ROSSI ANTONIO ANASTASIO

ROSSI ANTONIO ANASTASIO (1864 - 1948)

arcivescovo

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L'arcivescovo Antonio Anastasio Rossi (Udine, Civici musei, Fototeca).

Nato a Milano il 18 luglio 1864, venne ordinato sacerdote nel 1886 e nel 1888 si laureò in filosofia alla Gregoriana. Insegnante nel Seminario di Pavia, pubblicò diversi studi di diritto canonico, guadagnando notorietà anche all’estero; fu un pioniere nel giornalismo e nel movimento sociale cattolico; rilevante la sua presenza in campo sociale. Fu nominato arcivescovo di Udine il 31 dicembre 1909. L’accoglienza fu entusiastica perché lo si sapeva favorevole all’associazionismo cattolico: prese possesso dell’arcidiocesi il 5 maggio 1910, la resse per diciassette anni, e tutto trattava di persona. Tra i suoi primi atti quello di evitare a Giuseppe Ellero e a Pio Paschini di essere allontanati dal Seminario a causa dei sospetti di modernismo. Intensa, energica, vasta, capillare appare la sua attività, che comportò una evidente e radicale rivoluzione tesa ad ammodernare la Chiesa friulana. Si dedicò da subito a una profonda opera riformatrice dell’organizzazione territoriale diocesana, caratterizzata da un immobilismo secolare: le foranie – circoscrizioni per l’amministrazione pastorale – da venti furono accresciute a ventotto; vennero istituite nuove parrocchie e edificate, anche in Udine, nuove chiese. Dal 1911 iniziava la pubblicazione della «Rivista diocesana udinese», il foglio ufficiale della diocesi. E mentre dopo la guerra R. aveva fondato il Seminario minore di Castellerio, nel 1923 inaugurò l’Istituto magistrale arcivescovile. In pronta conformità con le indicazioni di Pio X, istituì l’Ufficio catechistico, la Scuola di religione per la formazione dei catechisti; nel 1913 fu tenuto il primo congresso catechistico; grande cura veniva da R. dedicata all’Azione cattolica, il che favorì un rilevante accrescimento delle sue sedi. ... leggi Favorì la presenza dei religiosi. Nel 1919 ai cappuccini affidava il santuario di Castelmonte: ne seguirono acri rimostranze da parte del clero diocesano di lingua slovena, che fino ad allora aveva gestito quell’antico luogo di pellegrinaggio nelle Valli del Natisone. A Udine furono introdotti i salesiani nel 1920 e i serviti nel 1921. R. riservò molto tempo alle visite pastorali (ne concluse tre: la prima, 1910-1913; la seconda, 1914-1917, 1919-1920; la terza, 1920-1925; la quarta, 1925-1927, rimase sospesa), che svolse interamente da solo, senza cioè la tradizionale collaborazione del convisitatore, con infaticabile perseveranza; visite caratterizzate dall’essere vere e proprie ispezioni alle parrocchie, come pure agli archivi parrocchiali, rendendo dal 1912 obbligatoria – una tra le svariate disposizioni imperate – anche la compilazione dei diari storici parrocchiali. I contemporanei si dimostrarono nettamente divisi nella valutazione di R.: un grande arcivescovo, un patriota, per il mondo politico e militare; una grande figura carismatica, per il popolo; una personalità egemone e autoritaria, per gran parte del clero. E il clero si assoggettò alle direttive amministrative e pastorali di R. fino al tempo della sua profuganza. In relazione alla grande guerra, R. manifestò un atteggiamento di equilibrio fra interventismo e astensione. Abile, accorta è valutata la sua capacità di gestire i rapporti con le massime autorità militari e con lo stesso Vittorio Emanuele III in merito alle delicate problematiche connesse alla strategica posizione militare del Friuli durante il conflitto. A fronte di quest’accorta mediazione di R., come risposta ad un articolo redatto da un parroco, giudicato disfattista nei confronti della guerra, apparso sulle pagine del quotidiano diocesano «Il Corriere del Friuli», ne fu sospesa l’edizione. Durante la ritirata di Caporetto, il 27 ottobre 1917, R. decise di allontanarsi da Udine, raggiungendo Sacile, appartenente allora al territorio diocesano udinese; in seguito, a causa dell’ulteriore avanzata austriaca – a differenza dei vescovi di Belluno, di Concordia e di Ceneda (ora Vittorio Veneto), che poi patirono le ritorsioni dell’essere giudicati austriacanti – lasciò del tutto la diocesi, cui prepose il vicario Eugenio Bortolotti. Il 5 novembre R. era in Vaticano, da dove organizzò un’intensa opera in favore dei profughi (un quinto della popolazione del Friuli). Rientrò in Udine il 7 novembre 1918 e subito divulgò i motivi del suo esodo, pur riconoscendo che i preti rimasti con la gente erano stati «impavidi alla mercé del prepotente e rapace invasore […] fieramente affermando i diritti della italianità». E mentre l’opinione pubblica italiana prese a giudicare come “austriacante” la maggior parte del clero friulano, per essere rimasto al proprio posto, la scelta di R. era, invece, esaltata come patriottica. L’arcivescovo dovette affrontare il rancore del clero, che aveva in ogni modo addensato su R. molti e differenti motivi per non sentirsi più in comunione con il proprio vescovo: il risentimento per i modi autoritari, aspri e imperiosi; perplessità e rimostranze per la riorganizzazione della diocesi che, pur condotta nel pieno rispetto del diritto canonico, era andata contro atavici prerogative e aveva comportato problemi nel sostentamento dei parroci. La gran parte del clero, inoltre, manifestava di dissociarsi dagli atteggiamenti di R., che riteneva troppo proclivi nei confronti del regime fascista, e questo nonostante nel 1921 gli squadristi avessero attentato gravemente sia al palazzo episcopale sia alla tipografia ivi allogata. Un atteggiamento di R. valutato come incoerente fu anche quello che, mentre in sintonia con la Santa Sede, in occasione delle elezioni del 1924, aveva comminato la sospensione a divinis per il clero che contravvenisse ad un atteggiamento di neutralità, aveva fatto invece silenzio pubblico di fronte al fenomeno delle aggressioni fisiche e morali patite dallo stesso clero. Nel 1925, pubblicamente, R. riconosceva come dall’azione di Mussolini, nonostante restringesse le pubbliche libertà, il ristabilimento dell’ordine ne avesse tratto vantaggio. Quantunque il congresso eucaristico diocesano agli inizi del settembre 1923 fosse stato accolto e vissuto con grande partecipazione popolare, R., indicendo il sinodo diocesano il 25 marzo 1926, riprese la sua pubblica difesa per la profuganza, e ciò riaccese i non sopiti risentimenti tra il clero. In un clima, dunque, di sempre più tesa insofferenza, un folto gruppo di sacerdoti guidato da mons. Protasio Gori inoltrava alla Santa Sede la richiesta di un’indagine sulla condizione dell’arcidiocesi. Il 19 luglio 1927 la Sacra Congregazione concistoriale nominò visitatore apostolico Andrea Giacinto Longhin, vescovo di Treviso; R. si allontanò discretamente per non intralciare l’inchiesta. Incauta fu, allora, la decisione del vicario generale Luigi Quargnassi di divulgare la notizia che l’arcivescovo aveva cessato dalle funzioni: le autorità politiche dimostrarono la loro contrarietà. Il 10 agosto vennero arrestati cinque sacerdoti, tra cui Gori, ritenuti responsabili della rimozione del vescovo; sarebbero stati graziati dopo qualche mese. La relazione di Longhin, presentata nell’autunno, evidenziava i meriti di R., ma anche il suo «temperamento precipitoso e violento» e che «da parecchi anni il clero udinese nella sua grande maggioranza non ha più fiducia dell’Arcivescovo». Il 18 dicembre 1927 R. lasciò ufficialmente la diocesi di Udine, trasferito a Roma con il titolo di patriarca di Costantinopoli. Nel settembre dell’anno successivo fu nominato ordinario della prelatura del Ss. Rosario in Valle di Pompei. Nel marzo 1947 anche l’arcidiocesi di Udine partecipò ai festeggiamenti per i cinquant’anni dall’ordinazione sacerdotale: una sorta di riconciliazione. A Pompei R. morì il 29 marzo 1948.

