Alcuni dati essenziali sulla vita di Tirannio Rufino si possono ricavare dai suoi scritti integrati con notizie riportate da Girolamo. R. nacque a Iulia Concordia sull’Annia, a trenta miglia da Aquileia, intorno al 345, da famiglia benestante, se ebbe la possibilità di completare gli studi a Roma, dove conobbe Girolamo, cui fu legato da profonda amicizia fino all’insanabile dissidio provocato dalla questione origeniana. Del resto ancora nel 375, prima che esplodesse l’aspra polemica, in una lettera al monaco Fiorentino, così si esprimeva Girolamo riguardo all’amico: «Mi è legato da un amore fraterno più unico che raro […] Non farti un giudizio su di me, al vedere le virtù che ha lui, dato che vi scorgerai i segni manifesti della santità. Io, invece, sono cenere, una manciata di vilissimo fango, anzi pulviscolo» (ep. 4). E allo stesso R. aveva scritto l’estate di quell’anno: «Fa che il tuo cuore e i tuoi occhi non perdano di vista un amico ricercato a lungo, ritrovato a mala pena e conservato con tanta difficoltà […] L’amore non ha prezzo: un’amicizia che può finire, non fu mai vera» (ep. 3). Forse, come è stato rilevato con una punta di umorismo, senza Girolamo, la vita di R. si sarebbe conclusa nel silenzio e nel lavoro. Girolamo ricorda almeno due volte che R. era di Concordia, mentre nulla si conosce della sua famiglia, all’infuori di quanto, più tardi, scrisse di lui il monaco Palladio nella Storia lausiaca, qualificandolo di “nobili natali”. Ben poco si può dire della sua infanzia e della sua giovinezza, se non che studiò a Roma e che dalla capitale fosse già rientrato a Concordia nel 366, quando invece Girolamo e Bonoso vi ricevettero il battesimo dalle mani di papa Liberio. ... leggi Per questo periodo della sua vita, siamo informati da quanto egli stesso scrisse nel 401 nell’Apologia contro Girolamo (I, 4) per difendersi dai suoi attacchi: «Io, com’egli (Girolamo) e tutti sanno, trovandomi nel monastero (‘in monasterio iam positus’) già prima di trent’anni, rigenerato dalla grazia del battesimo, ho conseguito il segno della fede per opera dei beati Cromazio, Giovino ed Eusebio, famosissimi e stimatissimi vescovi della Chiesa di Dio, dei quali uno era allora presbitero di Valeriano di beata memoria, l’altro arcidiacono, l’altro, diacono, fu insieme per me padre e maestro della dottrina cristiana». Da qui siamo dunque informati che intorno al 370 R. era convertito e battezzato dopo l’iniziazione cristiana ricevuta ad Aquileia sotto la direzione del presbitero Cromazio, dell’arcidiacono Giovino e specialmente ad opera del diacono Eusebio, poi divenuti tutti e tre vescovi, Cromazio di Aquileia, Giovino forse di Padova ed Eusebio di una sede ignota. Conversione, istruzione catecumenale e battesimo erano dunque avvenuti ad Aquileia, considerato che Concordia, fino allo scorcio del secolo IV, non aveva ancora una Chiesa gerarchicamente costituita. In quell’ambiente ricco di religioso entusiasmo anche per il passaggio di Atanasio di Alessandria nel 344-345, assieme a quei chierici ricordati da Girolamo come un “coro di beati”, egli dovette vivere la sua prima esperienza ascetica («in monasterio iam positus»). Nel 372 o nel 373, R. si metteva in viaggio per l’Egitto, la terra dell’anacoresi, con una profonda attenzione verso le sorgenti della più genuina vita ascetica; e a lui Girolamo scriveva da Antiochia (ep. 3): «…carissimo… vengo a sapere che ti sei inoltrato nelle solitudini dell’Egitto, che vai visitando i conventi dei monaci e circoli fra codesta famiglia celeste che abita sulla terra…». Qui, con la breve interruzione di un viaggio in Siria nel 378, trascorse otto anni importanti per la sua formazione dottrinale alla scuola di Didimo il Cieco, che, nella celebre scuola di Alessandria, lo introdusse nel pensiero e nelle opere di Origene e che egli ricorderà con grande ammirazione nella sua Storia della Chiesa. Ma del periodo egiziano, almeno al momento di scrivere la Storia, R. non sembrava ricordare tanto la scuola teologica di Didimo, quanto l’ascesi dei “maestri del deserto”, da lui probabilmente incontrati con ripetute