Udinese, figlio di un omonimo Tommaso, nel 1406 aveva come procuratore “ad causas et negotia” il cognato notaio Giacomo di Nicolussio di Tommasino da Udine. Divenuto lui stesso notaio, lasciò rogiti pervenuti a partire dal 6 dicembre 1409, atto con il quale registrava un giuramento prestato dal cancelliere Giovanni Susanna al notaio Giovanni Missulini circa la pubblicazione di atti del defunto notaio Girolamo Brunacci. Ritenuto ancor giovane nel 1412, ma già professionista affermato, sposato a Elena figlia dell’orefice Giacomo di Francesco da Montegnacco, il 25 agosto 1410 egli dettava un curioso documento al notaio Giovanni Missulini: «pro aliquali refrigerio et sue mentis quiete», in tempi tanto difficili intendeva allontanarsi da Udine e per ragioni di privatezza di affari, ma anche di sicurezza dei suoi clienti, consegnava note, imbreviature, privilegi e atti processuali al giovane notaio Antonio di Mattiussio (che nel settembre di quell’anno sarebbe stato nominato tra i cancellieri della comunità). In realtà, nonostante le turbolenze, i disordini e le lotte che seguirono, egli non dovette rimanere assente a lungo, perché l’11 luglio 1411 richiamava l’attenzione del consiglio udinese sulla vicina scadenza del contratto d’affitto del rettore di scuola Giacomo da Sacile e quindi sulla necessità di provvedervi perché le scuole potessero funzionare; e il primo agosto successivo testimoniava a un atto notarile nella spezieria del veronese Costantino Giuseppi, dove per altro si recò in altre circostanze per redigere suoi atti. ... leggi Vi convenivano infatti diversi intellettuali e uomini d’affari udinesi, che certamente il R. conobbe. In tal modo egli ebbe rapporti con il mercante Ambrogio Marchesini, che avrebbe appaltato la zecca sotto Ludovico di Teck, redigendo per lui un importante contratto d’affitto. Contemporaneamente all’attività privata notarile, il R. assolse anche l’ufficio di cancelliere del comune a partire dal 1412. Qui ebbe per colleghi Giovanni di Tommaso da Clauiano e Giovanni Missulini, con i quali condivise per alcuni anni tale responsabilità. Lavoravano fianco a fianco in un locale della comunità dove giungevano anche i banditori a riferire l’esito delle loro missioni. A volte d’inverno vi si riuniva addirittura il consiglio comunale. Probabilmente per la carica che ricopriva il R. fu inviato un paio di volte a rappresentare la città di Udine presso il parlamento della Patria. Nella prima occasione, il 20 ottobre 1415 a Cividale, egli produsse un privilegio imperiale che ordinava l’espulsione dei ribelli dell’Impero e della Chiesa d’Aquileia e chiedeva alla città di Cividale di obbedirvi e allo scriba di turno di registrare il suo intervento. Per questa città rispose il notaio Nicolò Filittini precisando che colà non esisteva alcun ribelle e che Cividale intendeva obbedire all’imperatore e alla Chiesa d’Aquileia. Al R. è stata attribuita con incertezza, in alternativa con Giovanni da Clauiano, la paternità di cinque versi latini scritti alla data del 27 settembre 1414 negli Annales civitatis Utini, ma non esiste memoria coeva di una sua produzione del genere. Si sa per certo invece che egli frequentava persone di cultura: oltre ai ricordati colleghi cancellieri del comune, al Susanna cancelliere patriarcale e al rettore di scuola Giacomo da Sacile, incontrò certamente anche il grammatico Guglielmo da Padova (1415) e ancora della stessa città conosceva il monetario Bartolomeo di Giovanni prima ancora di frequentare l’ambiente della zecca sotto la gestione del Marchesini. Conclusa l’esperienza di cancelleria, fu ancor attivo come notaio e fu presente in mezzo ad altri colleghi ai processi amministrati dal vicecapitano di Udine fino negli ultimi tempi della sua vita. La morte del R. fu drammatica. Quando la notte del 12 settembre 1419 Tristano Savorgnan tentò ancora una volta di penetrare in Udine con il compiacente sostegno dei suoi fautori, il popolo insorse contro di loro, catturò alcune persone additate come traditrici della Patria e tra queste il notaio R., l’unico tra tutti che confessasse la sua complicità (anche altri furono ugualmente condannati). Secondo la decisione del consiglio della comunità, del quale aveva pur fatto parte nel corso dello stesso anno, egli fu squartato. La testa venne impalata in piazza, due parti del cadavere furono appese sopra la porta di S. Antonio e due sopra quella di S. Gottardo. Naturalmente i beni furono confiscati e devoluti al comune di Udine. Il 22 settembre Nicolino della Torre, commentando il fatto in una lettera al figlio Capo, scriveva: «La Patria è totalmente desfada».
ChiudiBibliografia
ASU, NA, Tommaso Ronconi, 5150/6, 15, 16; ASU, NA, Nicolussio, 5134/30.
DE RUBEIS, MEA, A, 19; COGO, Sottomissione, VI-VII, 135-137; L. S[UTTINA ], Versi tratti dagli antichi Annali di Udine, «MSF», 10 (1914), 96-98; LEICHT, Parlamento, DXVI, 490; DXVII, 490-495; DXIX, 496-497; ID., Il tramonto dello stato patriarcale e la lotta delle parti in Friuli durante le tregue 1413-1418, in Miscellanea Pio Paschini, «Laternanum», n.s., XV, 1-4 (1949) (= Studi di storia friulana, Udine, 1955), 91, n. 14; PASCHINI, Storia, 739; MASUTTI, Zecca, 27, 29, 76, 93, 100, 175.
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