L’eminente storico dell’arte, a cui deve tantissimo la conoscenza storica e critica soprattutto della scultura italiana del Quattrocento, goriziano d’origine (vi era nato il 31 agosto 1887; suo padre, Alberto, era un uomo di cultura), ma viennese nella formazione e soprattutto nell’attività di studioso e di editore, ha fatto parlare poco di sé ed è stato raramente reperibile nei dizionari biografici tanto italiani quanto austriaci o sloveni, sia per la piccola dimensione della città da cui proveniva e in cui lavorò nei primi anni, sia perché rimase a Vienna anche dopo aver frequentato quell’Università, divenendo, molto giovane (1914), assistente del K. u. K. Hofmuseum di Vienna e della Galleria Estense (si veda di lui Die Estensische Kunstsammlung, Wien, 1919), accanto al “Kronprinz” Francesco Ferdinando. Collaborò per più di vent’anni con l’editore Schroll. Fino al 1988 si potevano attingere notizie su di lui quasi soltanto dai necrologi, apparsi tra il 1952 e il 1953: morì infatti a Firenze il 7 luglio 1952. P. raggiunse grandissima autorità con la serie di volumi sulla scultura quattrocentesca editi da Schroll (Andrea Riccio, 1927; Donatello, 1939; Luca Della Robbia, 1940; Ghiberti, 1940; Verrocchio, 1941; Rossellino, 1942; Desiderio da Settignano, 1942; Nanni di Banco, 1946; una nuova edizione su Donatello uscì in italiano a Firenze nel 1947 con Arnaud). Prima, però, che egli si affermasse in questo modo (si laureò nel febbraio del 1913 con una tesi sulla scultura veneziana del Trecento, ma da almeno quattro anni si stava interessando della scultura gotica in Friuli: Studien zur Geschichte der venezianischen Skulptur im 14. Jhrhundert, «Monatshefte für Kunstwissenschaft», 1913; da cui più tardi derivò il classico suo: Venezianische Bildhauer der Renaissance, Wien, 1919), lo stesso Schlosser, suo maestro, ammise: «Come ‘allievo’ mi ha già superato, ciò che del resto deve essere, e alle sue mani affido con gioia il lavoro futuro». Il concittadino Antonio Morassi lo definì «the greatest scholar of Italian Renaissance sculpture» (1953). Con la sua preparazione severa e con un’intelligenza acuta egli mosse critiche all’estetismo di Ruskin o all’attenzione prevalente all’iconografia dimostrata dal Gabelentz: gli premeva studiare e spiegare «lo sviluppo delle tendenze artistiche», appoggiandosi «alla positività dei fatti» («L’Arte», 1911). Il “Kunstwollen” riegliano egli lo tradusse come «volere artistico» («Forum Iulii», 1911): era giunto a Vienna quando erano ancora vivi gli effetti dell’insegnamento di Riegl e insegnava ancora Franz von Wickhoff. ... leggi L’esercizio diretto sui monumenti, senza riprese da studi altrui, poté farlo altresì a seguito della fortunata scoperta dei mosaici teodoriani di Aquileia, avvenuta nell’estate del 1909, e poi nella ricognizione che compì nel Goriziano per individuare e analizzare gli edifici sacri di livello popolare. A proposito dei mosaici paleocristiani di Aquileia (a cui si accostò con profitto allora anche Max Dvofiák, scrivendone sullo «Jahrbuch der Zentralkommission für Denkmalpflege», 1909), egli volle allontanarsi dalle tesi orientalistiche dello Strzygowski e insieme vedervi le «nuove tendenze di quell’arte che seguì ‘l’antico barocco’ partendo da Roma» («Emporium», 1911). Suggeriva insomma di vedere nei Musaici aquileiesi, un capitolo di storia dell’arte antico-cristiana («Forum Iulii», 1911), così come, studiando poi gli affreschi absidali della stessa basilica, intitolò il capitolo relativo Gli affreschi nella conca absidale della Basilica di Aquileia studiati nello sviluppo dell’arte (ibid.). Non compare nei suoi scritti la definizione di decadenza o di “bassi tempi” per spiegare fenomeni di tanta importanza nel passaggio dall’antichità (romana e non classica semplicemente) alla tarda antichità e al medioevo. Perciò egli parlò di «sviluppo» anziché di progresso nelle forme d’arte. Quindi riconobbe e apprezzò nei mosaici teodoriani di Aquileia, che risalgono al 320 circa, la novità dei valori disegnativi, volumetrici e soprattutto cromatici in senso illusionistico, con un anticipo di più di un secolo rispetto ai mosaici parietali di S. Maria Maggiore di Roma. Dopo il 1918 rimase a Vienna e fu quindi poco apprezzato o addirittura dimenticato nel mondo degli studi aquileiesi, anzitutto da O. Fasiolo, proprio per il suo metodo non banalmente