Nacque nel 1801 a Giassico, frazione di Cormons, da Leonardo, appartenente a una nobile famiglia friulana che aveva avuto diritto di seggio nel parlamento della Patria, e da Antonia Nicoletti, pure discendente dall’antica famiglia cividalese che aveva avuto tra i suoi esponenti Marcantonio Nicoletti. Nel 1857 Francesco e il fratello Ottaviano ottennero con diploma imperiale il titolo comitabile trasmissibile agli eredi. Come racconta lo stesso d. M. nei Cenni autobiografici, dopo una prima formazione nella casa paterna insieme con i fratelli sotto la guida del precettore Iacopo Pigani di Zompitta del Torre, studiò a Cividale presso il collegio dei padri somaschi fino alla loro soppressione nel 1810, per ritornare per un breve periodo a Giassico. Nel 1811-1813 frequentò le scuole pubbliche di Cividale; poi rientrò a Giassico sotto la guida di un nuovo precettore, Nicolò Iacuzzi di Premariacco fino al 1819, quando si iscrisse al Liceo di Udine, dove ebbe tra i professori Bartolomeo Aprilis, Francesco Cocconi, Iacopo Pirona, Luigi Zandonella. Nel 1821 avrebbe dovuto frequentare il corso di giurisprudenza dell’Università di Padova, ma, spinto dall’amore per la pittura, preferì seguire l’Accademia di belle arti di Venezia. Anche se nel 1825 dovette abbandonare gli studi pittorici a causa di un’oftalmia, d. M. continuò a dipingere e disegnare per tutta la vita. Nel 1829 si sposò con Orsolina Sellenati, morta di parto dando alla luce il figlio Edoardo; nel 1835 si risposò con la cividalese Giovanna de Puppi, madre dell’altro figlio, Alfredo. ... leggi Ricoprì alcune cariche pubbliche: fu podestà di Brazzano nel 1828-1829 e nel 1850-1854, consigliere in vari anni nei comuni di Manzano, San Giovanni, Corno di Rosazzo, Cividale, Cormons, presidente per due volte alle elezioni dei deputati del consiglio dell’Impero per il distretto di Gradisca. La sua vita fu caratterizzata da pochi e brevi viaggi, come egli stesso racconta nei Cenni autobiografici: nel 1834 nel Veneto per conoscere da vicino opere d’arte, nel 1860 e 1861 a Graz, alcune volte a Trieste e nelle principali località del Friuli. Verso i quarant’anni cominciò a interessarsi di ricerca storica, avvalendosi in primo luogo degli inediti di Marcantonio Nicoletti, i cui scritti erano passati in eredità alla sua famiglia, oltre che delle biblioteche di amici, come Iacopo Pirona, Giandomenico Ciconi, Costantino Cumano. Socio dell’Accademia agraria di Gorizia e dell’Accademia di Udine, entrò in contatto con il Gabinetto Vieusseux di Firenze e con la Deputazione di storia patria per le Venezie, avviando collaborazioni di tipo erudito. Compilò, infatti, per le Famiglie celebri italiane di Pompeo Litta la genealogia dei della Torre di Udine e Gorizia, fornì notizie sulla famiglia di Manzano a Giovanni Battista di Crollalanza, notizie storiche sulla chiesa di Gradisca al rettore dell’Università di Graz, Franz Gustav Schreiner, altre notizie storiche friulane a Carlo von Czoernig. Nel 1858, dopo la pubblicazione di brevi saggi su riviste, uscì a Udine – dopo aver raccolto un qualificato numero di sottoscrizioni – il primo volume degli Annali del Friuli ossia Raccolta delle cose storiche appartenenti a questa regione, risultato di un amplissimo spoglio di documenti ordinati cronologicamente, completati nel 1868 con l’edizione del sesto volume, a cui ne seguì nel 1879 un settimo di aggiunte. Nei primi sei volumi d. M. raccolse notizie dall’età romana al 1420, nel settimo dal 1420 al 1797, privilegiando però l’età patriarchina su quella veneta, mosso dalla volontà di presentare lo Stato dei patriarchi come sovrano o anche – sulla linea della storiografia romantica, come suggerì Mor – di soffermarsi sul medioevo quale momento formativo dello «spirito della nazione», mentre dopo il 1420 la storia del Friuli è più brevemente presentata in funzione di quella della Repubblica veneta. Egli inserì note su usi e costumi, sull’economia, ma