Elia, all’ebraica Elijah, M. fu una delle figure più in vista dell’Ebraismo delle terre friulane nel Settecento. Noto anche come Sarker, o Sarchi, dopo il mutamento del cognome in ottemperanza ad una disposizione giuseppina del 1787 sull’onomastica degli Ebrei, fu intellettuale di cultura ebraica e profana, pubblicista e traduttore, in contatto con letterati ed eruditi dell’impero, di Germania e d’Italia, sia Ebrei sia Cristiani, nell’intento dichiarato di superare l’angustia del suo ambiente, benché avesse ammesso di vivere in un contesto culturalmente vantaggioso, «fra le frontiere di Germania e Italia». Fu tra i principali sostenitori della politica di Giuseppe II nei confronti degli Ebrei, in cui scorgeva una possibilità di realizzazione dell’“Haskalah”, l’illuminismo ebraico. Nacque a Gradisca nel 1730, da Isach Gabriel e da Bella, erede, assieme ai fratelli Mario, Jacob Vita, Ioele e Menasse Raffael, di una tradizione nella funzione creditizia che si trasformò, dopo l’abolizione dei banchi di prestito nel 1767, in impegno nel commercio e nella promozione delle manifatture, prima di tutto dell’impresa della seta. Ricevette la prima istruzione da precettori fra le mura domestiche, continuò poi la sua formazione da autodidatta con impegno e passione nelle discipline umanistiche, approfondì invece gli studi ebraici alla “yeshivah”, l’Accademia rabbinica di Ferrara e fu allievo di Isach Rafael Finzi di Ferrara e di Israel Benjamin Bassan, poeta in ebraico e in italiano e rabbino a Reggio nell’Emilia. L’impegno nell’impresa di famiglia, particolarmente dopo la morte del padre (1756), gli impedì ulteriori studi sistematici, pure continuò per tutta la vita a dedicarsi alla cultura e a essere partecipe degli eventi e del dibattito del suo tempo. Dimostrò una buona competenza linguistica, nell’ebraico, italiano, tedesco e, a quanto risulta, anche nell’inglese e francese. ... leggi Quanto alla produzione della seta, il M. pensò ed agì con mentalità imprenditoriale moderna, realizzando il ciclo completo, dalla gelsicoltura alla tessitura. Ottenne la concessione di poter impiantare per primo un filatoio nella fortezza – nonostante la politica protezionistica nei confronti del grande filatoio statale di Farra – sino a gestire tre impianti di filatura e otto telai con un centinaio di operai, che dovevano essere cristiani, e a progettare, a riprova dei suoi interessi di carattere didattico, una scuola per manodopera altamente qualificata. Si sposò con Vittoria Finzi da Ferrara ed ebbe con certezza quattro figli: due maschi, Samuele e Isach Leon, e due femmine, Bella o Isabella e Anna, che sposarono ad inizio Ottocento due fratelli, Aron ed Abram Michelstaedter. Anna ed Abram furono i bisnonni del filosofo e poeta Carlo Raimondo Michelstaedter. Il M. fu un personaggio di spicco della comunità ebraica di Gradisca, ne resse le sorti ripetutamente come capo per quasi vent’anni (1769-87), dando prova della sua competenza nelle tradizioni del giudaismo che contribuì a preservare pur nelle difficoltà della diaspora. Nell’ambiente cristiano il M. era ammesso in molte famiglie nobili del goriziano e del Friuli veneto, a cominciare da quelle di alcuni esponenti del mondo politico delle contee di Gorizia e Gradisca ben introdotti ed influenti anche a corte. Fu ricevuto almeno quattro volte dall’imperatore Giuseppe II (a Vienna, a Trieste e a Venezia), incontrò più volte anche Leopoldo d’Asburgo Lorena, all’epoca granduca di Toscana, durante i suoi soggiorni a Firenze (nel 1768 e nel 1776-77), nei quali frequentò le biblioteche Laurenziana, Riccardiana e quella dei domenicani in S. Maria Novella, per copiare manoscritti ebraici medievali di carattere religioso e poetico. Gli impegni non lo fecero dunque desistere dal viaggiare e soggiornare all’estero. Anche fra gli ecclesiastici contava amicizie illustri. Dal 1782 al 1794 fu in contatto epistolare con Giovanni Bernardo De Rossi, ebraista e bibliofilo, docente di Lingue orientali a Parma, che raccolse una vastissima