SAVORGNAN GIROLAMO

SAVORGNAN GIROLAMO (1466 - 1529)

condottiero

Immagine del soggetto

Ritratto di Girolamo Savorgnan sul recto di una medaglia in bronzo del 1514.

Immagine del soggetto

Sul verso, un genio coronato dalla Vittoria, seduto su trofeo d'armi, tiene nella destra la rocca di Osoppo.

Nacque nel 1466, figlio primogenito di Pagano e Maddalena di Giacomo di Zucco e Cucagna. Con Pagano, uno dei figli di Tristano, si inaugurò la linea dei Savorgnan del Monte, quella che avrebbe legato la sua gloria e la sua fortuna all’esercizio delle armi che alcuni appartenenti avrebbero prestato al servizio di Venezia e che prese il nome dalla residenza privilegiata della famiglia, la fortezza posta sul monte di Osoppo. In questa prospettiva, la figura di G. è particolarmente significativa. La separazione in due linee della famiglia che discendeva da Tristano, personaggio chiave nella conquista veneziana della Patria del Friuli, avrebbe avuto importanti ripercussioni per quello che riguarda la divisione dell’ingente patrimonio del casato, ma anche per ciò che concerne il ruolo politico della famiglia e il suo legame privilegiato con la Repubblica di Venezia: dove infatti l’astro di Antonio, cugino di G. e suo coetaneo, definitivamente tramontò dopo la rivolta del carnevale del 1511 che aveva visto il suo diretto coinvolgimento, dopo il suo tradimento e il passaggio alla parte imperiale, l’importanza di G., impegnato nella difesa del territorio friulano e del suo strategico confine nel corso della guerra tra Massimiliano d’Austria e i Veneziani, cominciò ad emergere. A ristabilire le sorti dinastiche e ad iniziare la costruzione di una nuova immagine familiare, imperniata sull’onore militare, contribuì la lunga sequela di imprese militari di G. e in particolare quella difesa di Osoppo che è stata ampiamente ricordata dalla storiografia. Egli è infatti il personaggio della famiglia che assieme a Tristano, e forse più, è stato celebrato. Eroe veneziano, contraltare positivo della figura del cugino Antonio, strenuo difensore dalla sua rocca di Osoppo della Patria friulana e dello Stato veneto contro gli imperiali negli anni di Cambrai e, per estensione interpretativa della storiografia risorgimentale, dell’italico spirito contro l’Austria, G. ha offerto molti motivi agli storici per essere immortalato come esempio memorabile, meritevole di glorificazione. ... leggi Basandosi su testimonianze precedenti e soprattutto sulle annotazione biografiche che scrisse il fiorentino Donato Giannotti quando, esiliato a Venezia durante il dominio di Cosimo I, lo conobbe personalmente, il Liruti sostenne che egli venne cresciuto secondo i dettami di un’educazione conveniente ad un gentiluomo, istruito nelle lettere, nella filosofia e nelle scienze, e che tra i suoi maestri ebbe il domenicano Benedetto de Colle Prampergi. In ogni caso la pratica delle armi iniziò per lui altrettanto presto: non ancora ventenne partecipò ad alcune operazioni a difesa della fortezza di Gradisca dalle minacce degli imperiali, seguendo le cernide, sotto la guida del cugino Urbano. Nel 1487 sarebbe stato egli stesso a guidarle in difesa del passo di Monte Croce, quando le truppe dell’arciduca d’Austria, in guerra con Venezia per i confini sul Garda, tentarono di scendere dalle valli carniche con l’intenzione di passare dal Friuli. Per la sua impresa, in quei frangenti, Venezia lo ricompensò con la condotta di trecento fanti. Le imprese militari successive di G. vanno inscritte nel conflitto che dopo la morte dell’ultimo dei conti di Gorizia, Leonardo, si era aperto tra Venezia e casa d’Austria per i diritti sulla contea e si intrecciano con le più ampie vicende della guerra di Cambrai. Nel marzo del 1508, quando lo scontro divampò, G. contribuì con un contingente di cernide a fermare l’avanzata delle truppe di Massimiliano in Cadore, consentendo a Bartolomeo d’Alviano, al comando delle truppe veneziane, di sconfiggerli, di sottrarre all’impero i territori di Belgrado e Castelnuovo (infeudati solo più tardi ai Savorgnan) e Pordenone. La conoscenza del territorio e una certa capacità strategica sono evidenziate dallo scritto intitolato Ordini […] per la custodia e la difesa della Carnia e del Cadore, pubblicato nel 1896 per cura di V. Joppi assieme alle altre lettere storiche del S. Il successo dell’impresa del Cadore, in seguito alla quale la Repubblica gli corrispose una pensione annua, consentì nei mesi successivi di allargare la conquista a Gorizia, a Duino, a Trieste e a Fiume. Nel corso di questa campagna offensiva, G. venne accerchiato dalle forze nemiche nel castello di Prem e, fatto prigioniero da Cristoforo Frangipane, capitano cesareo che gli si sarebbe opposto anche qualche anno più tardi nell’assedio di Osoppo. G. fu costretto all’esborso di una somma cospicua per ottenere la