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Bibliografia

La biografia ufficiale è quella di P. MARGRETH, La figura di un grande Arcivescovo. Mons. Antonio Anastasio Rossi, Udine, AGF, 1951, ma lo studio più completo è quello di E. ELLERO, S. E. Antonio Anastasio Rossi Arcivescovo di Udine dal 1910 al 1927. Ipotesi storiografiche, «Storia contemporanea in Friuli», 26/27 (1996), 11-68 (in appendice riporta la relazione del visitatore apostolico Longhin). Su aspetti particolari si vedano: T. TESSITORI, Storia del Partito popolare in Friuli (1919-1925), Udine, AGF, 1972, indice; G. ELLERO, Cronaca del Seminario Arcivescovile di Udine (1902-1924), a cura di L. NEGRISIN, Tavagnacco, Casamassima, 1986, indice; P. MALNI, L’operato di monsignor Rossi e dei reggenti nell’Isontino (1915-1918), «M&R», n.s., 6/2 (1987), 44-76; SCOTTÀ, Vescovi, 439-592; La Santa Sede, i Vescovi Veneti e l’autonomia politica dei cattolici 1918-1922, a cura di A. SCOTTÀ, Trieste, Lint, 1994, 433-468; G. VIOLA, L’Arcidiocesi di Udine nella Grande Guerra, in Friuli. Storia e società III, 143-181; E. ELLERO, Chiesa udinese e fascismo. Arresto e confino di cinque sacerdoti (agosto-dicembre 1927), «Storia contemporanea in Friuli», 31/32 (2001), 55-90; L. FERRARI, La chiesa friulana nell’Ottocento, in Friuli. Storia e società II, 236-238; EAD., La Chiesa friulana tra dopoguerra e fascismo, in Friuli. Storia e società IV, 255-294.

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