M., uno degli undici figli che il conte Girolamo Savorgnan ebbe con la quarta moglie Orsina di Girolamo Canal vedova di Marcantonio Marcello, nacque a Venezia, nella casa dello zio materno Girolamo, l’8 dicembre 1511; ebbe come padrini Nicolò Aurelio, segretario del consiglio dei Dieci (che in seguito commissionò a Tiziano il celebre dipinto Amor Sacro e profano), Lorenzo Orsini dell’Anguillara conosciuto come Renzo da Ceri condottiero in quegli anni al servizio della Repubblica, e la comunità di San Daniele del Friuli. Ricevuta la prima educazione presso la zia Lucrezia Canal, seguì poi insieme con i fratelli le lezioni del letterato e filologo greco Giano Lascaris, che il padre Girolamo appositamente ospitava nel castello di Osoppo, apprendendo il latino e il greco, e istruendosi anche nella lingua ebraica e nelle scienze matematiche; continuò probabilmente gli studi con Lazzaro Bonamico a Padova. Al pari dei fratelli si formò all’arte della guerra attraverso l’attività sul campo. Nel 1530 pare che accompagnasse il duca di Urbino Francesco Maria I della Rovere, al servizio della Repubblica come comandante militare, a esplorare le difese del Friuli dai Turchi. Successivamente, insieme con Benedetto Ramberti, fu al seguito dell’ambasciatore veneziano Nicolò Tiepolo, che aveva sposato la sorellastra Emilia: partecipò alla dieta di Augusta, visitò la corte imperiale, indi quella di Francesco I di Francia e diverse città europee, da dove nel 1531 inviò una dettagliata corrispondenza al fratello maggiore Costantino e, probabilmente, a Federico II Gonzaga, duca di Mantova (da Colonia, Parigi, Bruxelles); nella prima metà di agosto del 1531 visitò anche la corte di Enrico VIII a Londra. In seguito Pietro Bembo avrebbe confermato, indirettamente, come nascita e prima formazione del S. fossero state di matrice veneziana, nel segno della cultura e dell’attività pratica: scrivendo nel 1542 della propria intenzione di maritare la figlia naturale Elena con M., lo apprezzò come «il più gentil giovane […] della nobiltà nostra, dotto in latino e greco», riconoscendogli l’esperienza di uno che già «ha veduto assai del mondo»; l’unione non si fece, di certo per la decisione congiunta dei fratelli Savorgnan di riservare a uno solo di essi, Marcantonio, il compito di tramandare integra l’eredità paterna, preservando quella coesione dell’asse patrimoniale familiare voluta dal padre Girolamo. ... leggi Nel 1532 il S. era a Padova, vittima, con il fratello Giulio, di un episodio di aggressione da parte di Matteo Giberti e Pietro Percoto. Nel 1535 il S. fu inviato a Trento, insieme con Giovanni Dolfin, per rappresentare, nella controversia legata alla spartizione del Friuli che seguì al trattato di Worms tra l’impero e Venezia (1521), gli interessi della propria famiglia e della Repubblica sui feudi di Belgrado e Castelnuovo, sopra i quali i Savorgnan detenevano ampie e assolute prerogative; il S. fu l’estensore di una relazione inviata agli ambasciatori veneziani presso la corte imperiale: Successo et instruction de la causa di Belgrado et Castronovo (9 dicembre 1535). Dal 1540 al 1542 alcuni documenti testimoniano la sua presenza abbastanza continuativa nel feudo di Belgrado. Gli anni successivi furono impiegati dal S. nell’esercizio dell’ingegneria militare durante la guerra tra Francesco I e Carlo V: nel 1542-43 fu probabilmente al servizio del re di Francia alla presa di Landrecies, collaborando poi alla sua fortificazione, mentre l’agosto 1544 era stipendiato dall’imperatore per un progetto di fortificazione di S. Dizier. Nel gennaio 1545 era nuovamente a Belgrado. Nel 1548 presso Paolo III a Roma insieme a Ottavio Farnese collaborava ai lavori di fortificazione della città. Per conto del Farnese si recò a Genova a incontrare l’imperatore Filippo II, che accompagnò a Milano e a Trento (1548-49). Passato, probabilmente nel corso della legazione, per Pisa, incontrò Benedetto Varchi; a questo successivamente inviò da Belgrado (1550) alcuni documenti per la Storia fiorentina. Nel settembre 1551 era ancora a Belgrado dove esercitava la giurisdizione in cause penali. Negli anni successivi il S., chiedendo la mediazione di Roberto Strozzi (Belgrado 1553, Venezia 1554) e di Ercole II d’Este duca di Ferrara, offrì ripetutamente le proprie truppe alla causa francese; con l’Estense intrecciò un rapporto di confidenziale collaborazione, testimoniato dalla corrispondenza epistolare degli anni Cinquanta da Belgrado, Osoppo, Venezia e Manerbio. In seguito, sempre al servizio della Repubblica Veneziana probabilmente comandò una condotta gente d’arme sotto direzione del fratello Giulio e ispezionò, nel 1553, le