Gustavo Antonio Camillo P. nacque a Spilimbergo il 10 giugno 1861 da Pietro, «imperial regio pretore», e Angelica Candiani. Il padre era il magistrato che istruì il processo per i moti di Navarons e che in seguito diventò presidente della Corte d’appello di Venezia. La madre è effigiata in un quadro del Grigoletti conservato al Museo civico d’arte di Pordenone. Si laureò a Bologna il 3 luglio 1885 in Medicina e chirurgia con una tesi dal titolo Sulle modificazioni della secrezione biliare nei processi febbrili. Studio sperimentale. Sposò Italina Acri, figlia di Francesco Acri, docente di Storia della filosofia all’Università di Bologna e noto per la traduzione e il commento dei Dialoghi di Platone, dalla quale avrà sei figli: Piero (nato nel 1887), Angelica (1890), Lisetta (1892), Maria (1894), Francesco (1902), Giuseppina (1904). Con la famiglia risiedette inizialmente a Fiumesino di Tiezzo. Il 10 novembre 1885, pochi mesi dopo la laurea, venne nominato professore straordinario di Patologia generale all’Università di Perugia, il che determinò il trasferimento della famiglia in quella città. Iniziò l’insegnamento il 1° dicembre 1885. Venne nominato rettore dell’Università per il biennio 1894/1896, a soli 33 anni, mentre per il biennio 1906/1908 venne eletto preside della facoltà di Medicina. Dedicò un impegno particolare al miglioramento dell’Università di Perugia e al superamento delle difficoltà in cui operava, come dimostra la corrispondenza con colleghi e personalità della vita pubblica, pubblicata da P. nel 1911 col titolo Malinconie della vita universitaria. Lettere ai vivi e ai morti. Gli interessi di P. non furono limitati alla medicina, ma sviluppò anche idee politiche, filosofiche e sociali. ... leggi Nel 1893 pubblicò Socialismo e cristianesimo, discorso da lui tenuto per l’inaugurazione dell’anno accademico 1892-93, dove intendeva dimostrare la conciliabilità tra la dottrina politica di un certo socialismo e la dottrina cristiana cattolica. Partecipò attivamente ai dibattiti sui grandi eventi dell’epoca. Nel conflitto tra britannici e boeri prese posizione a favore di questi ultimi, sentendosi portato a simpatizzare per una piccola popolazione d’origine europea che si confrontava con l’Impero britannico, di cui avversava il colonialismo e il sistema politico ed economico. Nel 1899 fu protagonista di un singolare intervento chirurgico: l’estrazione della cataratta di una leonessa di un serraglio, ovviamente dopo che l’animale era stato sedato. Il fatto fu riportato anche nella rivista scientifica inglese «British Medical Journal». Nel 1909 morì, dopo breve malattia, la figlia Angelica, la cui precoce dipartita produsse nei genitori un notevole sconforto. A seguito del doloroso fatto P. vendette le proprietà di Tiezzo e costruì a Pordenone, in località Comina, una nuova dimora, chiamandola Villa Angelica. Nel 1912 fu fra i primi amministratori della Banca Popolare Cooperativa di Pordenone. La posizione di P. nel dibattito irredentista fu a fianco degli interventisti, vista anche la sua provenienza geografica. Si impegnò nel campo assicurativo sociale ed infortunistico ottenendo importanti incarichi e riconoscimenti a livello nazionale. Agli argomenti oggetto della sua attenzione dedicò diverse pubblicazioni, anche in costante rapporto con la stampa friulana, collaborando con i periodici «In Alto», «La Patria del Friuli», «Giornale di Udine», «Giornale del Friuli». Argomento dei suoi vari interventi furono il mal di montagna, gli orfani sanitari, le origini della pellagra, la lotta antitubercolare, la questione ospedaliera, l’ospedalizzazione dei tubercolotici e altro ancora. Fu direttore, assieme a Lorenzo Borri e a Luigi Bernacchi, della rivista «La medicina degli infortuni del lavoro e delle malattie professionali. Rivista di medicina pratica igiene traumatologia forense e giurisprudenza sociale». Fu rappresentante dell’Italia nel Comité permanent international de la médicine des accidentes du travail a Parigi. Durante la prima guerra mondiale prestò servizio volontario come ufficiale medico, dapprima negli ospedali del Friuli e poi a Bologna, come direttore della clinica per autolesionisti. Nell’ospedale di Pordenone ebbe modo di accogliere in visita i capi di Stato Maggiore degli eserciti italiano e francese, i generali Cadorna e Joffre. Nel 1918, a conclusione dell’esperienza bellica, presentò domanda di congedo. Andò in pensione dall’Università il 22 marzo 1918, continuando però ad esercitare la professione di medico. Le posizioni politiche di P. non rimasero fisse, passando dall’iniziale attenzione alle idee socialiste alla piena adesione al corporativismo fascista. Nel 1935 P. si trovava a Parigi, di passaggio per un congresso medico a Bruxelles. La sua presenza nella capitale francese venne segnalata dalla polizia politica italiana come se si fosse trattato di un antifascista. In realtà si trattò di un banale scambio di persona, in quanto il vero antifascista era il venticinquenne socialista Antonio Pesenti, anch’egli presente a Parigi negli stessi giorni. Nel 1937 gli venne conferita la medaglia d’oro dei benemeriti della previdenza sociale. Nello stesso anno la facoltà di Medicina dell’Università di Perugia nominò P. professore emerito, anche per l’interessamento del figlio Piero, di cui è nota la carriera nelle file del fascismo friulano. Piero continuò ad assistere ed aiutare il padre fino alla morte, avvenuta a Salò nel 1945.
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