Nella seconda metà dell’Ottocento, il laboratorio Santi e Grassi era apprezzato per la «varietà del disegno» e la «finezza del lavoro» dei gioielli in lamina d’oro stampata, appariscenti, ma di costo contenuto. La bottega iniziò la sua attività a Udine dal 1836 in contrada S. Tomaso (poi via Cavour), ma Pietro (notizie 1812-ante 1849), già nel 1812, era lavorante e agente presso l’orefice Giacomo Cressa. Nella bottega di S. aveva lavorato anche il medaglista Antonio Fabris, uno dei più bravi del periodo, tanto che il laboratorio Santi si caratterizzò per l’abile uso del bulino. Dal 1849 al 1852 la bottega fu gestita dagli eredi. Le fonti ottocentesche ricordano numerosi orefici udinesi appartenenti, si presume, alla stessa famiglia.
Antonio nacque nel 1814 e dal 1850 al 1852 fu socio di Francesco Colosio. È menzionato tra i partecipanti alla Esposizione di arti belle e meccaniche del 1853 con una coppa e sottocoppa lavorata a cesello e con un reliquiario in argento. Antonio Picco ricorda anche una coppa e un bacile d’argento ornati con tre vedute di Udine eseguite a bulino, oggetti che furono acquistati a Milano a riprova della loro preziosità. Antonio fu abile ritrattista e ciò lo portò ad operare come medaglista, coniando imitazioni di monete antiche. Intorno al 1854 si trasferì a Venezia, dove imitò perfettamente una intera collezione numismatica per il principe russo Tiskof di San Pietroburgo. Verosimilmente rientrò a Udine, dove risultò attivo nel 1878 ca., nel 1881 e nel 1896 sia nel settore orafo sia in quello delle incisioni. ... leggi Ancora nel 1903 realizzò la medaglia per la grande Esposizione regionale di Udine progettata da D’Aronco.
Nicolò, di cui si hanno notizie dal 1853 al 1921, partecipò anch’egli all’Esposizione di Udine del 1853 e nel 1866 fu uno dei soci promotori della Società di mutuo soccorso e istruzione di Udine. Tra il 1840 e il 1861 si consociò con Giovan Battista Grassi aprendo un laboratorio, fornito di negozio, in via di S. Bartolomio (attuale via Manin) già dal 1876. La bottega orafa era piuttosto grande poiché vi lavoravano sedici operai e due apprendisti. La produzione si orientò per lo più ai gioielli in lamina stampata, lavorati in modo seriale con aggiunte di vetri colorati e perline di vetro. Il titolo dell’oro lavorato – se ne consumavano due chili e mezzo all’anno – era alto, tuttavia la lavorazione con le presse permetteva di fabbricare gioielli leggerissimi, ma appariscenti e di buon gusto, che erano acquistati dalla borghesia e dai ceti meno abbienti della Carnia e dell’Istria. Alla Esposizione di Udine del 1883 la manifattura Santi espose braccialetti, fermagli, orecchini, bottoni, spille, ciondoli, medaglioni che riscossero grande successo, tanto da essere premiati con la medaglia d’argento. Verso la fine del secolo, la bottega Santi cessò la produzione industriale per continuare solo l’attività commerciale, trasferendosi in via del Monte, dove aprì un elegante negozio ancora attivo nel 1921. Qui l’orefice Pio Galliussi imparò le tecniche tradizionali del bulino e dell’incisione, mentre Nicolò S. eseguì la spilla offerta al re Vittorio Emanuele III.
Nel Dizionario degli orafi compaiono anche un Arturo Santi (notizie 1883-1900), un Enrico Santi (prima metà secolo XX), un Francesco Santi, garzone nel 1812 nella bottega di Giacomo Cressa e Pietro Santi, un Giovanni Santi, che nel 1878 eseguì medaglioni con i ritratti dei regnanti del Portogallo.
Chiudi
Nessun commento