Scrittore, drammaturgo, animatore culturale e uomo dal tratto elegante e riservato, fu legato a filo doppio a Pordenone, dove nacque nel 1934 e dove, prematuramente, scomparve nel dicembre 1996. Dell’amata città sul Noncello – laboratorio vivo di passaggi nel secondo dopoguerra da sonnolente economie rurali-mercantili a inedite ed esplosive espansioni industriali – R. assunse in scrittura il vernacolo particolare: quel «dialetto veneto speciale» – scrive Piera Rizzolatti – che, calato dall’alto come una varietà «coloniale» di prestigio durante la dominazione della Serenissima, guadagnò a sé già dal 1700 anche i ceti medi e piccolo-borghesi, desiderosi di promozione sociale, e con la sua avanzata finì per relegare l’antico friulano al rango di «parlata bassa e popolare» del contado. Fu un’operazione linguisticamente rilevante, con cui R. (anche se di minor spessore, va citato anche Ettore Busetto, altro cultore della parlata locale) contribuì ad arricchire e nobilitare una tradizione letteraria in pordenonese altrimenti non lunga né particolarmente nutrita. In questo codice, R. calò una personale sensibilità emotiva verso ambienti e personaggi ai margini e, come la loro parola, di confine, sorpresi in piccole vicende del quotidiano e immaginati sullo sfondo di tutta una città in fermento, sospesa anch’essa tra il vecchio e il nuovo: al bivio, dunque, ora in senso geografico, tra quartieri di periferia e territorio urbano; ora in senso sociale e antropologico, tra vita popolare del tempo che fu e ansie moderne di progresso, e tra vecchi e giovani; ora, infine, in senso esistenziale, tra realtà e sogno, e tra speranza e rassegnazione. Con realismo delicato, screziato talora di lirismo agrodolce e incline allo scavo discreto nell’interiorità di personaggi a loro modo irrequieti, R. tradusse queste tensioni sia in narrativa e in versi liberi sia, soprattutto, nell’impegno drammaturgico che, in nome di un sincero amore per il teatro fiorito già in gioventù nell’ambiente salesiano e poi coltivato tra i momenti liberi dal lavoro (R. fu operatore in campo commerciale), si concretizzò con la stesura di un corposo complesso di undici testi, spesso premiati e inscenati con successo anche nel Triveneto. ... leggi Tra essi spiccano due gioielli, tuttora rappresentati, a emblema di un gusto teatrale scaltrito che, nell’impianto tradizionale di trame, situazioni e dialoghi, sa lasciar presagire sotto la comicità pieghe di amarezza, anche drammatica, e ombre di malinconico malessere. È il caso della commedia El ponte de la Silvia (anche racconto omonimo, premiato nel 1984 a Trieste con la Pancogola d’Argento), che, nel crocevia di passaggio di un’osteria del 1930, alla frontiera tra campagna e città, inscena le ansie di emancipazione e di evasione dell’ostessa Silvia, salvo il capolinea di una finale frustrazione al contatto con l’agognato “centro”. E soprattutto è il caso di Quatro ragi a briscola, crepuscolare spaccato di vita in ospizio, dove quattro vecchi, uniti in gioventù dalla comune passione per la recitazione e sfaccettati come i Rusteghi goldoniani, illudono la propria solitudine da emarginati con effimeri sogni di recupero vitale e teatrale, troncati anche qui dal brusco irrompere della morte. Questo testo, tradotto anche in friulano da Gianni Gregoricchio (prima rappresentazione al Teatro Bon di Colugna il 9 novembre 2003, per la regia di Andrea Chiappori), è stato in origine scritto per il Gruppo Teatro Pordenone, che lo stesso R. fondò nel 1974 e di cui fu anima infaticabile, anche come attore e regista. Il Gruppo, che dal 1998 porta il nome del suo padre fondatore, prosegue nel solco delle intenzioni originarie, secondo gli intenti di una scena amatoriale elevata a serio artigianato artistico e a coesa esperienza di collettivo teatrale consapevole e preparato. Un impegno nella vita materiale e organizzativa del teatro che portò R. ad assumere per molti anni anche la presidenza dell’Associazione teatrale friulana e a lavorare fattivamente, come socio e dirigente, per l’Associazione provinciale per la prosa di Pordenone, ma soprattutto a scrivere testi di agile potenzialità rappresentativa, pensati, come furono, non a tavolino, ma in complicità con gli attori e in presa diretta con le regole concrete del palcoscenico.
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