ormai deceduto. Il tribunale decretò l’arresto il 27 marzo 1572. Detenuto nel carcere di S. Giovanni in Bragora, fu rilasciato l’11 settembre per motivi di salute, ma gli fu assegnata “loco carceris” la sua abitazione veneziana a San Felice. Nonostante la forzata assenza da Pordenone, il M. fu quasi certamente corresponsabile degli scontri ivi avvenuti il 18 ottobre 1572, allorché i suoi uomini tentarono di dare l’assalto alle case di Girolamo de Gregoriis, podestà, e dei fratelli Cesena. A. fu quindi nuovamente arrestato il 25 ottobre 1572 per ordine del Sant’Ufficio di Venezia, con l’imputazione di avere ordinato l’assassinio dei testimoni dell’accusa, di cui si era illegalmente procurato i nominativi. Tuttavia il nuovo rettore veneto di Pordenone, meno ostile al M. del suo predecessore, non volle avallare questa interpretazione dei tumulti. Ciò alleggerì la posizione processuale di A. che fu infine giudicato dal Sant’Uffizio, con sentenza del 29 maggio 1573, «vehementemente sospetto» di eresia. Lo si accusava in particolare di essersi espresso in maniera ambigua intorno all’immortalità dell’anima. Aveva citato l’Ecclesiaste (3, versi 18 e seguenti); ma «essendo persona di lettere […] non si conveniva con persone idiote spesse volte allegare ‘quod iumentorum et hominum par esse interitus’, dando argomento che l’anima rationale sia mortale». Lo stesso giorno, a porte chiuse, A. pronunciò l’abiura davanti al tribunale. Avrebbe dovuto risiedere per cinque anni a Venezia o nel dogado, salva grazia, recitare ogni settimana i salmi penitenziali e confessarsi quattro volte l’anno, dandone conto al tribunale per tre anni. Già il 18 agosto 1572, confessatosi e comunicatosi a S. Felice, fu autorizzato a muoversi liberamente anche fuori Venezia. Consegnò regolarmente al tribunale le fedi dei suoi confessori, tutte rilasciate nella parrocchia di S. Felice, tranne l’ultima, datata Concordia, 12 giugno 1576. Non si sa se sia sopravvissuto alla grande epidemia di peste, che colpì in quell’anno l’area veneto-friulana.
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ASV, S. Ufficio, 34 (contiene anche un albero genealogico dei Mantica); Ibid., Collegio, Suppliche di fuori, 314, f. 206, Fulvio Rorario, 8 gennaio 1560 m. v.; ivi, 320, f. 61, Ettore Ricchieri, 28 aprile 1566; ivi, 326, ff. n.n., suppliche di Girolamo de Gregoriis e di Alessandro Mantica del 21 e 22 ottobre 1572.
C. GINZBURG, Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del ’500, Torino, Einaudi, 1976, 175-176, n 81; N.S. DAVIDSON, An armed band and the local community on the Venetian Terraferma in the sixteenth century, in Bande armate, banditi, banditismo e repressione di giustizia negli Stati europei di antico regime, a cura di G. ORTALLI, Roma, Jouvence, 1986, 401-422; A. DEL COL, L’inquisizione nel patriarcato e diocesi di Aquileia 1557-1559, Trieste, Edizioni Università di Trieste, 1998, 107, 406.
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