Nacque a Stavoli, frazione di Moggio Udinese, il 26 giugno 1847, primo dei nove figli di Giacomo e di Anna Faleschini. Dopo gli studi teologici, nel luglio 1870 fu ordinato sacerdote e iniziò a svolgere il proprio ministero a Udine, conducendo vita umile e appartata. Divenuto professore ed economo del Seminario, nel 1897 venne nominato canonico onorario della metropolitana (dal 1899 sarebbe stato canonico residenziale) e per alcuni anni ricoprì l’ufficio di provicario generale dell’arcidiocesi. Le prime poesie furono da lui composte e pubblicate per occasioni celebrative. Già nel 1893 era comparsa una “accademia musico-letteraria” intitolata S. Niceta e tenuta nel Seminario di Udine per festeggiare i giubilei del pontefice Leone XIII e dell’arcivescovo mons. Giovanni Maria Berengo. Nel 1897, per la prima messa del nipote don Giacomo Faleschini, uscì un opuscolo contenente La favite [Lo scricciolo]. Mentre il nome del minuscolo volatile stimolava una serie di rime all’insegna dello scherzo e del vezzeggiativo («baronite», «sbite», «briconite», «bilite», «çhacaronite» [birboncella, piccoletta, bricconcella, belloccia, chiacchierona]), il tema diventava il pretesto per abbandonarsi ai ricordi della fanciullezza trascorsa nella località d’origine, distante ore di cammino dal capoluogo. La favite avrebbe goduto di una certa fortuna, paragonabile a quella dei versi di Giovanni B. Gallerio, ai quali è chiaramente ispirata. Nell’anno seguente, per l’ordinazione presbiterale di altri due giovani di Moggio, don Paolo Faleschini e don Camillo Treu, P. diede alle stampe un altro opuscolo, dedicato stavolta a L’astor di montagne (l’avoltojo): «Iò che foi de la favite / in Friul il prim cantor, / vuei çhantà ançhe la vite / del plui grand ucell, l’Astor» [Io che sono stato dello scricciolo il primo cantore in Friuli, voglio cantare anche la vita del più grande uccello, l’avvoltoio]. Più ampia la raccolta delle Poesie scelte pubblicate nel 1903 per la prima messa del nipote don Daniele Pugnetti. ... leggi Se rimane contenuta la sezione italiana, che contempla soltanto due inni (Il trionfo della Croce a St. Andrea morente e A S. Luigi Gonzaga) e una lauda (All’Immacolata pel L° di sua dogmatica definizione), nella sezione friulana, oltre ai due testi usciti in precedenza, compaiono un idillio (La Ramanie. Idili a l’Italie [La Daphne cneorum. Idillio all’Italia]), una lunga romanza di argomento storico (Il Cont Cacelin in pelegrinagio a Gerusalem [Il conte Cacellino in pellegrinaggio a Gerusalemme], suddivisa in tre parti) e un inno in sestine di settenari (L’Assunte [L’Assunta], ancora in tre parti). Interessano le suggestioni esercitate ancora dalla poesia del Gallerio su certe atmosfere mistiche e cristalline («L’albe serene e candide / sul cuell di Sion spontave / fra i monts de l’orient; / e Zuan là viers il Siloe / il Cuarp al dispensave / di Crist in Sacrament» [L’alba serena e candida spuntava sul colle di Sion fra i monti dell’oriente; e Giovanni là verso il Siloe dispensava il corpo di Cristo in sacramento]), ma interessano soprattutto gli intenti dichiarati dall’autore nella premessa: «In quest’inno di concetti elevati e di forma corrispondente si dovettero adottare alcuni vocaboli e modi di dire non popolari, ma usati nel parlar colto dei dotti e presi dalla lingua italiana, come all’uopo è concesso. Ho voluto tentare così la prova di sollevare il nostro dialetto ad esprimere le cose più alte procurando di non isnaturarlo. Non so però se e come sia riuscito». D’altra parte nel Lament a Pieri Zorutt, incluso nell’edizione del 1911, avrebbe rimproverato affettuosamente il «nestri çhar poete» [nostro caro poeta]: «Parcè nançhun plui alt il son no ’l tire / da