Nipote del capitano di Udine Crescimbene di Teobaldo e figlio di Giovanni giurisperito in utroque, capitano di Udine dal 1351 al 1352, che nel patriarcato nel 1356 (dal 15 giugno) e nel 1358 (dal 9 aprile) aveva ricoperto l’ufficio di vicario “in temporalibus”, A. M. si trovò sulla scena politica nel 1385 con il titolo di licenziato in diritto civile, mentre dall’ottobre 1409 i documenti concordemente lo citano con il titolo di dottore. La sua attività si colloca pertanto nel periodo alençoniano e in quelli successivi concludendosi con il patriarcato di Ludovico di Teck. Essa oscillò prudentemente fra le esigenze dell’autorità centrale e quelle particolari della città nella quale viveva. Nell’ottobre del 1385 Udine lo incaricava di recarsi nella curia romana insieme con Nicolò Manin per appellarsi contro la scomunica comminata sulla città stessa il 30 agosto dal d’Alençon. I due partirono nel dicembre con l’ulteriore incarico di chiedere la sostituzione del patriarca con una figura più gradita, presente e idonea a rispondere alle aspettative dell’intera Patria. La loro missione sortì l’effetto dell’invio di Ferdinando patriarca di Gerusalemme con amplissimi poteri, tra i quali quello che puntualmente questo esercitò di sciogliere scomuniche e annullare la sentenza arbitrale di Francesco da Carrara. Come legati udinesi il M., Giacomo da Pavona e Francesco di Missio resero omaggio all’alto prelato e ne furono consultati sulla delicata situazione, in particolare sulla politica cividalese. Nel frattempo, il 12 novembre di quell’anno, il patriarca gerosolimitano aveva nominato il M. suo vicario “in temporalibus”. In quei giorni il presule tentava di ottenere la pace evitando l’intromissione di Venezia nelle questioni del Friuli e minacciava Udine di sanzioni canoniche nel caso volesse continuare la guerra che i Carraresi da una parte, con l’appoggio al d’Alençon, e Venezia dall’altra tenevano accesa mantenendo la Patria divisa. ... leggi Il 27 novembre 1387 il papa nominò Giovanni di Moravia nuovo patriarca. Scaduto il suo incarico, il M. servì allora la sua città, dato che nel 1388 era deputato “ad negotia pupillorum” e nel luglio di quell’anno trattava con altri ambasciatori a Cividale per definire condizioni onorevoli di pace dopo l’intervento del maresciallo patriarcale Nicolò di Buch. Il nuovo presule tuttavia nell’ottobre, giunto in Friuli, investiva il M. del vicariato “in temporalibus”, mentre affidava lo spirituale a Santo Pellegrini da Capodistria. Non era facile rappresentare e sostenere un patriarca che, appena giunto a Udine, aveva destituito i cinque deputati e sovvertito gli ordinamenti comunali, sollecitando la partecipazione dei rappresentanti delle dodici arti e affidando il potere esecutivo ad altrettanti “artisti” da radunarsi sotto la presidenza del capitano senza la partecipazione del camerario e dei due procuratori di comune. In una siffatta politica antisavorgnana si compivano atroci vendette e lo stesso Federico di Savorgnano nel febbraio del 1389 veniva ucciso. Il M. seppe destreggiarsi e dal 17 settembre 1388 per almeno ventiquattro volte rappresentò la città di Udine al parlamento della Patria insieme con personalità eminenti della politica (per esempio nel settembre del 1400 con Tristano di Savorgnan) o della cultura locale (in principio con Iacopino del Torso, poi nel 1412 con Alvise Cignotti e Giovanni Cavalcanti). Nel frattempo attraversò i patriarcati di Giovanni di Moravia e di Antonio Caetani. Quest’ultimo lo confermò nuovamente vicario “in temporalibus” nell’aprile 1394. In quella veste egli doveva dirimere questioni di diritto civile, accogliere e registrare le dichiarazioni dei banditori che avevano proclamato le sentenze e così via, azioni queste debitamente riportate negli atti dei cancellieri. Il comune poi deputava il M. a rappresentare la città in cerimonie significative, quali l’incontro a Venzone nell’agosto del 1398 fra il patriarca e il duca d’Austria, che transitava per il Friuli nel suo pellegrinaggio verso la Terrasanta con Tristano di Savorgnano (quest’ultimo intendeva in tal modo ottenere l’abolizione della scomunica per l’uccisione del patriarca Giovanni). Parimenti il M. fece parte della delegazione inviata a Venezia il 30 novembre al ritorno degli stessi. Egli in parlamento dava voce all’opposizione udinese e sosteneva la necessità di tener viva la lega di nobili e comunità costituita ufficialmente per provvedere agl’interessi della Patria e difendere la stessa. La mai sopita ostilità con Cividale fu acuita con l’inizio della costruzione di una nuova strada per Plezzo, la