SAVORGNAN TRISTANO

SAVORGNAN TRISTANO (1377 - 1440)

uomo d'arme, politico

Immagine del soggetto

Ariis, importante postazione dei Savorgnan, in un disegno seicentesco (Udine, Biblioteca civica, Joppi, 208).

T. fu uno dei grandi personaggi della storia del Friuli, protagonista di avvenimenti politici cruciali nei decenni a cavallo tra Trecento e Quattrocento, quelli che vedono la fine del dominio temporale dei patriarchi e l’avvio della dominazione veneziana nella Patria friulana. Nacque nel 1377 dal matrimonio di Federico Savorgnan con Caterina di Hemerberg, discendente di un’importante famiglia stiriana imparentata con i signori di Duino, che morì poco dopo consentendo a Federico di contrarre una seconda unione con Orsina d’Este. Vi è un momento tradizionalmente riconosciuto dalla storiografia in cui T. fece il suo ingresso sulla scena politica, prendendo così la guida del suo casato: il 13 ottobre 1394 il patriarca di Aquileia, Giovanni di Sobieslav, marchese di Moravia e nipote dell’Imperatore Carlo IV di Lussemburgo, venne ucciso da un gruppo di udinesi tra cui T. e il fratello Francesco e alcuni altri nobili vicini alla famiglia e appartenenti alla loro fazione politica. Si compiva in questo modo la vendetta nei confronti di colui che veniva considerato il mandante dell’assassinio di Federico Savorgnan, padre di T., avvenuta cinque anni prima, il 15 febbraio 1389, quando questi aveva solo dodici anni. L’episodio aveva costituito il tragico epilogo di quella aperta ostilità che l’alto prelato aveva dimostrato fin dal suo arrivo in Friuli nei confronti di una delle famiglie che più direttamente influenzavano la politica del tempo, sostenendo sempre più le aspirazioni di conquista di Venezia. Quella dei Savorgnan fu infatti la più importante delle famiglie nobili friulane, a partire dal XIII secolo (soprattutto con l’azione di Francesco e del figlio Federico, rispettivamente nonno e padre di T.) e durante tutti i secoli dell’età veneta, per potere politico e ricchezze patrimoniali, per rete di relazioni e alleanze matrimoniali. ... leggi Feudatari con una presenza radicata e capillare nella Patria del Friuli testimoniata dalla ingente consistenza dei possedimenti, dal controllo militare di punti strategici del territorio e da prerogative giurisdizionali di straordinaria ampiezza, i Savorgnan agivano anche come “nobili cittadini”, indirizzando le attività economiche, artigianali e commerciali, e influenzando le dinamiche politiche municipali del capoluogo del territorio, Udine; inoltre erano “patrizi veneziani”, aggregati fin dal 1385 al corpo aristocratico della Repubblica di S. Marco e proprio con T. avrebbero iniziato a compiere investimenti finanziari nella città dominante, prima tramite una serie di agenti e poi direttamente. T. che già partecipava alle sedute del consiglio cittadino, per diritto riconosciuto al suo casato, il giorno successivo all’uccisione del patriarca venne nominato capitano della città, in virtù della consuetudine che voleva un appartenente della famiglia Savorgnana reggere il comune nella vacanza della sede patriarcale. Egli avrebbe dominato da quel momento, più o meno apertamente, la vita della città, legandone le sorti alle scelte politiche della consorteria savorgnana e alle sue personali. Per l’omicidio del patriarca T. fu raggiunto dalla scomunica nonostante gli Udinesi, con un lungo memoriale di accuse contro il defunto, avessero tentato di scagionarlo dalla responsabilità del delitto e nell’agosto del 1395 avessero rivolto al nuovo eletto, Antonio Caetani, la richiesta di intercedere presso il pontefice per una risoluzione assolutoria. Senza questa infatti il S. non solo era inibito nella sua azione pubblica, ma sarebbe stato giuridicamente impossibilitato a ricevere dall’autorità patriarcale l’investitura dei suoi beni feudali, anche se di fatto il Caetani, nello stesso anno della sua elezione, aveva rinnovato a lui e al fratello Francesco l’investitura di tutti i beni che loro padre aveva avuto dalla Chiesa aquileiese: i castelli di Pinzano, Flagogna, Osoppo e Ariis e i Forni di Sopra e di Sotto, oltre ad altri beni minori. Il primo agosto del 1400 T. e gli altri congiurati ricevettero l’assoluzione grazie ad una bolla papale nella quale si riconoscevano le ragioni straordinarie che avevano spinto a quell’azione violenta e si delegavano i vescovi di Castello e di Torcello a far decadere