storie o religion, / nè mai d’Italie il çhald amor t’inspire / un ino, une canzon? // Tu invece cun tançh scherz, cun barzaletis, / (no sai se dis dutt just), / cun ciertis alusions non sempri netis / nus has falsad il gust» [Perché neppure uno solleva il suono della storia o della religione, né mai il caldo amore dell’Italia ti ispira un inno, una canzone? Tu invece con tanti scherzi, con barzellette (non so se dico tutto giusto), con certe allusioni non sempre pulite ci hai falsato il gusto]. Ma i friulani, e in particolare la «jint pasçude e in pas» [la gente pasciuta e pacifica], preferiscono la poesia giocosa: «Çhale! Cui leel i viers del bon Galerio / poete sacro il prim? / Cui ’l biell ‘Quarantevott’ poc buff, ma serio / di Pieri Michelin?» [Guarda! Chi legge i versi del buon Gallerio, il primo poeta sacro? Chi il bel “Quarantevott” poco buffo, ma serio di Pietro Michelini?]. Ma se Zorutti ha soltanto obbedito alla propria indole bizzarra, colpe ben più gravi hanno il «fals Gabriell» [falso Gabriele (D’Annunzio)], i cui scandali «gridin vendete za davant a Dio» [gridano vendetta già davanti a Dio], e il Carducci «lirich potent» [lirico potente] che «Crist e Dio blesteme e glorie al çhante / al diaul, al prim ribell» [Cristo e Dio bestemmia e canta gloria al diavolo, al primo ribelle]. Nelle Poesiis scieltis del 1911, una premessa al lettore chiarisce che il volume, dedicato alla memoria del nipote don Giacomo Faleschini, raccoglie poesie «di tenue argomento, come molte del nostro poeta d.n Gio. Battista Gallerio; ma intrecciate a varie scene idiliache hanno uno svolgimento maggiore con movenze talora di novella e sentimenti che sorgono spontanei e nuovi, il che dà loro una vita propria». Poesie «senza pretese», che «si presentano in veste tagliata all’antica e con passo misurato alle vecchie naturali cadenze». Alcuni testi già pubblicati venivano soltanto ritoccati, mentre tra gli idilli includeva Il caponero [La capinera], Il garòful sclopon [Il garofano] (per l’ingresso dell’abate di Moggio mons. Protasio Gori), Lis sanmartinis [I crisantemi] (per la morte di una nipote quattordicenne); le varie comprendono La çhace de l’ors a’ Stai [La caccia dell’orso a Stavoli], L’emigrant friulan [L’emigrante friulano] e il già citato Lament a Pieri Zorutt [Lamento a Pietro Zorutti]; tra le sacre trovano posto Il Nadal [Il Natale] e una parafrasi italiana (in sonetto) del cantico evangelico Nunc dimittis (Lc 2, 29-32). Per Chiurlo, fatta salva La favite, gli altri versi «dànno di solito troppo nel letterario e nel polemico, specie se sacri». La Ramanìe, «ricordando note saffiche dallo Zanella al Carducci, ha un’onda di lirismo umano e patriottico che trascina, pur tra evidenti difetti di vario genere, tra i quali qualche zeppa e più d’un italianismo». Secondo D’Aronco «quand’egli parla di sé nella fossa, dimenticato da tutti, il tono non è patetico solo in superficie». P. morì a Udine la sera dell’11 settembre 1917.
ChiudiBibliografia
E. PUGNETTI, Poesie scelte, Udine, Tip. pontificia del Patronato, 1903; ID., Poesiis scieltis, Udine, Tip. del Patronato, 1911.
DBF, 680; CHIURLO, Antologia, 63, 324-325, 330-333; B. COLAVIZZA, La diocesi di Udine 1891-1906. Fermenti innovatori e tendenze conservatrici, Udine, IFSML, 1979, 94; D’ARONCO, Nuova antologia, II, 112, 121-123; E. ELLERO, Il Seminario di Udine. 1900-1928, Udine, Seminario arcivescovile, 2008, 24, 108; G. PUGNETTI, Stavoli di Moggio udinese nelle poesie di Egiziano Pugnetti e nella realtà di un recente passato, Moggio Udinese, s.n., 2008; R. FRISANO, Don Domenico Tessitori sacerdote, maestro e studioso a Moggio Udinese, s.l., s.n., 2009, 108-111.
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