fortificazioni di Zante. Nel 1555 era di nuovo in Friuli e, successivamente, nelle fortezze veneziane del Levante a ispezionare le difese contro i Turchi, lasciando relazioni scritte al luogotenente del Friuli Domenico Bollani e alle magistrature veneziane. La corrispondenza mostra M. S. sempre partecipe della vita sociale e culturale del Friuli – si veda quella con Antonio Belloni –; le lettere scritte negli anni seguenti, ad Alvise Cornaro (1562, 1563) – la prima delle quali descrive i possedimenti della famiglia e fa un elogio della «vita sobria» –, a Guidobaldo II della Rovere duca di Urbino (Belgrado 1564, 1571) e ad Alfonso II d’Este duca di Ferrara (Belgrado 1570, 1572), insieme con i diversi atti notarili e giurisdizionali cui egli partecipò (1560, 1563, 1566, 1571, 1573), suggeriscono che il S. nell’ultima parte della sua vita non si allontanò molto dai suoi feudi friulani. Morì nel maggio del 1574. Le occupazioni civili e familiari non distolsero il S. dall’attività scientifica e culturale, che, come scrisse il suo antico maestro Laskaris nell’epigramma dedicatogli, era per lui esigenza irrinunciabile («Pure, senza sapienza non volesti vivere, tu che persegui sempre, Mario, la cultura»). Lo conferma l’autorevolezza che godeva presso i letterati contemporanei, friulani e non, che gli dedicarono le proprie traduzioni dal greco (come quelle di Pompilio Amaseo e di Raffaele Cillenio, dei rispettivi Fragmenta polibiani, Bologna 1543 e Venezia 1549; di G. B. Gabia delle tragedie di Sofocle, Venezia 1543; e di Francesco Robortello, che gli dedicò la traduzione di Eliano Tattico, Venezia 1552) e scrissero numerose composizioni poetiche, in italiano latino e greco, in suo onore (tra le altre un sonetto del Varchi, i versi in latino e greco di Marcantonio Flaminio, del Laskaris, di Giuseppe Sporeno e di Francesco Ronconi). Di suo il S. pare che abbia steso tra l’altro alcune traduzioni delle sezioni militari delle Storie polibiane, poi confluite nella Militia antica et moderna, un’opera di arte militare di carattere pragmatico, ora conservata manoscritta, ma pubblicata postuma da Cesare Campana nel 1599, con rimaneggiamenti e aggiunte. Nei manoscritti, il S. rivela una profonda conoscenza linguistica e perizia filologica, a volte discordando dalle interpretazioni dei contemporanei e anticipando soluzioni della filologia successiva, anche novecentesca. Ad esempio, in relazione alla parola stratovpedon in POL., VI 27-32.5, importante per intendere come allestissero l’accampamento i Romani secondo la descrizione polibiana e per utilizzare tali conoscenze nella pratica militare del tempo: il termine era correttamente reso dal S. con “legio” [legione], e invece interpretato dai contemporanei, anche dal suo stesso maestro Laskaris, in modo erroneo “exercitus” [esercito] (si veda la traduzione del Laskaris, Parigi, s.a., 1524(?), e Venezia, 1529; il Libro della Militia de’ Romani et del modo di accampare tratto dall’Historia di Polibio, 1536; Wolfgang Musculus, 1549; il Lipsius, 1594; il Casaubon, 1609; e cfr. invece l’imperfetta soluzione del problema interpretativo in Fabricius, 1932, e definitiva in Fraccaro, 1934, Walbank, 1957-70, e Weil, 1977; ma già R. H. Schelius, 1660). Una attitudine filologica, del resto, che il S. aveva già dimostrato di possedere, quando nel 1532 trascrisse in modo rigoroso l’autografo dell’Itinerario in Spagna di Andrea Navagero (manoscritto Marciano It. VI, 110=5902).
ChiudiBibliografia
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A. GUGLIELMOTTI, Le fortificazioni nella spiaggia romana. 1560-1570, in Storia della marina pontificia, V, Roma, tip. Vaticana, 1887, 307, 310, 353, 356, 358; E. SALARIS, Una famiglia di militari italiani dei secoli XVI e XVII, I Savorgnano, Roma, Tip. editrice Roma, 1913; F. BONATI SAVORGNAN D ’OSOPPO, Memorie di casa Savorgnan, I. Mario Savorgnan il Vecchio e l’artiglieria del Rinascimento, Udine, AGF, 1969 (estratto dagli «Atti dell’Accademia di Udine», s. VIII, 8 (1966-1969), 5-15; C. GRIGGIO, Andrea Navagero e l’‘Itinerario’ in Spagna (1524-1528), in Miscellanea di studi in onore di Marco Pecoraro, I. Da Dante al Manzoni, a cura di B.M. DA RIF - C. GRIGGIO, Firenze, Olschki, 1991, 175-176 e n.; ID., Il frammento della ‘Storia Veneta’ di Andrea Navagero. Appunti sulla storiografìa veneziana del Rinascimento, in Tra storia e simbolo: studi dedicati a Ezio Raimondi dai direttori, redattori e dall’editore di Lettere italiane, Firenze, Olschki, 1994, 93-98, 96-97 e nn.; L. CASELLA, I Savorgnan. La famiglia e le opportunità del potere: secc. XV-XVIII, Roma, Bulzoni, 2003, indice.
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