le censure e a consentire la piena restituzione dei beni. Ragioni di tipo politico e equilibri diplomatici stavano alla base della scelta anche se può aver giocato un ruolo positivo il pellegrinaggio che T. compì nel 1398 in Terrasanta insieme con il duca d’Austria Alberto IV che tre anni prima, alla morte del padre, aveva ereditato l’Austria, la Stiria, la Carinzia, la Carniola e Pordenone. In quell’occasione T. era stato armato cavaliere dall’Asburgo. La posizione non solo di indiscusso controllo politico ed economico della comunità udinese da parte di T., ma anche la sua capacità di controllo militare del territorio si vennero in quegli anni via via rafforzando. Già nel 1404 la Repubblica gli assicurò una pensione vitalizia di 500 ducati per aver combattuto al suo servizio contro i Carraresi ed aver riportato vittorie nel Padovano e nel Trevigiano. Nel 1407 il patriarca Antonio Pancera gli concedette inoltre una carica importante dal punto di vista della strategia militare e del controllo di un territorio chiave tra le terre friulane, germaniche e venete: lo investì, per 1600 ducati, del capitanato del Cadore per quattro anni e nel 1411 l’investitura gli sarebbe stata rinnovata. Il primo decennio del secolo, in larga parte coincidente con il patriarcato del Pancera, rappresentò un periodo di accelerazione dei conflitti e di aumento dell’instabilità politica interna alla regione, durante il quale si verificarono più assidue – anche se non sempre univoche e chiare – relazioni delle parti con i rispettivi referenti esterni; un periodo di preparazione della guerra che nel 1411 sarebbe scoppiata tra le due potenze – Venezia e Impero – investendo il Friuli. Tra il 1408 e il 1409 T. sarebbe ricorso a Venezia per ricercarne la protezione dei suoi interessi fiscali relativi ai traffici delle merci verso la Germania, sollecitandone un intervento pacificatore e spingendo Venezia a intervenire su un aspetto che le stava particolarmente a cuore: l’interessamento della Repubblica alla situazione e agli equilibri della Patria era proporzionale infatti alla sua necessità di assicurarsi e salvaguardare i propri traffici e interessi commerciali con il centro Europa. Il 29 maggio 1409 in una convocazione straordinaria del consiglio udinese T., anche a nome della città, prese posizione contro il pontefice Gregorio XII, nel momento in cui questi sarebbe venuto in Friuli per il concilio che aveva convocato a Cividale, lamentò l’avversità agli Udinesi e confermò la sua solidarietà al patriarca Pancera, che il pontefice aveva deposto. Nei mesi successivi le tensioni che opponevano i diversi attori politici in Friuli si andarono acuendo cosicché alle strategie delle diverse fazioni, allo scontro antico tra le due comunità maggiori, Udine e Cividale, si vennero a sommare strategie più ampie: quelle imperiali di cui vicario in Friuli era il conte di Ortemburg, e quelle dei Veneziani. Nel febbraio del 1410 T. ribadì nel consiglio cittadino la propensione per la parte veneziana e la necessità di migliorare le difese della città per la minaccia costituita dalle aspirazioni espansionistiche degli imperiali. Nelle complesse vicende che segnarono questa fase e nell’altalenante susseguirsi di accordi diplomatici e scontri militari, la figura di T. fu di primo piano anche se le sue posizioni subirono dei mutamenti nell’arco di questi anni. Valutando la singolarità e l’eccezionalità del predominio di cui godeva T. nel Friuli e a Udine in particolare, la storiografia sostiene la tesi secondo la quale il S., nei primi anni della sua vita politica, avesse sfruttato l’amicizia con la potente Repubblica per diventare signore della Patria. «I fatti degli anni seguenti – afferma Cusin – possono darci l’impressione che sino al momento in cui Tristano Savorgnan sarà obbligato a riconoscere i limiti della sua potenza, mai sarebbe riuscito alla diplomazia veneziana di piegarlo alla sottomissione completa». L’elezione nel luglio del 1411 di Sigismondo re d’Ungheria a imperatore rappresentò l’elemento che destabilizzò definitivamente un equilibrio territoriale già precario e che esplicitò il gioco delle alleanze. Udine non aderì in un primo momento alla lega stipulata nella primavera di quell’anno in funzione antimperiale tra Venezia e alcuni castellani e comunità del Friuli. Il 2 novembre 1411 T. strinse anzi un patto di alleanza con i duchi d’Austria, nemici di Sigismondo, con