liberazione. Comprovata la sua perizia e fedeltà, il Senato veneziano lo inviò nel marzo del 1509 come ambasciatore in Svizzera per ricercarne l’appoggio e assoldare truppe mercenarie. Nel maggio successivo la sconfitta di Agnadello, ad opera delle potenze che nel dicembre 1508 avevano stretto la lega di Cambrai in funzione antiveneziana, avrebbe vanificato ogni tentativo strategico più ampio e costretto la Signoria a concentrare il suo sforzo difensivo sul confine orientale, dove gli imperiali vennero riconquistando i territori perduti nel 1508. A questa avanzata il S. rispose respingendo le truppe sul confine carinziano e a Cormons e riuscì a strappare Castelnuovo. Il primo settembre, con un provvedimento tanto inusuale quanto esclusivamente formale, la Repubblica stabilì di premiare il successo delle sue operazioni militari nominandolo senatore soprannumerario. Commentatori a lui contemporanei – Sanudo, Priuli, ma anche il Bembo – sottolinearono l’eccezionalità della nomina per un nobile non nato a Venezia: infatti, per quanto patrizio veneziano, era pur sempre appartenente a quella aristocrazia di terraferma, costituzionalmente esclusa dal partecipare al governo dello Stato, particolarmente agli affari più delicati. Che fosse un incarico onorifico fu confermato dalla circostanza che, fatto il suo ingresso in Senato il 16 ottobre 1509, il 23 dello stesso mese venne inviato a riprendere possesso di Vicenza insignito dell’incarico di Collaterale generale, nomina ballottata con ampia maggioranza il 5 dicembre 1508. Negli anni successivi il S. continuò a segnalarsi come uno degli elementi chiave nella difesa del territorio orientale soprattutto a partire dal 1513, all’interruzione della tregua, quando, dopo aver preso con un colpo di mano Marano, l’esercito imperiale ebbe la meglio e avanzò nell’intero Friuli trovando la sola resistenza nel castello di Osoppo controllato dal S. Questi infatti si ritirò nel forte dopo aver tentato, con esito negativo, di organizzare una difesa a Udine. La fortezza venne cinta d’assedio dalle truppe cesaree capitanate da Cristoforo Frangipane dal 17 febbraio al 30 marzo 1514 e la resistenza che G. seppe opporre consentì all’esercito veneziano, capeggiato da Bartolomeo d’Alviano, di recuperare Udine e la maggior parte delle terre friulane, ad eccezione delle fortezze di Gradisca e Marano; quest’ultima vide, nell’aprile, un tentativo, fallito, di assedio da parte di un contingente guidato dal S. stesso. L’impresa di questo ad Osoppo ebbe grande risonanza e venne indicata come risolutiva della guerra e della riconquista veneziana. Fu soprattutto grazie alla sua strenua difesa che la sua figura fu tanto celebrata. Egli assunse nella ricostruzione storiografica coeva e successiva i tratti dell’eroe patrio, e ne vennero esaltate la fedeltà e la gloria militare anche se l’importanza del personaggio è più complessa: stratega militare, mediatore tra l’esercito e il governo veneziano, egli stesso finanziatore di molte imprese alla testa delle cernide ma anche di contingenti di cavalleria. I suoi scritti e le sue lettere in particolare costituiscono una testimonianza storica di grande valore per comprenderne la personalità, le spinte ideali e gli interessi che lo muovevano, ma anche per ricostruire le vicende militari di questi anni e comprendere il sistema difensivo veneziano, per fare luce sul ruolo che la nobiltà feudale della terraferma giocava in questo sistema. I suoi meriti vennero poi amplificati dal confronto con il cugino Antonio che negli stessi anni aveva orchestrato la rivolta del carnevale del 1511 e, in seguito, era passato al nemico. G. compì infatti una tenace opera di riposizionamento del ruolo della famiglia mettendo la preminenza di cui la sua casata godeva nel territorio al fedele servizio della Serenissima e aprendo la strada alle carriere militari dei suoi discendenti anche se non abbandonò, per questo, il tentativo di continuare a difendere tutte le prerogative che gli spettavano all’interno della Patria del Friuli, di mantenere la sua posizione di rilievo, di contrastare tutti i provvedimenti e le decisioni che tendevano a limitarne i privilegi sullo scenario locale. La presa di distanza dal tradimento del cugino fu un passaggio inevitabile e utile a ricordare a Venezia i suoi meriti. «La Serenità vostra ha perduto questa Patria per lo tradimento di un Savorgnano; io prometto restituirla con la fede di un altro, che sono io» scriveva nel settembre del 1511, non omettendo di continuare «purché non mi sia mancato delli debiti favori». Così nel 1508, oltre che per i meriti militari maturati nella difesa della Patria, anche per le spese personali che vi aveva sostenuto, G. ricevette dalla Signoria il castello di Belgrado, sottratto agli imperiali; successivamente nel dicembre del 1511, nel declinare definitivo