soprattutto ordinò insieme i fatti sia della Patria del Friuli sia del Friuli arciducale, per dimostrare l’unità di una regione da ripensare nella grande patria italiana – fu in corrispondenza anche con Prospero Antonini – di contro a chi, sulla base di motivazioni politiche ed economiche, trovava invece il significato delle vicende di Gorizia e Gradisca soltanto nella storia imperiale. La spinta nazionale di d. M. è presente anche nella sintesi della stessa opera, data alle stampe nel 1876, Compendio di storia friulana, concepita come manuale di storia patria dalle origini all’inizio del secolo XIX, arricchita da un’appendice sulla «civiltà» del Friuli (usi e costumi, istituzioni, sistema feudale, sistema commerciale e monetario) e destinata ai giovani delle scuole superiori, alla «studiosa gioventù friulana». Il tema del «confine naturale» e della nazionalità fu sentito fortemente da d. M., che si sforzò di dimostrare come la divisione tra i due Friuli, originata dalla storia politica, avesse cominciato ad attutirsi nel secolo XVIII per effetto della circolazione delle idee, permettendo il sorgere di un processo in atto, un’ideale ricomposizione dell’originaria nazionalità italiana che comunque aveva resistito agli influssi della cultura tedesca nel Goriziano e nel Gradiscano (Cenni storici sui confini del Friuli e la sua nazionalità, «Pagine friulane», 1894). Il d. M. progettò un’originale ricerca sui castelli friulani, individuando una linea d’indagine di rilievo per la storia regionale già nel settimo volume degli Annali del 1879 (capitolo Cenni sull’importanza di una storia dei castelli in Friuli, 289-293), di cui anticipò i contenuti sull’«Archeografo triestino» (Breve prospetto preparatorio ad una storia dei castelli friulani, 1881), ma l’opera non ebbe seguito. Il primo giudizio sugli Annali, recensiti nel 1860 da Filippo Luigi Polidori sull’«Archivio storico italiano» di Firenze, fu duramente negativo. Polidori rimproverò a d. M. di avere accettato con spirito acritico tutte le fonti e di avere proposto un lavoro erudito di vecchio stampo. Sulla stessa linea si espresse nel 1869, dopo l’uscita del sesto volume, Giuseppe Occioni Bonaffons in un articolo uscito sull’«Archivio storico italiano» e riproposto sugli «Atti dell’Accademia di Udine». Gli rimproverava dal punto di vista metodologico di essere venuto meno ai principi basilari di Muratori, vale a dire la valutazione dell’autenticità e dell’attendibilità della fonte citata, pur riconoscendogli il merito di avere raccolto e ordinato copiose notizie, ma soltanto per l’età patriarchina, riducendo troppo drasticamente lo spazio dedicato al periodo veneto. Dalla recensione di Occioni Bonaffons usciva anche la raccomandazione agli studiosi di storia patria – di cui il Friuli vantava una lunga tradizione – di non dimenticare la lezione muratoriana per continuare a scrivere la «desiderata storia d’Italia». Lo stesso Occioni Bonaffons segnalò l’uscita del settimo volume degli Annali, evidenziando come nelle aggiunte fosse stato ampliato il periodo veneziano e come l’opera risultasse utile agli studiosi per la ricchezza del materiale, ma senza entusiasmi, anche se dimostrò di apprezzare la personalità del conte friulano, di cui nel 1890, nel suo genetliaco, tracciò per l’«Archeografo triestino», che nell’occasione volle dedicargli alcuni scritti, una biografia che ne esaltava le qualità morali e la tenacia nello studio. Scarsa attenzione fu riservata dalla critica al Compendio (l’«Archivio veneto» si limitò a darne notizia, ma soltanto perché opera di un socio della Deputazione di storia patria per le Venezie da poco costituita), come pure alle pubblicazioni successive di d. M.: Marcantonio Nicoletti. Cenni biografici. Il castello di Cormons (1880), dedicato all’antenato materno di cui egli voleva far conoscere gli scritti che però incontrarono giudizi negativi per molte ingenuità e acriticità; Cenni biografici dei letterati