P., nato a Muzzana del Turgnano (Udine) nel 1898 e morto a Reggio Calabria nel 1966, è stato ragioniere e imprenditore. Un curriculum scolastico e un profilo professionale lontani dalla scrittura letteraria, ma P. è autore di una bella serie di commedie messe in scena nei teatri del Friuli, oltre che a Venezia, Milano, Roma e all’estero. Estemporanea (e tecnicamente non ineccepibile) una escursione metrica: i versi di Ligrie [Allegria], scritti nel 1926 per il carnevale di Cervignano, musicati dal maestro Andlovitz. A contare ad ogni modo è il teatro. Nel 1921 l’atto unico Nine-nane [Ninnananna], edito l’anno successivo, risulta vincitore del concorso bandito dalla Società filologica friulana, e non è banale il tema su cui fa perno. La protagonista, vedova, con un bambino che non ha conosciuto il padre, rivendica il diritto di vivere una nuova vita di affetti, senza rinnegare il passato. Un diritto avversato dalla famiglia dell’uomo, perché il bambino potrebbe indurre disarmonia nella futura unione, e avversato soprattutto dalla famiglia nella quale la donna si trova, che la vorrebbe confinata nella religione della memoria. Altro atto unico è Sior Nadal [Signor Natale], datato «Bengasi, 1937», edito nel 1938. La protagonista resta fuori scena: accolta ancora bambina in casa e allevata come una figlia, risulta inaspettatamente incinta e ormai prossima al parto, con il responsabile lontano, in Africa, nel tentativo di raggranellare il capitale necessario. Un balletto, con il sopraggiungere dell’ostetrica, poi del medico. L’incredulità, la disperazione, la rabbia, il disonore, lo scandalo, e a nulla sembra valere il buonsenso del parroco, ma la nascita del bambino ricompone i rapporti in armonia. ... leggi Con qualche screziatura linguistica: «digo» [dico], un venetismo, e modesti inserti italiani. Si distendono in tre atti gli altri titoli: Comari Sese [Comare Teresa], che esce nel 1930: intrecci (e aspirazioni) sentimentali, non senza equivoci, e al termine un matrimonio a sorpresa, in un chiacchiericcio fitto e disinvolto, con udienza marginale concessa all’italiano e a un friulano di tipo carnico (isolati dittonghi discendenti: «plasei» [piacere], «pouras» [paure], il femminile in –a). Con qualche espressione colorita, come «c’al vada fûr dai tutuis» [vada fuori dalle scatole]. Nel 1966 esce L’anel striât [L’anello stregato] e la prima didascalia evoca un caratteristico focolare friulano, che sembrerebbe indulgere al folclore. Il tocco popolaresco non manca di affiorare: «Po ben j è passade a Napoleon ch’al veve i sperons d’aur j passarà ancie a jê!!!» [Ebbene è passata a Napoleone che aveva gli speroni d’oro passerà anche a lei!!!], bilanciato peraltro da italianismi secchi («cun t’un ciart orgasmo» [con un certo orgasmo]) o adattati («spatelâ» [spiattellare], «a si svincule» [si svincola]), e da una battuta veneta («Ohe digo giovinoto!» [Ohe dico giovanotto!]). I piccoli intrighi amorosi, le civetterie, gli screzi, i progetti delle vecchie, i diversi orientamenti delle giovani suppongono certo un contrasto generazionale, ma chiave di volta è proprio l’anello stregato esibito dal titolo, che costringe a una totale (e magari indiscreta, sconveniente) schiettezza. Va da sé che la conclusione è di rappacificata felicità. Si colloca in punta, a dispetto della cronologia, Amór in canoniche [Amore in canonica], stampato nel 1922, ma rappresentato per la prima volta nel 1921 a Codroipo (con un successo che determina le riprese di Udine, Palmanova, San Daniele, Tricesimo, Cividale): una sorta di sigla dell’autore. Un figlio che torna in paese laureato, l’orgoglio della famiglia, l’amore con la nipote del parroco: un amore in canonica, in antitesi quindi con la decenza, che il parroco scopre, indignandosi, su insinuante e riprovevole delazione, pur se il lieto fine è di rigore. La scrittura è agile, disinvolta, con scambi che scorrono veloci, concedendo poco spazio al discorso articolato. Come quando Bepo, il protagonista, si affanna a inseguire una spiegazione per il suo amore segreto, con una caparbietà analitica (e una plateale catena anaforica: «Forsi parcè…»), che si giustifica con il suo essere «profesór»: «Za: parcè? parcè?