quale avrebbe escluso il territorio occidentale del patriarcato da eventuali vantaggi economici. Il patriarca Caetani, in partenza definitiva dalla Patria, da Portogruaro chiese al consiglio di Udine i nominativi di personalità autorevoli sulle quali contare per incarichi di governo. Il 3 aprile 1400 fu indicato il M. insieme con Nicolò della Torre. E il patriarca, nonostante le precedenti posizioni del giurisperito, lo giudicò idoneo ad affrontare il problema delle vertenze con i Tedeschi. La comunità tuttavia pregò il patriarca di annullare la missione ritenuta troppo rischiosa (s’ignora se per reale timore o se per opposizione al disegno politico). Il M. in ogni modo si moveva con evidente abilità fra il potere centrale e quello urbano. Nel 1404 il comune di Udine ricorreva a lui per trattare a Cividale con il collettore papale su un preteso credito del Caetani. Lo inserì ugualmente nella delegazione che nel novembre dello stesso anno si recava a Lubiana per le questioni che si erano sollevate con il duca d’Austria. Per una serie di circostanze che riteneva felici, quali la conquista veneziana di Padova e la conseguente cattura dei nemici Carraresi, Udine inserì il M. tra gli ambasciatori inviati a rallegrarsi del fatto con il doge. Anche se il giurisperito non pare essere stato apprezzato dal patriarca Pancera altrettanto quanto lo era stato dai suoi predecessori, tuttavia venne certamente da lui stimato sotto l’aspetto professionale, come nel 1406, quando il signore lo incaricò di dirimere un problema di carattere giurisdizionale sollevato dall’abate di Moggio. Nel luglio 1408 egli fece anche parte della delegazione spedita a Venezia dalla comunità udinese per trovare appoggi contro la decisione papale di rimuovere dal patriarcato il Pancera. L’anno successivo lo stesso presule inviò il M. al concilio di Pisa, che tra l’altro confermò i diritti del patriarca. Quando gl’impegni professionali e politici gli davano tregua, il M. si occupava positivamente dei suoi affari con attività di prestito o d’investimento. È interessante a questo proposito notare la sua relazione con la consorteria dei Medici operanti a Udine: nel 1406 egli fu infatti curatore pupillare di Bernardo di Alemanno di quella famiglia. La cultura del M., la sua larga esperienza di vita, la conoscenza dell’ambiente nel quale operava e delle relative esigenze dovevano fornire di lui un’immagine rassicurante agli Udinesi, non solo perché li rappresentasse in sede politica e si occupasse di delicate questioni di carattere giuridico, ma anche perché reperisse e scegliesse, per esempio, un idoneo professore di grammatica per la città. In ciò egli non li deluse, perché insieme con Nicolò di Tristano Savorgnan, nel 1403 riuscì ad assicurare loro un contratto con il famoso umanista Giovanni da Spilimbergo, che fu poi ingaggiato per l’anno successivo. Nel 1412 egli rappresentò la città nel momento cruciale della sua politica antisavorgnana in parlamento il 25 aprile, allorché si trattò di adottare provvedimenti contro Tristano e parimenti l’anno successivo il 28 aprile, quando fu proposto di risarcire coloro che erano stati danneggiati dallo stesso nelle confische. Erano questi gli ultimi atti pubblici importanti che lo vedevano coinvolto. L’8 settembre 1413 egli morì lasciando un discreto patrimonio di mobili e immobili. La seconda moglie Maria di Strassoldo sorella di Enrico vescovo di Concordia, rimasta vedova, assunse energicamente in mano la situazione patrimoniale sia propria sia dei pupilli. I curatori dell’inventario dei beni del M. segnalarono tra l’altro una serie di settantatré volumi parte cartacei, parte membranacei, quasi tutti di carattere professionale, sia di diritto civile sia di diritto canonico, con commento di varie età fino a quella del giurista contemporaneo Raffaele Remondini. Di altre scienze restavano solo pochi volumi: la Rhetorica ad Herennium, il De officiis di Cicerone, le Epistolae di Ovidio, Esopo, un Boezio imprecisato, un’anonima Summa grammaticae e un Liber Evae columbae. Nel 1453 il civilista Giovanni di Mels trattava per acquistare da uno degli eredi (Giovanni Monticoli) un Digestum vetus, proprio come veniva definito dall’inventario di trent’anni prima, e nel 1457 il canonico udinese Giacomo di Francesco Carnelutto chiedeva di acquistare altri testi dallo stesso erede. Ciò che Giovanni senior prima e il M. poi avevano accumulato si andava lentamente disperdendo, anche se in borgo Aquileia interno rimaneva la bella casa che aveva ospitato personaggi illustri.
ChiudiBibliografia
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