Nacque a Polcenigo il 4 agosto 1733 da Giuseppe Antonio e da Teodora Mazzorrelli. Il 29 gennaio 1749, a sedici anni, vestì l’abito dei somaschi in S. Cipriano di Murano. Nel 1753 andò a Brescia al collegio somasco di S. Bartolomeo dove fu iniziato a letture decisive per la sua educazione culturale e religiosa sotto la guida di Viatore da Coccaglio e Antonio Commendoni e strinse amicizia con due religiosi molto vicini al movimento giansenista: Giovanni Battista Guadagnini e Antonio Zorzi, futuro vescovo di Casale e di Udine. Nel 1760, forse per alcune tensioni tra somaschi e gesuiti, si trasferì a Treviso e alla fine dello stesso anno a Roma, dove rimase per circa dieci anni, come professore di retorica e poi di teologia nel collegio clementino, dal 1604 affidato ai somaschi. Nel 1771 si recò a Subiaco per vestirvi l’abito di S. Benedetto. Da qui, dopo sei anni, passò a Roma e Bologna per trasferirsi nel convento di S. Polo d’Argon presso Bergamo dove rimase fino al 1784, anno nel quale passò nel convento di S. Giustina in Padova come lettore di Sacra Scrittura e maestro dei novizi. Nel 1785 venne chiamato come professore di Sacra Scrittura all’Università di Padova (ma l’incarico venne approvato solo l’anno successivo dopo la morte dell’inquisitore Barbarigo suo acerrimo oppositore) e vi rimase fino al 1798; si trasferì poi nel monastero di Praglia presso Bergamo. Nel 1810 si ritirò a Venezia presso il fratello Domenico e vi morì il 5 febbraio 1824. Aveva avuto un ruolo di primo piano all’interno del movimento giansenista e anticurialista della seconda metà del secolo XVIII. I temi affrontati dal P. sono quelli tipici del giansenismo italiano: le polemiche sulla Via Crucis e la devozione al Sacro Cuore di Gesù, il primato e l’infallibilità pontificia, la riforma dei testi catechistici, la fede nel ritorno di Elia e nella conversione degli Ebrei, le discussioni accanite intorno alle anime dei giusti dell’Antico Testamento, la controversia sacramentaria sulla comunione “infra missam”. Agli scritti giovanili, fortemente influenzati dalla cultura letteraria dei classici greci e latini e dalla poesia italiana del Quattrocento, si affiancano testi di carattere profano, secondo il gusto del suo tempo, e cioè la poesia d’occasione, nozze, lutti, celebrazioni religiose e civili, come: Componimenti pel solennissimo ingresso del sig. ... leggi cav. Francesco Morosini alla dignità di procuratore di San Marco per merito (Venezia, 1763); Poesie in morte della marchesa Matilde Bovio Ercolani, dama del R. I. ordine della Crociera (Bergamo, 1769); Festa accademica di lettere ed arti cavalleresche dedicata dai signori convittori del Collegio Clementino all’esimio e reverendissimo principe il signor cardinale Gerolamo Colonna (Roma, 1762); Saggio di belle lettere che si darà dai signor Scolari del Collegio Clementino sotto la cura dei padri della congregazione di Somasca (Roma, 1766) e Compimento al saggio di belle Lettere dell’anno passato aggiungono i signori Scolari di retorica del Collegio Clementino per due giorni seguenti (Roma, 1767). A questa prima produzione si affiancano alcuni testi di carattere religioso tra i quali argomenti privilegiati furono soprattutto la morte e la passione di Gesù Cristo: Accademia sopra la Croce, inedita, del 1765; Accademia sopra la sete di nostro Signore per lo venerdì santo, inedita, del 1762; e Oratorio per l’Assunzione della beatissima Vergine da cantarsi nel Collegio Clementino (Roma, 1760). Dopo un decennio di presenza al collegio clementino l’agostinismo del P. si andò accentuando. Intorno al 1770 scrisse delle opere di carattere teologico in cui l’interpretazione di Agostino si avvicinava alle posizioni di Giansenio: Laureae Theologiae Theses (Roma, 1770) e Propositionum theologicarum specimen ad universam pene theologiam explicandam quas unice exceptas ex s. Augustino eidemque patri suo et magistro dicatas publica certamini exponunt clerici regulares congregationis Somascae in Collegio Clementino (Roma, 1771). Le letture di Port Royal e il clima di forti tensioni antigesuitiche fecero maturare la sua decisione di abbandonare l’ordine per quello ascetico di S. Benedetto. A questo periodo risale il Manuale delle anime religiose pubblicato a Roma nel 1777, che suscitò ampie polemiche. Il clima tra gli ecclesiastici era oramai particolarmente teso e il P. divenne polemista più ardito in favore della Riforma della Chiesa e rafforzò il suo appoggio ai giansenisti francesi. È a questo periodo che risalgono le sue accese proposte di riforme liturgiche all’insegna dell’austerità e della corretta interiorizzazione della realtà spirituale. Ne furono particolarmente colpiti i culti della Vergine, dei santi e del Sacro Cuore, festa introdotta nel 1765 da Clemente XIII. Scrisse Riflessioni sopra l’origine, la natura e il fine della devozione al Sacro cuore di Gesù (1780). Altro campo di interessi che percorse