… No savarès spiegâmi nance jo, il parcè… Forsi parcè che quant si ul ben si è puartâz a scuìndi, squasi, la persone amade dentri di un vêl di proibizion e di misteri, in mût che nus sedi plui dificil di lái donge… Forsi parcè che l’omp al giolt di spiá in doi biei voi come un pizzul lamp di pore… Forsi parcè che l’omp al à plasé di sintísi donge une creature che à bisugne de so protezion, che treme tal bussá, che si strenz tor di lui in zerce di afiet… Forsi che l’omp al capìs che l’amór al è plui biel quant c’al è un segrèt par duc’ e quant che di duc’ al à pore… Forsi no savarès nance jo parcè…» [Già: perché? perché?… Non saprei spiegarmelo nemmeno io, il perché… Forse perché quando si vuole bene si è portati a nascondere, quasi, la persona amata dentro un velo di proibizione e di mistero, in modo che ci sia più difficile andarle vicino… Forse perché l’uomo gode scorgendo in due begli occhi come un piccolo lampo di paura… Forse perché all’uomo piace sentirsi accanto una creatura che ha bisogno della sua protezione, che trema nel baciare, che si stringe a lui in cerca di affetto… Forse l’uomo capisce che l’amore è più bello quando è un segreto per tutti e quando di tutti ha timore… Forse non saprei nemmeno io perché…]. E l’epilogo previsto ha il sigillo di un bacio. Ma si osservi la finezza psicologica della didascalia (in questo unico testo in italiano): «Tiene Catine fra le braccia, vorrebbe baciarla, ma la ragazza è titubante. Pre Pieri capisce: volgesi dalla parte di Toni che gli offre il tabacco. Bepo allora attira a se la fanciulla, e la convince susurrandole: ‘Nol viôt!’» [Non vede!]. Immediato e convinto il plauso di Alfredo Lazzarini: «La commedia del giovane autore, che altri trionfi aspettano con nuove produzioni, le quali presto si daranno al pubblico, è un lavoro brioso e spigliato, semplice nelle sue linee generali e nei suoi particolari, ma questa sua semplicità ne accresce il pregio, ché fa attirare ed avvincere il favore degli spettatori senza ricorrere ad alcuna risorsa drammatica od esageratamente sentimentale…». Un auspicio e un pronostico che hanno avuto la riprova di una fortuna indubbia: l’attore Armando Miani nella sua lunga carriera si è calato nella parte del prete più di cinquecento volte.
ChiudiBibliografia
Nine-nane. Commedia friulana in un atto, «Rivista della Società filologica friulana», 3 (1922), 127-133, 166-171 (anche in estratto); Amór in canoniche. Commedia in tre atti, Udine, G. Percotto e figlio, 1922; Ligrie, Cervignano, Tip. A. Ceregato, 1926; Comari Sese. Comèdie in tre az, Udine, SFF, 1930; Sior Nadal. Un at, «Ce fastu?», 14 (1938), 5-16; L’anel striât. Comedie in 3 az, Udine, AGF, 1966.
DBF, 610; A. LAZZARINI, Bibliografia del teatro friulano, «Rivista della Società filologica friulana», 4 (1923), 161; Mezzo secolo di cultura, 199; R. BIASUTTI, Bibliografia del teatro friulano, Udine, Clape culturâl Acuilee, 1982, 11; G. PRETINI, Il Teatro dell’Anima. Il teatro di prosa nelle lingue regionali attraverso i grandi attori professionisti del tempo, Udine, Trapezio libri, 2001, 99-100, 104, 118-119, 120, 122.
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