archeologico di procedere nella valutazione delle opere d’arte: non si prefiggeva infatti modelli “classici” come punti di riferimento di valore assoluto. Si sa d’altronde della sua polemica alquanto ardita nientemeno che con Adolfo Venturi (Clini, 2000). La preparazione solida e ricca di aperture lo aiutò ad affrontare con lucidità intelligente temi disparatissimi riguardo all’arte e agli artisti nella storia del Goriziano (diversi articoli apparsi in «Forum Iulii», 1910), su Otto Wagner, su G. Engelhardt, su Ivan Mestrovíć, su Alfonso Canciani, sul Magnasco, ma soprattutto sulla scultura d’età gotica nell’area veneta, che costituì il punto di partenza per un allargarsi magistrale degli orizzonti, fino appunto al primo rinascimento. Collaborò col Drexler nell’assunzione di fotografie dei monumenti goriziani e nella mostra fotografica («Forum Iulii», 1911) dalla quale si prevedeva che potesse derivare una guida del Friuli orientale. E intanto intervenne in discussioni e tenne relazioni pubbliche sulla storia dell’arte. La padronanza nella critica lo autorizzò a giudicare con severità taluni fenomeni architettonici ritardatari, come la nuova chiesa goriziana dei Cappuccini, ancora ligia allo storicismo dell’Ottocento, del secolo «senza un suo stile». Nella preoccupazione delle minacce che dal 1915 incombevano sui monumenti sul fronte meridionale, si premurò di far uscire anzitutto un volume che riguardasse i centri dell’alto Adriatico (1915) e nell’anno seguente un altro lavoro, editorialmente vistoso, in cui egli illustrò, insieme con Hans Folensics, i monumenti del Litorale (1916). P. fu tra gli studiosi che dopo il 1918 preferirono rimanere a Vienna (aveva là fissato la residenza già il 23 aprile 1915), non tanto per nostalgia (semmai l’attenzione primaria fu da lui rivolta all’arte toscana) quanto per i legami professionali che lo impegnavano nella capitale dell’Impero dissolto. Non è senza significato che il suo ritorno in Italia sia avvenuto nel 1938 in coincidenza con l’“Anschluss”: in quel caso P. si ritirò a Firenze, dove però un bombardamento aereo gli distrusse, con la casa, la preziosa biblioteca. Gorizia incominciò a ricordarsi di lui ad appena una trentina d’anni dalla sua scomparsa.
ChiudiBibliografia
La bibliografia di L. Planiscig relativa alla sua regione d’origine è già stata raccolta in TAVANO, Gorizia, 136-137. Oltre ai titoli citati nel testo si suggeriscono anche: Le nuove scoperte archeologiche nella basilica d’Aquileia, «Emporium», 30 (1909), 473-480; Il Rinascimento nella basilica d’Aquileia, «Forum Iulii», 1 (1910), 53-56, 69-73; I ristauri nella basilica d’Aquileia dovuti al patriarca Marquardo di Randeck, ibid., 154-158; Di un patriarca aquileiese sepolto nel chiostro di S. Croce a Firenze, ibid., 165-170; Per una esposizione fotografica ed una guida del Friuli orientale, ibid., 197-202; L’arca del Beato Odorico da Pordenone nella chiesa del Carmine a Udine, ibid., 261-271; Del Medio Friuli artistico, ibid., 293-296; Aquileja, seine Basilika und die neuen archäologischen Entdeckungen, «Adria», 2 (1910), 101-108; La Basilica d’Aquileia, «Emporium», 33 (1911), 274-293; La chiesa di Sant’Ignazio, «Forum Iulii», 2 (1911), 33-39; Lessico biografico degli artisti friulani e di quelli che nel Friuli operarono, ibid., 227-235, 283-293, 333-339, 152-161; Studii su la scultura veneziana del Trecento, «L’Arte», 14 (1911), 321-338, 407-426; Lettera al Professor Adolfo Venturi, «Dedalo», 11/1 (1938), 24-35.
W. GRAMBERG, L. P., «Kunstchronik», 5 (1952), 270-275; A. MORASSI, L. P., «The Burlington Magazine», 94 (1952), 360-361; G. MARIACHER, L. P., «Arte veneta», 6 (1953), 153-154; S. TAVANO, Gli anni goriziani di L. P., in TAVANO, Gorizia, 120-136; ID., G.B. Brusin e L. P., «AAAd», 40 (1992), 215-231; ID., L., P., in PSBL, 20 (1994), 772-773; E. LACHNITT, P., L., in The Dictionary of Art, 25, London, Macmillan, 1996, 12-14; S. TAVANO, L. P., in La Scuola viennese di Storia dell’arte, a cura di M. POZZETTO, Gorizia, ICM, 1996, 211-227; TAVANO, Aquileia e Gorizia, 72-73, 80, 85, 86, 89, 91, 95-97, 99, 100, 105-107, 111, 116, 128, 130-132; D. CLINI, Una vivace polemica: Adolfo Venturi e Leo Planiscig, «Studi Goriziani», 91-92 (2000), 205-210; EAD., Contaminazioni: Riegl, Planiscig e la Gestalt-Theorie, «MSF», 82 (2002), 243-256.
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