frequentazioni. Partito per Gerusalemme non prima del 381, vi fondò un monastero sul Monte degli Ulivi, affiancandosi a quello che intorno al 375 la celebre patrizia Melania Senior aveva a sua volta organizzato per una cinquantina di vergini, ambedue alla guida di distinte comunità. Comunità esemplari per preghiera, per lavoro e per accoglienza ai pellegrini secondo la testimonianza di Palladio, che in quel centro monastico si era trattenuto dal 386 al 388: «Con lei [Melania] visse anche un uomo nobilissimo, a lei simile di carattere ed estremamente energico, R. di Aquileia in Italia, che in seguito fu ritenuto degno di diventare presbitero: di lui non si trovava fra gli uomini chi fosse più sapiente e più modesto». Ricevevano quanti «venivano a Gerusalemme a scopo di preghiera, vescovi e monaci e vergini, e tutti i visitatori, mantenendoli a proprie spese» e, nel contempo, soccorrevano «il clero di quei luoghi con doni e aiuti di cibo». Inoltre, dall’Apologia contro Girolamo (II, 11) che R. in seguito dovette stilare per difendersi dalle sue accuse, veniamo a sapere indirettamente che, tra gli altri lavori, la sua comunità sul Monte degli Ulivi si dedicava anche alla trascrizione di manoscritti, che Girolamo stesso commissionava dal proprio monastero di Betlemme dopo essersi definitivamente trasferito in Palestina (386). Le differenti concezioni che i due avevano sull’uso della cultura profana, dell’ascesi e dell’organizzazione monastica non erano tuttavia tali da provocare la rottura e lo scontro che si verificò solo nel 393, all’insorgere della polemica tra Epifanio vescovo di Salamina (di Cipro), integrista per natura, e Giovanni vescovo di Gerusalemme a motivo di Origene. E per far fronte a questa emergenza, R. dovette mettere mano alla penna: infatti non consta che, temperamento schivo e modesto qual era, abbia scritto alcunché prima della controversia origeniana. R., a fianco del suo vescovo Giovanni, si adoperò a favore della causa di Origene, attirandosi i primi strali di Girolamo: tuttavia nei primi mesi del 397 i due si riconciliarono e subito dopo R. abbandonò definitivamente Gerusalemme per tornare in Occidente, a Roma. Ci sfuggono i motivi per una decisione di tale portata, ma forse si può supporre il proposito di abbandonare un ambiente ormai lacerato dalla polemica origeniana, la cui eco era giunta nei circoli ascetici dell’urbe grazie all’informazione quanto mai parziale di Girolamo a danno della memoria di Origene. Questa presa di posizione dello Stridoniate però non aveva mancato di suscitare perplessità in quanti ricordavano il suo entusiastico apprezzamento per Origene prima del 393, fino ad averne tradotto in latino alcune raccolte di omelie. Sollecitato da chi intendeva sapere qualcosa di più sulla vicenda e sull’improvviso voltafaccia di Girolamo, R., fra il 397 e il 398, si mise a tradurre il primo dei sei libri dell’Apologia di Panfilo, scritta quasi un secolo prima per Origene, cui fece seguire come appendice il De adulteratione librorum Origenis. Tradusse poi il trattato stesso di Origene Sui princìpi, eliminando i passi di carattere eterodosso, che supponeva mere interpolazioni di eretici o comunque inaccettabili alla fine del secolo IV, e con un’introduzione in cui indirettamente presentava Girolamo come ammiratore e propagandista di Origene. La replica di Girolamo non si fece attendere con una traduzione integrale del Sui princìpi (perduta) per far conoscere meglio gli errori di Origene e con una lettera agli amici romani (ep. 84) per accusare R. e gli origenisti come propugnatori degli errori dell’Alessandrino. Ciò spinse R. ad abbandonare Roma nel 400 per recarsi prima a Milano e poi ad Aquileia. A questa offensiva R. replicò con due scritti, l’Apologia diretta a papa Anastasio, in cui esprime la sua professione di fede in sintonia con la dottrina ufficiale di allora e si giustifica per le traduzioni di Origene, e l’Apologia contro Girolamo in due libri, vero atto d’accusa nei confronti dell’avversario: «È come se un rancore lungamente represso finalmente avesse rotto gli argini e si sfogasse senza più