MEDICO GIACOMO

MEDICO GIACOMO

commediografo

Laureato in arti liberali e filosofia, G. M. è autore di un Aesopus, titolo di una azione teatrale di cui dà conto una sorta di locandina a stampa (Udine, Schiratti, 1662). La locandina, in una cornice tutta latina (la dedica a Giovan Battista Frangipane, quattro strofe saffiche che affiancano lo stemma dei Frangipane, la lista degli attori e lo stesso “colophon”), allinea dodici distici friulani che riepilogano i nuclei tematici e suggeriscono le forme della messinscena. Il latino tradisce il carattere culto dell’iniziativa, rivolo periferico di un esercizio comunque accademico, un allestimento affidato a gente non dozzinale, ed è legittimo postulare una condizione analoga negli spettatori. I distici, pur nelle maglie di una prosodia regolare, assecondano i dispositivi della commedia “improvvisa”, che prescinde da uno sviluppo disteso e si avvale di una traccia, collettore di situazioni spassose ma topiche, dove sulle risorse della parola prevarica il gesto esacerbato. Canonico il contrasto tra una moglie proverbialmente attaccabrighe e un marito altrettanto proverbialmente ubriacone, con un capitombolo a sigillare la rissa: «Berte e Zanut si dan: romp il vreâs / la tiarre cul boccal, lu palc cul nâs» [Berta e Giovannino si picchiano: l’ubriacone rompe la terra con il boccale, il palco con il naso]. Dove la logica subisce uno strappo: sarà infatti il boccale a frantumarsi a terra e il naso contro il palco, non viceversa. L’anarchia “carnevalesca”, il paradigma rovesciato (ma, va da sé, del tutto privo di tensioni sovversive), danno corpo ad altri guizzi e ad altri lazzi, mentre la sigla finale declina il trionfo del cibo, miraggio di una scorpacciata che sazia, a rintuzzare iperbolicamente l’incubo della morte. Il friulano è di tipo centrale, ma si vuole insistere sul lessico, dove l’italiano preme (Bacco, Esopo, senza adattamenti fonomorfologici; «argument» e «instrument», «virtud», lo stesso «ciròt», rimedio). Più genuini (e si propongono come sintesi complessiva, come ordito del canovaccio) «chialzumìt» (dal tedesco “Kaltschmied”, aggiustapentole), espressione di un universo pitocco, e, più marcatamente implicati nella strategia “carnevalesca”, con la dismisura del cibo, i folenghiani «maccarons» (gnocchi, emblema della poesia che a questi fa capo) coniugati con la gioia del vino, qui degradata anche nella indulgenza risaputa del «todesch» e in un altrettanto risaputo «vreâs» (da *EBRIA-CEU): un ubriacone, va da sé, negativamente connotato.

Bibliografia

La “locandina”, proprietà di Doimo Frangipane, è riprodotta in A. NICOLOSO CICERI, Maschere e mascherate nell’Alto Torre, in Tarcint, 196 (ma anche la n. 35, 207); R. PELLEGRINI, Una “locandina” del 1682 [recte 1662], in PELLEGRINI, Ancora tra lingua e letteratura, 289-295.

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