Dedicò al teatro tutta la vita, con una passione tenace che soprattutto nella maturità, dopo quella che lui stesso definì «la lunga vigilia», ottenne i meritati riconoscimenti professionali. Nato a Udine il 19 gennaio 1907 nel povero quartiere di via Villalta, da una famiglia di poco floride condizioni economiche, il piccolo Domenico (poi Nico) non era certo avviato all’arte del palcoscenico, se il padre Gugliemo, commerciante di cavalli di origini pugliesi (morì verso la fine della grande guerra, lasciandolo presto orfano), preferiva concedergli qualche svago non a teatro, ma alle proiezioni domenicali del cinema muto o agli spettacoli equestri del Circo Zavatta, col suo tendone montato una volta all’anno per la rituale fiera di S. Caterina. Ma per P. che, completati gli studi udinesi in ragioneria, si era trasferito a Verona (la madre era di origini venete), la svolta avvenne nel 1930. Allora, decise di cambiare radicalmente rotta e, lasciati alle spalle cinque anni di impiego “sicuro” alla Banca Commerciale di Milano, si scritturò come “ultimo generico” nella compagnia Lupi-Borboni-Pescatori. Fu una scelta generosa, anche a rischio, certo sostenuta da insofferenza temperamentale per la monotonia prevedibile di una vita da travet, ma avvenne al momento giusto, quando il teatro era ancora organizzato intorno ai vecchi «ruoli», «sedimentazione ottocentesca delle antiche maschere» (De Monticelli) e gli attori, se dotati, potevano progredire nella gerarchia interna alle compagnie. Dopo l’iniziale debutto dalla porta di servizio (avvenne a Cremona il 28 ottobre 1930), P. passò nel 1932, come “primo brillante”, nella compagnia di Ruggero Ruggeri e poi, passati tre anni, in quelle di Antonio Gandusio, Paola Borboni, Peppino De Filippo e infine, dal 1940 al 1943, al complesso Tofano-Rissone-De Sica. ... leggi Nel dopoguerra, proseguì anche la partecipazione cinematografica (nel complesso in oltre cento film, tra cui, nel 1949, il capolavoro neorealista di Giuseppe De Santis Riso amaro), ma soprattutto aderì alla politica di alta civiltà teatrale del Piccolo Teatro, fondato a Milano nel 1947 da Paolo Grassi e Giorgio Strehler. Per gli spettacoli di quello che fu il primo teatro stabile italiano si calò anche in parti diverse dalla congeniale e collaudata caratterizzazione comica, come nel 1953 con il capocomico nei pirandelliani Sei personaggi in cerca d’autore, o con il personaggio di Napoleone in Lulù di Carlo Bertolazzi, entrambi per la regia di Strehler. Da quelle esperienze maturò anche personali competenze organizzative, che si dispiegarono al Teatro Ateneo di Roma, di cui fu direttore (1952-1953), al Teatro Stabile di Torino, che fondò e diresse (1955-1957), e allo Stabile di Palermo (1957-1958). Il nome di P. restò tuttavia legato soprattutto alla maschera di Pantalone, indossata dal 1959, quando al Piccolo milanese venne chiamato a sostituire in quel ruolo Antonio Battistella per la già celebre edizione strehleriana dell’Arlecchino servitore di due padroni, nata nel 1947. In quel travolgente e trionfale spettacolo-leggenda del teatro italiano, tuttora rappresentato e periodicamente reimpostato secondo sempre nuove direzioni stilistiche (all’epoca era la terza versione), P. rimase, salvo brevi interruzioni, fino al 12 febbraio 1978, al congedo di una lunga carriera di successo in zimarra nera e maschera con barbetta. Fu un’adesione da affinità elettiva e per “vocazione”, che portò P. a calarsi in un Pantalone ormai appiccicato a sé anche per altre occasioni, come nel film del 1960 sulla vita di Goldoni, Capriccio italiano (produzione tedesca, cast