Nato a Martignacco (Udine) nel 1859, di lui si hanno poche notizie: fu insegnante e morì nel 1932. Nel 1929 uscì, sotto lo pseudonimo di V.G. Blanch, un suo volume dal titolo Linguaggio friulano, che suscitò critiche caustiche. L’opera riflette sulla lingua friulana, sia pure con palesi ingenuità, per ribattere all’istanza grafica scaturita dalle posizioni della Società filologica friulana, costituitasi nel 1919, la quale invitava a semplificare la scrittura del friulano e delle sue varianti, sconsigliando l’uso di segni e diagrammi divergenti dall’italiano: R. contestò in particolare alcuni passi della complessa Relazione preliminare alla determinazione della grafia di Ugo Pellis. La replica nacque dal fatto che il sistema della Filologica non considerava tutti i valori fonici della parlata e che pareva accomodare «le cose in modo che soddisfino alle esigenze delle parlate orientali della Provincia», senza tener conto dei caratteri delle varianti medio-occidentali e montane. Alcune idee sostenute da R. trovano in realtà conferma nel recente modello ufficiale (l’evidenza data al plurale sigmatico, l’uso esteso della cediglia anche in posizione finale, la differenziazione nell’uso della “z” e della “s”), ma Lorenzoni non ebbe remore a definire le considerazioni introduttive frutto di «ignoranza presuntuosa». Tra i vari capitoli, dopo i Caratteri morfologici e gli Esempi di logica grafia della lingua (dove si propone un friulano unitario che si appoggia sull’uscita del femminile plurale in “es” e l’uso dell’articolo maschile singolare “el”), R. esplora anche l’affinità del friulano con il catalano. ... leggi Teoricamente i princìpi sono cercati nelle analisi glottologiche e comparative di G.I. Ascoli, che però non confermano ciò che per R. è un dato di fatto: «una tale affinità… che non si riscontra fra altre lingue del mondo», tanto che l’autore giunge all’ipotesi che l’idioma del Friuli sia stato importato da veterani (o da intere legioni di colonizzatori) spagnoli. Se è comprensibile la censura di Lorenzoni, è pur vero che R. fu il primo a notare somiglianze che sarebbero state poi alimento di ben altri percorsi. La sua, infatti, è «una curiosità» che «precede di quasi due decenni (e rispetta la linea di ben altro gusto) la scoperta pasoliniana del ’47» (ossia il «Quaderno romanzo» con l’antologia di poeti catalani) (Pellegrini, 1987). Nella Pratica dimostrazione dell’affinità Catalano-Friulana, R. porta l’accento sulla parentela tra le due parlate romanze, fornendo prove di «intima» fratellanza. Strumento del confronto tra le «lingue gemelle» è la traduzione, necessariamente letterale, quasi una parafrasi del catalano. Fra gli autori (Fontanals, Llorente, Verdaguer) molti ritorneranno, altrimenti interpretati, nel «Quaderno romanzo» pasoliniano. Oltre al confronto con i catalani (sono pochi e non significativi i testi originali), R. si cimentò in traduzioni da Dante (dal V canto dell’Inferno, da leggere a fianco dell’esempio di P. Bonini) e dai classici latini (Tibullo, e qui vale un parallelo con Lorenzoni; Orazio e Ovidio), con l’aggiunta di una versione della parabola del Figliuol prodigo. Il loro fine era di porre il friulano entro canoni nobilitanti («la lingua friulana riproduce molto bene l’andamento del latino e veste con proprietà il pensiero dell’antico autore»), trattandolo al pari di una lingua colta ed elaborata («Non è raro che la traduzione assuma l’aspetto di composizione originale»), ma anche di illustrare il paradigma di friulano e di grafia proposto dall’autore. Esse sono presentate come mero esercizio (valga un lacerto dal «ritaglio» del V canto: «E, dopo che el dotor mi à favelad / Dei cavalirs antichs e compagnie, / Come fur di me stess, ’o soi restad. // – Vorèss discori cun chei doi là- vie / – ’O ài dit a Lui – che, unids insieme, e van / Cusì li?ers sul vint che i puarte vie» [E, poi che il duca mi ebbe parlato, / dei cavalieri antichi e compagnia, / come fuor di me sono rimasto. // – Vorrei discorrere con quei due là / – Ho detto a Lui – che, insieme, vanno / così leggeri sul vento che porta via]). Attingere un piano alto, classico, porta però a scelte «non indolori»: rispetto al latino «Blanch costringe l’antigrafo ad assimilazioni, a processi di sintesi, a compendi che rimuovono interi sintagmi, che applicano la censura ferma per esorcizzare eventuali (o presunte) trivialità» (Pellegrini, 2008). La resa, pur di registro sostenuto, è di necessità libera, divergendo da quella che coinvolge gli autori catalani.
ChiudiBibliografia
V.G. BLANCH, Linguaggio friulano, San Daniele del Friuli, Arti grafiche G. Tabacco, 1929.
DBF, 701; U. PELLIS, Relazione preliminare alla determinazione della grafia friulana, Udine, SFF, 1920; G. LORENZONI, Il libro delle bestialità, «Ce fastu?», 6/1 (1930), 19; VIRGILI, La flôr, II, 484; D’ARONCO, Nuova antologia, II, 219; PELLEGRINI, Tra lingua e letteratura, 288; A. CARROZZO, Classici latini in friulano: forme e modi del tradurre, t.l., Università degli studi di Trieste, a.a. 1999-2000; R. PELLEGRINI, Classici latini e greci in redazione friulana. Esempi e sondaggi, in Incontri triestini di filologia classica. 6 (2006-2007). Atti della giornata di studio in onore di Laura Casarsa (Trieste, 19 gennaio 2007), a cura di L. CRISTANTE - I. FILIP, Trieste, Edizioni Università di Trieste, 2008, 147-149.
Nessun commento