Nato nel 1687 a Venezia, dove morì nel 1766, il M. è il protagonista della cultura architettonica veneta della prima metà del secolo XVIII. A M. spetta infatti il passaggio dalle forme del barocco ai valori del recupero del classico per i territori veneti. Lontano dalla drammaticità romana, il M. guardò alle architetture di B. Longhena trovando nell’architetto della Salute il modello per un barocco intimista e, pur scenografico, mai esasperato. Dalle facciate di Longhena, apprese l’uso del l’elemento plastico come valore cromatico integrato a un’architettura in cui gli spazi si fanno però distesi e luminosi. Declinando il barocco del maestro in senso classicista, trovò così la strada di una nuova architettura impostata sui valori dell’equilibrio e dell’armonia. Nella tradizione del Palladio, ininterrotta come dimostrano certe invenzioni dello stesso Longhena, si spiega nel complesso l’opera del M. che segna il ritorno per le Venezie ai modelli del maestro cinquecentesco. Nelle terre del patriarcato M. lasciò in maniera caratterizzante la varietà delle soluzioni della sua architettura sacra. Se a Udine infatti si concentra il suo intervento diretto, si fa riferimento a lui dai centri maggiori del Friuli per significativi progetti e consulenze, come avviene per San Daniele, Tolmezzo, San Vito al Tagliamento o Pordenone. Per oltre un secolo inoltre le maestranze locali daranno continuità all’architettura e alla non secondaria produzione altaristica del M., facendo dei suoi modelli – pur semplificati – la nota caratterizzante di tanti edifici sacri di piccoli centri, come di quelli maggiori. ... leggi A Fabio di Maniago si deve la notizia della prima presenza dell’architetto veneziano a Udine, in riferimento al «disegno venuto da Roma e modificato da Massari», in base al quale ha inizio nel 1730 la costruzione della basilica di S. Maria delle Grazie. All’idea prediletta degli edifici a pianta centrale corrisponde la gestione dello spazio all’interno della maestosa struttura che, inscritta entro una forma rettangolare, si suddivide in tre ottagoni, spazi gestiti secondo la tradizione classica degli edifici circolari. Anche gli altari laterali sono integrati nell’architettura della navata e, ad eccezione di quello dedicato all’icona della Vergine, non si aprono in vere e proprie cappelle, ma occupano uno dei lati degli ottagoni, partecipando della scenografia ritmata di semicolonne e cornici delle restanti pareti. La progettazione della basilica dovette essere veicolo per le prestigiose imprese patriarcali che già nella prima metà degli anni Trenta videro impegnato il M. nel disegno della facciata della chiesa di S. Antonio Abate a Udine. Tra il 1731 e l’agosto del 1734, quando morì il patriarca Dionisio Dolfin, committente dell’impresa, si colloca la realizzazione della facciata che venne completata con le sculture di Giovanni M. Morlaiter e di Antonio Gai ad opera del successore Daniele. In linea con la facciata della chiesa dei Gesuati realizzata cinque anni prima a Venezia, il M. mise in opera una complessa ed equilibrata sintesi fra architettura e scultura, con il prevalere però del recupero dello schema classico in nome di Palladio. Alla commissione dello stesso Dionisio Dolfin spetta la presenza dell’architetto veneziano nella fabbrica settecentesca del duomo di Udine dove, a seguito delle riforme del transetto e della navata su progetto di Domenico Rossi, viene attribuito al M. il disegno di sei degli otto altari laterali – tranne quello del Santissimo e quello delle Reliquie – e in particolare della messa in opera di quattro di essi. Tradizionalmente attribuita al M., improntata sullo schema palladiano della pianta centrale, è inoltre la chiesa udinese di Santo Spirito eretta tra il 1738 e il 1752. Essa segna la fortuna dell’architettura del M. in regione, come dimostra la sua puntuale ripresa nella chiesa di S. Carlo a Gorizia, variamente assegnata alle maestranze locali e in particolare a Domenico Schiavi. A Donata Battilotti si deve la ripresa delle notizie di L. Palladio degli Olivi in merito alla progettazione da parte del M. delle due chiese udinesi di S. Valentino e S. Bernardino, realizzate su suo disegno pur semplificato. Prolifico dovette essere l’incontro con le maestranze locali, come nel caso dell’oratorio dell’istituto della Carità (ora Renati) a Udine costruito tra il 1761 e il 1766 sotto la direzione di Luca Andrioli. Significativa in Friuli fu anche l’attività di M. altarista, come dimostra l’altare maggiore progettato nel 1759 per la chiesa di S. Maria del Rosario a Pordenone, ed eseguito da Giambattista Bettini tra il 1761 e il 1762 secondo le semplificazioni dello stesso architetto veneziano o l’altare maggiore della parrocchiale di Zoppola del 1766 messo in opera dai fratelli Silvestro e Giuseppe Comiz. Dopo la soppressione del convento domenicano del quale faceva parte, la chiesa viene demolita e l’altare viene trasportato nel duomo della stessa città dove, nella sola parte dell’alzato, viene impiegato come altare maggiore. Al M. si deve anche il progetto dell’altare della Madonna del Rosario della parrocchiale di Codroipo, realizzato nel 1763 ancora dal portogruarese Bettini, cui si attribuiscono la sovrabbondanza di decorazioni e le statue lontane di fatto dall’equilibrio massariano. Ultima opera in territorio friulano è il progetto per la riforma dell’interno del duomo di Cividale per il quale, come risulta dal manoscritto di monsignor Belgrado, «fu fatto venire il celebre architetto primario da Venezia, il sig.r Giorgio Massari» che «fece il disegno della chiesa per gli ornati che mancavano del tutto e quello degli altari». L’impresa venne però realizzata, e con significative alterazioni, dall’allievo e collaboratore Bernardino Maccaruzzi, già che il M. morì proprio nel 1766, l’anno in cui gli vennero affidati i lavori che caratterizzano in maniera settecentesca l’interno del duomo cividalese. Del resto a Cividale non era nuova l’attività del M., che nel 1735 fu nominato a proposito di un altare da collocare nello stesso duomo e che era stato coinvolto per un mai realizzato progetto di ricostruzione del palazzo comunale. Sempre l’anno della morte, M. fornì il disegno per l’altare della parrocchiale di Gagliano ancora presso Cividale, che ha suo prototipo nell’altare maggiore della chiesa di Galliera Veneta (1720), modello più volte impiegato dall’architetto e scultore veneziano. Gli interventi del M. negli edifici sacri si concretizzarono anche in una rete significativa di consulenze, come per il progetto di Francesco Fusconi dell’altare della Consolazione nel duomo di San Daniele (1732) o, un trentennio dopo, per il progetto del Bettini dell’altare della Madonna di Loreto a San Vito. Interpellato in numerosi cantieri, come a Udine nella costruzione della scuola dei barnabiti e nel 1738 nei lavori per il coronamento della loggia di S. Giovanni, il M. infine si segnala nelle committenze nobiliari più prestigiose del secolo. A tal proposito nel 1745 l’architetto – del quale si conserva anche un progetto per l’udinese palazzo Florio – venne incaricato della sopraelevazione del corpo principale della villa Manin a Passariano.
ChiudiBibliografia
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