internazionale, regia di Glauco Pellegrini), in cui, scritturato per il personaggio di Sacco, celebre Arlecchino del primo Settecento, finì per interpretare anche l’amata maschera. P. fu Pantalone anche in spettacoli estranei all’orbita del Piccolo, come in Re Cervo di Carlo Gozzi, diretto da Andrea Camilleri nel 1965, o nella fortunatissima farsa dell’amico Peppino De Filippo Metamorfosi di un suonatore ambulante (1960), in cui P. modellava il personaggio di don Guglielmo Basettone secondo le sfumature – estro, ingenuità, dabbenaggine – cesellate nel lavoro sotto maschera e assimilate come una seconda pelle. Un’amorosa fissazione, dunque, che si estese con passione anche allo studio del teatro all’antica italiano e orientò l’attore ad un autentico impegno di ricerca e di divulgazione. Originali, in questa direzione, le Conversazioni-recital, lezioni-spettacolo in miniatura, portate in tournèe anche all’estero (dal 1968 e al 1974) e incentrate particolarmente sui temi, dichiarati fin dai titoli, della “Riforma goldoniana” e dei “Secoli gloriosi della commedia dell’arte” (fu una fortunata formula di spettacolo didattico, prodotta dallo stesso Piccolo di Milano nella stagione 1967-1968). L’attività culturale e didattica permeò anche l’ultima parte della vita di P., che, una volta rientrato a Udine (vi morì il 13 agosto 1987), diventò consulente del comune e soprattutto fondò nel 1979 la Civica scuola di recitazione per il teatro in friulano (ne derivò la filodrammatica udinese “Della Loggia” capeggiata da Danilo D’Olivo e tuttora attiva), poi ribattezzata Civica Accademia d’arte drammatica Nico Pepe, per la direzione dal 1988 di Federico Esposito e, dal 1992, di Claudio de Maglio. A Udine P. liberò anche la sua capacità di scrittura, già viva nella stesura di testi radiofonici e nelle collaborazioni a quotidiani e riviste specializzate («Il Dramma», «Sipario», «Scenario»). Continuatore della rara categoria degli attori che raccontano, tra erudizione, aneddotica e ricordi sentimentali, e vogliono esorcizzare così il carattere effimero di un’arte teatrale raminga e bruciata ogni sera, P. fu autore di varie pubblicazioni saggistiche, tra cui, rimarchevoli, Teatri e teatranti friulani dal ’400 ai primi del ’900, la voce Il teatro di prosa per l’Enciclopedia monografica del Friuli Venezia Giulia, e Pantalone. Storia di una maschera e di un attore. In quelle pagine P. riversò una marea di minuzie, testimonianze, episodi, nomi e date, ripresi da letture di documenti e libri raccattati per una vita su bancarelle e scaffali di librerie antiquarie in città di passaggio e poi conservati con meticoloso collezionismo privato. Questo ponderoso museo teatrale di carta è ora consultabile sia nel fondo librario della Biblioteca teatrale Nico Pepe di Ca’ Zenobio a Treviso (oltre tremila volumi e numerose annate di riviste, donati alla città dalla vedova, l’attrice Ada Prato), sia nell’archivio teatrale (foto di scena, locandine, manoscritti, articoli a stampa) catalogato e conservato a Latisana da Agnese Colle, che ne detiene la proprietà dal 1988. Perno della collezione è naturalmente la maschera di Pantalone, nel cui ruolo, come per un simbolico passaggio di consegne tra teatranti friulani, P. pare l’erede, a distanza di secoli, di un altro celebre Pantalone della piccola patria, quel Fabio Sticotti di Amaro (1677-1741) che, attore-canterino per caso e per amore, finì per indossare la maschera del Magnifico e coprirsi così di gloria a Parigi, all’interno della prestigiosa compagnia “del Reggente” di Luigi “Lelio” Riccoboni.
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