Nacque a Villaorba di Basiliano (Udine) nel 1880. Nel capoluogo friulano seguì gli studi classici (e un forte richiamo alla classicità si ritrova in tutta la sua opera). Successivamente frequentò la Scuola d’arti e mestieri Giovanni da Udine, allievo del pordenonese Luigi De Paoli, e si trasferì a Venezia, dove risalì al patrimonio neoclassico canoviano. A Milano lavorò con Eugenio Pellini, che aveva portato nella scultura il soffio innovatore dell’impressionismo, e con Alessandro Mazzucotelli, straordinario maestro del ferro battuto. Risentì pure dell’influsso di Enrico Butti, esponente di quel filone statuario celebrativo che non disdegnava ispirarsi agli avvenimenti della storia e della cronaca. Accolse l’apporto dell’eloquenza purista del toscano Lorenzo Bartolini e del verismo di Vincenzo Vela, con la sua reazione al dissolversi del vigore plastico nel luminismo; si accostò al neo-rinascimentalismo michelangiolesco e al luminoso vibratile pittoricismo floreale di Leonardo Bistolfi. Risolveva d’istinto i problemi del linguaggio – come scrisse Giulio Montenero in una fondamentale monografia – puntando ai risultati con mestiere solido e sicuro. Obiettivo di M. era il lavoro concreto, di commissione, destinato a rispondere a fini precisi e a durare perché collocato in sede impegnativa. Egli fu un eclettico di solida preparazione artigiana, di grande padronanza tecnica e di mestiere. Formatosi in un clima art nouveau, trovò in seguito congeniali al proprio tipo di lavoro i richiami di “ritorno all’ordine” proclamati dal Novecento e interpretati in chiave di filologia accademica. Due sono i rapporti che ne qualificano l’opera: quello con l’architettura e quello con l’artigianato e le arti minori. ... leggi Nel 1908, stabilitosi nella capitale, frequentò il corso superiore di perfezionamento per la scultura all’Istituto di belle arti e la Scuola artistica della medaglia. Dopo il primo conflitto mondiale, pur continuando ad avere stretti rapporti con il Friuli, continuò a vivere a Roma. Il lavoro d’esordio, nel 1912, è il bozzetto per il Monumento a Giulio Savorgnan, scultura d’argomento storico che, parallelamente alla pittura del romanticismo ottocentesco, M. continuò nel Novecento. Le superfici della figura sono increspate da un luminismo alla Bistolfi che si ritrova anche nel Ritratto di Benedetto XV (1920). Un vero e proprio inno al Liberty intonano le diciassette Statue allegoriche in marmo, di oltre due metri d’altezza, collocate all’esterno del Palazzo municipale udinese di Raimondo D’Aronco (1915), con le cui concezioni strutturali e decorative M. stabilì una stretta sintonia. Le sculture, nella possente e a volte concitata sinfonia architettonica, esprimono il movimento melodico del floreale sviluppato su una radice eclettica; rette da un solido classicismo, si sciolgono in arabeschi ventosi, in sinuosità lineari, in un incresparsi lieve come di spuma dei panneggi. Anche là dove la figura maschile si impone con nudità eroica, essa risulta alleggerita da un elegante flettersi, da un incurvarsi delle membra, in giochi sottili di luce e d’ombra. Sinuose ed estenuate cadenze floreali di fragranza preziosa, quasi liederistica, modulano il piccolo bassorilievo bronzeo della Baccante, già nell’Appartamento privato Sello, la sensualità sinuosa della Ranchetta, fanciulla ignuda per la fontana del parco di Monza, entrambe del 1919, il bassorilievo per l’Accademia navale di Livorno con la ventosa, elegante Vittoria (1921), mentre il fiero Autoritratto (1915) si ispira al moderato impressionismo di Max Klinger, uno dei capiscuola dello Jugendstil monacense, che soggiornò a Roma negli anni a cavallo fra Ottocento e Novecento. Tra i numerosi monumenti funebri realizzati in Friuli, in Toscana e a Roma, si impone la Vergine saggia sulla tomba Moretti, a Villaorba di Basiliano, irrigidita in un trasognato purismo alla Bartolini (1920). Nel dopoguerra M. firmò interessanti Monumenti ai caduti realizzati dal 1920 al 1925 per le piazze di Basiliano, San Daniele del Friuli, Bertiolo, Cividale, Pordenone. Alle scultore allegoriche del monumento pordenonese l’artista imprime tensione e forza memori di Michelangelo. Del 1927 è il floreale neoclassicismo della Statua della Vittoria, per il tempietto nella loggia di S. Giovanni, a Udine. L’Allegoria della famiglia sulla tomba Moretti, al Verano di Roma (1927), innesta l’eleganza Liberty, alleata alle preziosità del goticismo nordico di Adolfo Wildt, su una partitura di un novecentismo plastico mutuato accademicamente dalle opere del secessionista viennese Franz Metzner. Dello stesso anno è la statua di S. Francesco nella basilica padovana di S. Antonio a Padova; del 1931 il monumento in bronzo di Giuseppe Ellero, collocato a Udine in piazza Patriarcato; del 1932 il Crocifisso con Maria e l’apostolo Giovanni nella chiesa delle suore francescane a Grottaferrata e il Busto di s. Flavio per la chiesa omonima a Grotte di Castro, ispirato alla ritrattistica rinascimentale. La Madonnina del Grappa (1934) per il santuario di Sestri Levante richiama la Madonna di Donatello nell’altare della basilica padovana del Santo. Vigoroso il Profilo di Pio XI nel Collegio americano