ed artisti friulani dal secolo IV al XIX (1884), ampliato nei Nuovi cenni (1887), contenente biografie anche inedite di personaggi sia del vecchio territorio della Patria sia del Friuli imperiale. d. M. morì a Giassico il 6 marzo 1895. Generiche furono le prime commemorazioni d’occasione, tra cui quella di Leicht, che nel 1901 tratteggiò la figura del nobiluomo che assiste al crollo della società feudale, a cui tradizionalmente apparteneva la sua famiglia, per aprirsi al mondo nuovo, riconoscendogli il merito – pur ricordando le critiche metodologiche di Occioni Bonaffons – di essere stato il primo ad avere tentato di dare unità a ciò che gli eventi avevano diviso. Nel 1921 Leicht riprese il giudizio su d. M., ancora una volta in uno scritto d’occasione. Ne riconobbe il merito di avere delineato una storia dell’intera regione Friuli, in questo senso moderna e attenta anche alle notizie giuridiche, economiche, sociali, ma opera erudita, secondo schemi sei-settecenteschi. Di tale tradizione tenne conto Mor in un bilancio del 1972 sulla storiografia friulana, considerando i lavori di d. M. utili per la messe di dati, ma sillogi diligenti che «storia non è», lontani dal metodo di ricerca documentaria che animava in quegli stessi anni Vincenzo Joppi, il quale – a giudizio di Mor – pur senza giungere mai a un’opera di sintesi seppe scavare nei documenti preparando e stimolando alla storia del Friuli. Nel bilancio su d. M. che ancora Mor propose nel 1983 (Itinerario culturale di uno storico), ne venne rivalutato soprattutto il profilo umano, la tenacia della ricerca, l’umiltà con cui presentò i suoi lavori. Un ampio riesame dell’opera dell’erudito di Giassico nell’ambito del quadro culturale nazionale e regionale entro cui operò è stato ampiamente trattato nello stesso 1983 da Salimbeni che, pur evidenziandone tutte le debolezze e arretratezze metodologiche, ancora una volta pose in risalto la serietà della sua figura. [L.C.]
Il pittore
Oltre che storico, Francesco d. M. fu anche apprezzato pittore, attività che svolse – se pur senza continuità – per mezzo secolo almeno. L’amore per l’arte lo portò ad iscriversi nel 1822 all’Accademia di belle arti di Venezia dove seguì con lusinghieri risultati i corsi di Teodoro Matteini, Giuseppe Borsato e Pietro Zandomeneghi, e dove ebbe per compagni, tra gli altri, Michelangelo Grigoletti e Giovanni Andrea Darif. Purtroppo nel 1825 fu «attaccato» – come scrive nell’Autobiografia – da una forte oftalmia, per cui dovette abbandonare gli studi pittorici, e con essi l’Accademia, ritirandosi quindi nella natia Giassico dove, guarito dal male, riprese sia a leggere libri che a dipingere e disegnare. Eseguì più di cento dipinti ad olio e numerosi acquarelli e disegni, ma non molto rimane delle sue opere, conservate nella quasi totalità in collezioni private. Nei ritratti, che appartengono per lo più alla prima produzione, le figure appaiono statiche, severe, trattate con una pennellata dura, tagliente (Ritratto della madre, 1826; Ritratto della prima moglie, 1831; Ritratto di famiglia, 1834; Ritratto di don Giovanni Venier, parroco di Brazzano, 1842). Si fa invece più morbida, forse per la possibilità di attingere a modelli illustri, la pittura nei quadretti di genere sacro (si veda la Madonna con Bambino nella chiesa di Oltris di Ampezzo, 1825); più aderenti ai dettami accademici i paesaggi di fantasia degli anni Sessanta e decisamente più godibili sono gli ameni paesaggi dal vero degli anni Settanta, nei quali par di sentire l’eco della pittura di Turner, e soprattutto gli acquarelli del 1880-1883. L’età avanzata ed il fastidioso tremolio delle mani, che gli impedirono di tenere in mano un pennello negli ultimi anni, lo portarono a soluzioni forse non volute, ma certo modernissime: tocchi leggeri di colore, quasi piccole macchie armoniosamente accostate a comporre romantiche visioni. [G.B.]
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