collezione di manoscritti ed incunaboli ebraici, per conto del quale il M. acquistò dagli Ebrei del Goriziano e di Trieste vari manoscritti (i più antichi risalivano al secolo X) e pregevoli opere a stampa in ebraico e di argomento ebraico (anche incunaboli), sia Bibbie, sia commentari, sia codici di “minhagim” (consuetudini e riti) e libri di preghiere, sia testi di carattere profano, autentici tesori, per i quali divenne personale intermediario delle spedizioni un ecclesiastico udinese, un padre filippino dell’oratorio studioso di ebraico, Domenico Segatti, che il M. aveva conosciuto con la mediazione dei domenicani di Farra e del loro priore Tonelli. Il favore e l’attenzione che incontrava e la sua posizione di letterato ebreo gli causarono anche diverse ostilità, sia nell’ambiente laico che in quello ecclesiastico. Ad esempio, il suo operato venne presentato in maniera critica e con sarcasmo da Pietro Antonio Codelli nella sua opera sugli scrittori friulano-austriaci e nel 1769 dovette scontare otto giorni di carcere per l’eccessivo risalto dato al trasporto dei rotoli della “Torah” nella sinagoga del nuovo ghetto, allestita sotto la sua direzione. Dal 1784 la sorti del M. volsero al peggio, a causa di un dissesto economico familiare al quale con difficoltà riuscì a far fronte. Morì il 18 aprile 1801, nella sua casa di Gradisca, nel ghetto, per «mal di petto» e venne sepolto nel cimitero ebraico goriziano. Gli interessi del M. avevano spaziato dalla giudaistica alla bibliofilia, alla poesia, alla filosofia, alla pedagogia, alla politica e alla storia, in adesione alle istanze culturali dell’epoca. In particolare la storia pareva offrire valide soluzioni ai problemi del presente e andava ricostruita con la ricerca e lo studio delle fonti, anche per la diaspora degli Ebrei. I contatti con i berlinesi, in particolare con Naphtali Hirsch Wessely, rafforzarono il suo interesse per l’istruzione religiosa e secolare, tanto che divenne un sostenitore delle teorie di Moses Mendelssohn in favore dell’istituzione di scuole Normali per gli Ebrei; compose due “lettere”, in pratica due saggi, ispirati ai principi didattici del movimento ebraico illuminista e innovatore berlinese, che accostò alla tradizione italiana e che furono pubblicate, caso unico fra gli italiani, in «Ha-Me-assef» [Il raccoglitore], la rivista-manifesto del movimento nel 1786, ristampate a Vienna nel giornale «Bikkurè ha-ittim» [Le primizie dei tempi] nel 1824-25. Si trattava dei Mikhtav MeEliahu, [Lettera da Elia] in cui avanzava proposte su principi e metodi didattici (condizioni, modalità e alcune competenze che si dovevano acquisire) e dei Divrei h.okmah we-musar [Discorsi di sapienza e di morale], conversazioni fra maestro e discepolo, nella forma dialogica proposta da Wessely, in ebraico, destinate ai seguaci dell’“Haskalah” e ispirate al principio della fratellanza e dell’amore del prossimo, in linea con il catechismo di Simone Calimani Esame ad un giovane ebreo istruito nella sua religione (Gorizia, 1783), quasi a voler presentare ai Tedeschi la bella realtà didattica delle provincie italiane degli Asburgo. Utilizzato infatti nella scuola di Gorizia, il libro del Calimani, che secondo le asserzioni epistolari del M. venne da lui stesso rivisto e curato a scopo editoriale, avrebbe avuto notevole successo ed impiego. Del Wessely volse ancora nel 1783 l’appello Divre Shalom we-Emet nella Traduzione di Elia Morpurgo de’ Discorsi ebraici di tolleranza e felicità, diretti da N. H. Weisel agli Ebrei dimoranti ne’ domini dell’augustissimo imperadore Giuseppe II il Giusto, e ne sostenne con forza le ragioni nella controversia rabbinica provocata dall’opera. Sempre nell’ottica di apertura dell’“Haskalah”, per una maggiore e più corretta comprensione del giudaismo, progettò un’edizione delle opere ebraiche del medioevo e dell’età classica, in società con l’editore goriziano Tommasini, una cospicua impresa libraria annunciata nel 1783 in un opuscolo bilingue in ebraico e in tedesco (Nachricht an die Liebhaber der hebräischen Literatur) che promosse nelle contee e in tutti gli stati dell’Italia del Nord e di cui diede notizia anche in «Ha-Me-assef», ma che non ebbe seguito, a quanto pare per una significativa mancanza di committenti. Poche opere del M. uscirono a stampa, in prevalenza in italiano: nel 1781 uscì a Gorizia una sua Orazione funebre in occasione della morte dell’eroina della Germania SSCRAM Maria Teresa imperadrice e regina, nella quale paragonò la sovrana alla «donna di valore» dei Proverbi; seguì nel 1782 il Discorso pronunziato da Elia Morpurgo capo della nazione ebrea di Gradisca, nel partecipare a quella comunità la clementissima sovrana risoluzione 16 Maggio 1781, contributo dedicato a Giovanni Filippo di Cobenzl che gli guadagnò fama, nel quale salutò con entusiasmo il disegno di legge giuseppino – tanto che divenne il manifesto del sostegno alla politica di tolleranza dell’imperatore – e delineò significative vicende storiche degli Ebrei e della sua famiglia. Diversi anni dopo, nel 1796, pubblicò infine a Trieste una traduzione del Beh.inat ‘Olam (Esame del mondo) di Yedayah ben Abraham de Béziers, opera didattico-morale in prosa del XIII secolo, da lui intrapresa già venticinque anni prima, ma poi interamente rivista assieme al figlio Samuel, all’epoca già convertito. Dalle sue stesse asserzioni è noto che il M. produsse diversi scritti, come dei saggi di bibliografia ebraica, che in Cento lettere ebree avrebbero dovuto confutare i pregiudizi antiebraici, diverse traduzioni di testi biblici e di scritture dei caraiti e ancora opere poetiche, elegie e sonetti. Fra gli scritti inediti, di cui si ha notizia, solo alcuni ci sono pervenuti; si segnalano le traduzioni di libri apocrifi della Bibbia attualmente al Hebrew Union College di Cincinnati (manoscritto 50) e al Jewish Theological Seminary di New York (manoscritti 732, 2369) e il manoscritto Igeret Ogeret (Lettera raccolta, saggio del 1782, conservato nella biblioteca di quest’ultima scuola, manoscritto 3687).
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Ms Jewish Theological Seminary Library di New York, 3687, E. Morpurgo, Igeret Ogeret; ms Hebrew Union College di Cincinnati, 50, E. Morpurgo, Traduzioni di libri apocrifi della Bibbia.
Per la vita e gli interessi del M.: CODELLI, Scrittori friulano-austriaci, 164-168; P.S. COLBI, Elia Morpurgo, capo della nazione ebraica di Gradisca, «La Rassegna Mensile di Israel», 46 (1980), 179-188; N. VIELMETTI, Elia Morpurgo di Gradisca protagonista dell’illuminismo ebraico, in Gli ebrei a Gorizia e a Trieste tra “ancien régime” ed emancipazione, a cura di P. C. IOLY ZORATTINI, Udine, Del Bianco, 1984, 41-46; M. DEL BIANCO COTROZZI, Una controversia per l’istituzione del ghetto di Gradisca alla metà del secolo XVIII, «Metodi e ricerche», 2 (1984), 68-77; ID., Tolleranza giuseppina ed Illuminismo ebraico: il caso delle unite principesche contee di Gorizia e Gradisca, «Nuova rivista storica», 78 (1989), 689-726; G. TAMANI, L’emancipazione ebraica secondo Elia Morpurgo di Gradisca, «Annali di Ca’ Foscari», 30 (1989), 5-20; M. DEL BIANCO COTROZZI, Un incontro fra letterati alla fine del Settecento: il carteggio di Elia Morpurgo con Giovanni Bernardo De Rossi, «Annali di storia isontina», 4 (1991), 35-64; ID., Lettere di ebraisti ed ecclesiastici friulani di fine Settecento a Giambernardo De Rossi, in Memor fui dierum antiquorum. ... leggi Studi in memoria di Luigi De Biasio, a cura di P. C. IOLY ZORATTINI - M. CAPRONI, Udine, Campanotto, 1995, 99-114; E. BEERI, Morpurgo, in Encyclopaedia Judaica, 14, Jerusalem-Detroit, Keter-Thomson Gale, 20072, 508-509: 508; A. SALAH, Ben ghevulé Ashkenaz we-Italia: Elia Morpurgo nel contesto delle riforme scolastiche delle Unite Contee di Gorizia e Gradisca tra Sette e Ottocento, in Cultura ebraica nel Goriziano, a cura di M. GRUSOVIN, Udine, Istituto di Storia sociale e religiosa di Gorizia/Forum, 2007, 101-123.
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