al Gianicolo, in Roma. L’allegoria del viandante rappresenta con insistito patetismo il fratello, Diego Mistruzzi, nella lastra di bronzo per il Loculo tombale nel camposanto di Udine, completata dall’iscrizione centrale e, sul lato destro, dall’Angelo della castità (1939). Nel clima figurativo degli anni Trenta si colloca, con esiti convincenti, il complesso del Crocifisso, degli altorilievi di Santi e dei Candelabri per l’altar maggiore del tempio Ossario di Udine (1939). Nel Cristo lo svolgersi pacato delle superfici sfiorate da una luce lieve e morbida immerge la figura in un alone austero di intensa e contenuta commozione. Capolavoro dell’ultimo periodo sono i Bozzetti, non realizzati, per le porte del duomo di Milano (1948): un fremito di movimenti, un battere di accenti chiaroscurali, un ritmo ondoso che accompagna l’incedere dei personaggi. «La sua opera più alta e più compiuta, quella che vive nel linguaggio dei tempi – secondo Montenero – è un’opera incompiuta». Gli episodi sono tratti dalla storia lombarda: le chiese demolite sul luogo in cui sarebbe sorto il duomo offerte dagli angeli alla Vergine, i papi oriundi dell’arcidiocesi di Milano, la posa della prima pietra e il cantiere della cattedrale, l’ingresso di san Carlo Borromeo, il cardinale Federigo Borromeo e la peste, il transito del cardinale Ferrari, la raccolta delle offerte, la consacrazione dell’altare da parte del pontefice Martino V, l’incoronazione di Napoleone, il cardinale Schuster sui luoghi dei bombardamenti durante la seconda guerra mondiale. Anche la porta per la cattedrale di Newark, negli Stati Uniti, rilegge l’illusionismo spaziale di Donatello e di Ghiberti con modellato nervoso, sfatto, intensamente cromatico. Nel Busto-reliquiario di s. Claret in bronzo (1950) si avverte l’influenza oltre che di Donatello, di Desiderio da Settignano, letti da M. con amore fin dalla giovinezza. Infine, a una ripresa effettistica e fuori tempo dello storicismo, passato attraverso gli aspetti più enfatici del Novecento, riconduce il Monumento al generale Truijllo (1954), a Santo Domingo; vivo e insistito vi appare il ricordo del Monumento al Gattamelata di Donatello sul sagrato della basilica del Santo, quasi un calco piuttosto che una citazione. M. si dedicò anche a molteplici esperienze di oreficeria, argenteria, decorazione, a partire dal Pastorale per il vescovo di Duluth, negli Stati Uniti (1924). Realizzò tabernacoli, ostensori, candelieri, lampade votive, calici, pissidi, reliquiari, fino all’incarico ambitissimo di cui andava particolarmente fiero: i sei candelabri per la Cappella Sistina. Altrettanto ricca la produzione per i riti civili e militari: cofani per la bandiere di combattimento delle navi da guerra, bastoni di comando, aste di bandiere, terminali di labari. Una posizione importante l’artista assunse nella medaglistica, alla quale cominciò a dedicarsi nel 1920. L’intero corpus delle medaglie comprende 330 pezzi. In esse il nodo fra classicismo e verismo, con stilizzazioni novecentiste, si fa ancora più stretto rispetto alla statuaria. M. aveva il dono di scoprire i tratti essenziali dei personaggi, senza esasperare il rilievo. «Il volto, pur contenuto in piccolo spessore – osservò Montenero – emergeva con tutta la propria credibile verosimiglianza». Tra le opere più riuscite il Dante grifagno (1921); il rugoso ritratto di Pasquale Visocchi e la purezza classica del Busto del Canova (1922); il profilo rinascimentale, di pungente eleganza, del Cardinale Schuster (1929); la rievocazione sognante della classicità romana nelle medaglie commemorative per l’Inaugurazione del cavo Anzio-Sud America (1925) e per la Motomave Saturnia (1927); i Busti di Tommaso Moro e di Giovanni Fischer (1935), suo capolavoro; e, ancora, la maschera frontale di Benedetto Croce (1936); il fiero e imponente Gattamelata (1944); la fissità atemporale di Pio XII (1949); la ruvidezza del buon pastore nell’effige di Giovanni XXIII (1959). Morì a Roma nel 1960.
ChiudiBibliografia
G. POLVARA, Aurelio Mistruzzi. Uno scultore medaglista, «Arte cristiana», 11/1 (1923), 1-8; M. GUERRISI, Aurelio Mistruzzi, Roma, Accademia nazionale di S. Luca/Tip. della Pace, 1961; G. MONTENERO, Aurelio Mistruzzi 1880-1960, Udine, Accademia di scienze, lettere e arti/AGF, 1974; DAMIANI, Arte del Novecento I, 56-59; Il lascito Mistruzzi della Provincia di Udine, a cura di A. MUCCHINO, Udine, Provincia di Udine/Civici musei/AGF, 1992; Ado Furlan 1905-1971. Scultura in Friuli Venezia Giulia. Figure del Novecento. Catalogo della mostra (Pordenone, 10 dicembre 2005-26 febbraio 2006), a cura di A. DEL PUPPO, Cinisello Balsamo (Milano), Silvana, 2005, 88-89 e passim; P. CABRINI VENIER ROMANO, Un artista, suo figlio: Aurelio e Diego Mistruzzi, «Mitteleuropea», 27 (2 agosto 2007), 11-13; D. NOBILE, L’arte e la vita di uno scultore tra le pieghe di una collezione:il lascito Mistruzzi, in La colezion d’art de Provincie di Udin. Catalogo della mostra (Udine, 27 novembre 2009-24 gennaio 2010), a cura di G. BERGAMINI, Udine, Provincia di Udine, 2009, 81-89; A. IMBELLONE, Mistruzzi, Aurelio, in DBI, 75 (2011), 80-84.
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