la sua vita fu il campo dell’istruzione. Già nel 1778 aveva pubblicato a Lugano Saggio intorno allo studio della teologia, opera di osservazioni e suggerimenti utili allo studio della teologia che attingeva ampiamente agli scritti dei giansenisti (Quesnel, Duguet). La sua opera di riforma, testimoniata dalle numerose lettere di critica alle devozioni, lo misero in contatto con Scipione de’ Ricci che, intorno al 1780, cominciava ad elaborare il piano delle riforme da attuare nella sua diocesi di Pistoia e Prato. Per il vescovo riformatore il P. stese il programma delle riforme ricciane in Toscana e diresse la traduzione del catechismo di Etienne Gourlin. Per ordine del Ricci furono infine stampate le sue riflessioni sopra il Pio esercizio detto la Via Crucis (Firenze, 1782), in cui suggeriva importanti variazioni come l’eliminazione degli episodi della passione non espressamente citati nei Vangeli; lo scritto suscitò ampie polemiche anche tra i suoi tradizionali sostenitori. Fu attivo collaboratore del giornale toscano filogiansenista «Annali Ecclesiastici». Il P. fu uno dei pochi filogiansenisti di area veneta che attirarono l’attenzione sulle virtù civili convinto che l’impegno civile avrebbe giovato alla causa della Riforma della Chiesa e a rivendicare dunque le prerogative dello Stato su questa: lo fece da Padova, nel territorio della Serenissima, esortando a una maggiore cura della sua tradizione sarpiana. Riforma urgente a suo avviso era quella degli studi e della formazione del clero, che passava anche attraverso una riduzione degli ordini monastici a cui dedicò le sue Riflessioni di un Italiano sullo stato dei Regolari (Venezia, 1784). Verso la fine della sua vita si dedicò ad alcune opere di carattere politico. In questo gruppo possiamo inserire un libretto che raccoglie una serie di critiche contro l’etica della massoneria, Esame di un articolo del signor de La Lande sopra i Liberi Muratori e di una nuova apologia sopra i medesimi uscito a Venezia nel 1787, e l’inedito Dissertazione divisa in tre parti sopra l’opera del sig. abate don Nicola Spedalieri dei diritti dell’uomo del 1792. In entrambe il P. conduceva un discorso che partiva dalla condanna dei “philosophes” circa l’esaltazione dello stato di natura dell’uomo e della sua capacità di realizzare la sua felicità al di sopra della religione, delle nazioni e dei ceti. Il prìncipe, secondo P., era voluto da Dio proprio per impedire agli uomini di vivere nella barbarie. A questo tema dedicherà il suo Principi sulla essenza, sulla distinzione e sui limiti delle due potestà spirituale e temporale (Pistoia, 1784). Gli ultimi anni della sua vita furono dedicati a una polemica millenaristica (Dissertazione sul millenarismo de’ cattolici in forma di lettera al signor Iacopo Raghi di Villafranca) in cui il P. sostenne che l’avvento del Regno di Cristo riguardava lo spirito e non il mondo terreno o la storia. La sua posizione segnò l’isolamento dai suoi tradizionali amici dell’ambiente giansenista e l’adesione alla vita di solitudine.
ChiudiBibliografia
Numerosi i manoscritti e le lettere di G.M. P. conservati nelle biblioteche italiane e francesi.
A. VECCHI, Correnti religiose nel sei-settecento veneto, Venezia-Roma, Istituto per la collaborazione culturale, 1962; M. VAUSSARD, Le jansénisme vénitien à la fin du XVIIIe siècle: G.M. Pujati, «Revue historique», 227 (1962), 415-432; ID., Epistolario di G.M. Pujati col canonico Clement, «Bollettino dell’Istituto di storia della società e dello Stato veneziano», 5-6 (1964), 325-375; ID., Epistolario di G.M. Pujati col canonico Dupac de Bellegarde, Ibid., 7 (1965), 443-486; E. PALANDRI, La via crucis del Pujati e le sue ripercussioni polemiche nel mondo giansenistico e in quello francescano ai tempi di mons. Scipione de’ Ricci, Firenze, Studi Francescani, 1928; F. MARGIOTTA BROGLIO, Atteggiamenti e problemi del riformismo e dell’anticurialismo veneto in alcune lettere di G.M. Pujati a J.Ch. Clement, G. Massa, «Rivista di storia della Chiesa in Italia», 20 (1966), 82-158; R. MAZZETTI, Giuseppe Maria Pujati e Scipione dei Ricci, «Bollettino storico pistoiese», 35 (1933), 137-152; 36 (1934), 10-22; 88-100; 159-170; 37 (1935), 26-33, 69-81; D. FIOROT, Note sul giansenismo veneto nei primi decenni del secolo XVIII, «Nuova rivista storica», 35 (1951), 199-226; D. FEDERICI, Echi di giansenismo in Lombardia e l’epistolario Pujati-Guadagnini, «Archivio storico lombardo», 67 (1940), 109-158; T. LECCISOTTI, A proposito del Pujati e del cenacolo di San Polo d’Argon, «Benedictina», 14 (1967), 347-350; G. TROISI, Giuseppe Maria Pujati ed il Giansenismo veneto, «Archivio storico lombardo», 113 (1987), 101-161; E. CODIGNOLA, Illuministi, giansenisti e giacobini nell’Italia del Settecento, Firenze, La Nuova Italia, 1947; M. ROSA, Settecento religioso. Politica della Ragione e religione del cuore, Venezia, Marsilio, 1999.
Nessun commento