dell’astro del cugino Antonio, ormai traditore, e a risarcimento sempre del suo impegno difensivo, gli venne infeudata la gastaldia di Palazzolo (che nel 1513 gli sarebbe stata concessa come feudo trasmissibile agli eredi); nel gennaio del 1514, il consiglio dei Dieci gli assegnò tutti i beni confiscati al cugino ribelle: il castello di Pinzano, beni e diritti giurisdizionali a Valeriano, Forgaria, Anduins, Clauzetto, Flagogna, Sammardenchia, Zugliano, Basaldella, Passons e Buia. Ampissimi possedimenti che riguardavano zone montane e pedemontane con importanti strutture fortificate, terre intorno a Udine e nella bassa pianura friulana. Nel 1515 anche il castello di Osoppo, cuore ideale dell’immagine militare di G. e luogo strategico della difesa della Patria sarebbe entrato interamente in suo possesso quando, con una permuta dei beni in Ariis, altra fondamentale giurisdizione Savorgnan, Maria, vedova del fratello Giacomo, cedeva anche a nome dei suoi figli, a G. e alla sua discendenza, la parte che le spettava del castello. Era questa la richiesta più importante che, a guerra finita e su invito di Venezia, G. aveva sottoposto alle magistrature. Le altre istanze avanzate riguardavano il trasferimento della ferma e mercato delle mercanzie da Gemona a Osoppo e l’imposizione del “niederlech”, una tassazione imposta sulle merci tedesche in transito sulla principale arteria di traffico commerciale che, attraversando il Friuli, collegava l’Austria ai territori della Repubblica veneta e che Osoppo e Gemona si contendevano: il S. ottenne una sentenza favorevole nel dicembre 1518 ma successivamente, il 5 maggio 1519, l’imposta di transito venne attribuita nuovamente a Gemona ed egli venne risarcito con una pensione di 400 ducati annui. Per ottenere il beneficio del “niederlech” a vantaggio di Osoppo e dei Savorgnan, G. aveva letto davanti alle magistrature veneziane una lunga ed articolata scrittura; una seconda scrittura, presentata ai capi del consiglio dei Dieci il 15 novembre 1519 era indirizzata invece a difendere il diritto, consolidato nella tradizione, di un membro della famiglia a prendere parte alle sedute dei sette deputati di Udine, diritto che gli era stato contestato da alcuni concittadini in un clima politico ormai mutato dopo la riforma amministrativa delle istituzioni municipali e a seguito della rivolta del 1511. Sia queste scritture sia l’ampio epistolario confermano lo spessore culturale della sua formazione, quella di un uomo in cui le armi e le lettere, pur nelle differenti proporzioni, coesistevano e spingono ad avvalorare l’ipotesi, avanzata dal Liruti in particolare, di sue opere poetiche e letterarie, che tuttavia non sono giunte a noi. Sul fronte privato e familiare, G. S. venne programmando la sua discendenza con una accorta politica matrimoniale e successoria. L’operazione di ricostruzione dell’immagine familiare dopo il tradimento di Antonio fu perseguita anche attraverso un’accorta politica matrimoniale di consolidamento del suo ramo nell’ambito politico locale e statale. Quattro mogli e ventitrè figli legittimi più qualche naturale testimoniano della sua pervicace volontà di assicurarsi la tranquillità di una propria discendenza. Nel 1493, con un primo matrimonio egli si legò con Maddalena di Raimondo della Torre e ricercò l’alleanza e la composizione con le maggiori famiglie della fazione avversa secondo la logica che aveva indirizzato anche i matrimoni di un paio di suoi fratelli con i Colloredo. Tre anni dopo, alla morte di Maddalena che gli aveva dato nei quattro anni di matrimonio lo stesso numero di figli, l’orizzonte matrimoniale di Girolamo si allargò a rafforzare i legami con il patriziato lagunare. Nel 1496 avrebbe sposato Felicita di Priamo Tron, vedova di Mattia Tiepolo, che sarebbe morta nel 1501, lasciandogli tre figli. L’anno successivo sposò Bianca Malipiero di Pietro, anch’essa vedova di un altro Tiepolo, Marco, che avrebbe partorito cinque figli, uno per ogni anno di matrimonio. Dopo sette femmine e due maschi morti in giovane età, Bianca avrebbe dato, nei primi anni del Cinquecento, con la nascita di Costantino, un primogenito maschio alla linea del Monte. Ma sarebbe stata la quarta moglie di Girolamo, Orsina figlia di Girolamo Canal, vedova di Marcantonio Marcello, sposata nel 1509, a consentirgli di consolidare la discendenza con numerosi maschi tra gli undici figli cui avrebbe dato la luce. Morì nel 1529 a Venezia, ma la salma fu poi trasportata nella chiesa di S. Pietro sul forte di Osoppo. Nel 1530 la Repubblica tolse ai suoi eredi parte del patrimonio che era stato di Antonio e che aveva concesso interamente a G. e reintegrò i nipoti del primo nel possesso di metà della facoltà.

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Bibliografia

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