remore, significativo forse in un vero e proprio complesso di inferiorità del nostro R. nei confronti del più celebrato e discusso ex-amico» (Simonetti). Girolamo reagì con i tre libri dell’Apologia contro Rufino e continuò a imperversare a lungo; ma R. preferì non replicare più e dedicarsi a un’intensa attività letteraria specialmente con la traduzione di fonti greche. Già nel 397 aveva tradotto le Regole monastiche di Basilio; fra il 399 e il 406 si dedicò a tradurre soprattutto raccolte di omelie di Origene, di Basilio e di Gregorio Nazianzeno, oltre alla Storia della Chiesa di Eusebio, al Dialogo di Adamanzio, ai Riconoscimenti pseudo clementini, alla Storia dei monaci, alle Sentenze di Sesto e di Evagrio. Al di fuori degli scritti sollecitati dalla polemica con Girolamo sulla questione di Origene, le opere originali di R. sono poche e di carattere occasionale. Così fra il 402 e il 403, per soddisfare la richiesta di Cromazio di Aquileia, aggiunse alla sua traduzione della Storia ecclesiastica di Eusebio altri due libri, raccontando le vicende della Chiesa dall’insorgere dell’arianesimo alla morte di Teodosio con una narrazione a colorito fortemente agiografico. Intorno al 404, egli compose l’Expositio Symboli, dedicata a uno sconosciuto vescovo Lorenzo, proponendo una completa catechesi dottrinale, compendiata con chiarezza e aggiornata con gli esiti della più recente riflessione teologica. L’operetta, molto letta e apprezzata anche in seguito, è importante, fra l’altro, perché ci tramanda le varianti esistenti tra il simbolo della Chiesa romana e quello di Aquileia, che aggiungeva i termini “invisibile e impassibile” dopo “onnipotente” in riferimento a Dio Padre, la menzione della discesa di Cristo agli inferi dopo la morte e specificava la resurrezione “di questa carne”. Di fronte all’invasione dei Goti di Alarico, R. abbandonò Aquileia: fra il 407 e il 408, nel monastero del Pineto presso Terracina, dettò i due libri su Le benedizioni dei patriarchi, una spiegazione allegorica delle benedizioni di Giacobbe (Gen. 49) secondo un metodo esegetico della più stretta osservanza origeniana. Morì in Sicilia tra il 410/411 dopo aver tradotto parte del Commento al Cantico dei cantici e una raccolta di omelie sui Numeri di Origene. R. ebbe anche un peso profondo nella vita culturale dell’Occidente cristiano: fu stimato da una schiera di dotti del suo tempo, da Cromazio di Aquileia a Palladio, da Gaudenzio di Brescia a Paolino di Nola e allo stesso Agostino. Anche i posteri lo tennero in considerazione, se, nella continuazione al De viris illustribus di Girolamo, Gennadio di Marsiglia gli dedicava un capitolo, dicendolo «parte non minima dei dotti della Chiesa».
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Rufino di Concordia e il suo tempo, Udine, AGF, 1987, I-II (Antichità altoadriatiche, 31); Storia ed esegesi in Rufino di Concordia, Udine, AGF, 1992 (Antichità altoadriatiche, 39); Y.M. DUVAL, Aquilée et la Palestine entre 370 et 420, in Aquileia e l’Oriente mediterraneo, Udine, AGF, 1977 (Antichità altoadriatiche, 12), 263-322; F. THELAMON, Une oeuvre destinée à la communauté chrétienne d’Aquilée: l’Histoire ecclésiastique de Rufin, in Aquileia nel IV secolo, Udine, AGF, 1982 (Antichità altoadriatiche, 22), 255-271; ID., Rufino di Concordia o d’Aquileia, in La Chiesa concordiese 389-1989, I, Fiume Veneto (Pn), 1989, 65-79; G. FEDALTO, Rufino di Concordia tra Oriente e Occidente, Roma, Città nuova/FSCBA, 1990; F. X. MURPHY, Rufinus of Aquileia (345-411). His Life and Works, Washington, 1945 (Catholic University of America studies in medieval history, n.s., 6); RUFINO DI CONCORDIA, Scritti apologetici, a cura di M. SIMONETTI, Roma, Città nuova/FSCBA, 1999 (Corpus scriptorum Ecclesiae Aquileiensis, VI/1); RUFINO DI CONCORDIA, Scritti vari, a cura di M. SIMONETTI, Roma, Città nuova/FSCBA, 2000 (Corpus scriptorum Ecclesiae Aquileiensis, V/2); TYRANNI RUFINI, Opera, ed. M. SIMONETTI, Turnholti, Typographi Brepols Editores Pontificii, 1961 (Corpus Christianorum. Series Latina, 20).
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