il quale i due contraenti si giurarono fedeltà e protezione reciproca: il S. avrebbe posto sé e la sua famiglia sotto la protezione dei duchi e messo a loro disposizione i suoi castelli, mentre questi ultimi lo avrebbero difeso nell’eventualità di un nuovo processo per l’uccisione di Giovanni di Moravia. Nell’autunno del 1411 Sigismondo iniziò l’occupazione del Friuli e lo scenario venne rapidamente cambiando: l’8 dicembre di quell’anno i deputati di Udine avrebbero giurato fedeltà all’imperatore e, in un clima cittadino controllato ora dalla parte avversa, al S.: questi lasciò la città. Il 17 gennaio 1412, un verbale del parlamento, convocato alla presenza degli Ungheresi, dà piena voce all’accusa del partito avversario circa il fatto che il S. volesse «se facere dominium de terra Utini» fino a spingere affinché pochi giorni più tardi, il 27 gennaio, T. fosse dichiarato ribelle e bandito. Per T., che abbandonata la città si rifugiò nel castello di Ariis, ebbe inizio il periodo dell’esilio. Ciononostante, l’incertezza della situazione politica e militare lasciava aperta la possibilità di ricercare alleanze in tutte le direzioni. Il rappresentante generale delle truppe ungheresi, Pippo Spano, lavorò comunque per ottenere l’appoggio del potente S. che riuscì a convincere a giurare fedeltà all’imperatore il 12 febbraio 1412, mossa di cui presumibilmente il senato veneziano era a conoscenza. A ridosso di questi episodi, T. è a Venezia, e i savi al consiglio, i savi alla guerra e i savi agli ordini propongono al senato, dopo averlo ascoltato, di appoggiarne le azioni militari con danaro e mezzi. Pochi giorni dopo, il 2 maggio 1412, promise fedeltà a Venezia, in quelle Confessioni et oblighi di Tristano Savorgnano fatti alla serenissima signoria di Venetia con le quali pose la sua famiglia e i suoi beni sotto la sua protezione e si dichiarò nemico di Sigismondo, salvaguardando però l’alleanza stretta con l’Asburgo; l’apertura nei confronti dei duchi d’Austria era comunque funzionale agli orientamenti politici di Venezia che mirava a indebolire il mondo germanico favorendo ogni causa di divisione tra le forze austriache e quelle ungheresi. L’accordo raggiunto, che prevedeva anche un prestito a T. di 1000 ducati e una provvisione di 750 per un anno e mezzo, venne trascritto nei libri Commemoriali della Repubblica, in segno della sua importanza diplomatica. Nei mesi successivi T. coordinò la sua azione per contrastare la presenza degli imperiali in Friuli con la Serenissima e avrebbe tentato più volte di rientrare in Udine con l’appoggio dell’esercito veneziano, senza riuscirvi. Come il 28 marzo 1412 quando con quattrocento cavalieri, numerosi fanti, innalzando insegne ungheresi ingannò la guarnigione e riuscì ad entrare a Udine ma, svelato il trucco, ne venne nuovamente cacciato. Il 23 dicembre le truppe ungheresi, con l’aiuto di Udine, rasero al suolo il castello di Savorgnano roccaforte dalla quale T. organizzava la resistenza agli Ungheresi e teneva in scacco la città. In questo modo la comunità si era assicurata definitivamente da eventuali rappresaglie del S. che poteva interrompere gli approvvigionamenti idrici i quali, partendo dal territorio di Savorgnano, attraverso il canale della “roggia” arrivavano a Udine. Distrutto dunque questo castello, caduti anche quelli di Osoppo e Flagogna, T. si ritirò ad Ariis, dove nel 1413 resistette per quaranta giorni all’assedio dell’esercito di Sigismondo. Ariis, in questa fase storica, rappresentò la più importante tra le postazioni dei Savorgnan: circondata dalle paludi, inattaccabile, situata in posizione strategica per far arrivare soccorsi e rinforzi da Venezia, posta com’era sul fiume Stella che sbocca a Marano e dunque in laguna. Saranno queste le caratteristiche che T. avrebbe ricordato ai suoi soldati, assediati dalle truppe imperiali nella sua Oratione: «noi abbiamo aperte le vie del mare de porti et de fiumi et de stagni per li quali ne vengono sicuramente da Venetia i soccorsi et i pressidii di gente». Le parole di T., nell’accorato discorso ai suoi uomini che sono «posti in qualche terrore nel sentir il nome d’un imperatore et il numero grande delle genti sue» sono spese per ricordare loro la favorevole posizione geografica del luogo, la dotazione difensiva e il fondamentale aiuto che sarebbe venuto loro da Venezia. Dopo mesi di assedi e attacchi ai castelli che dai monti al mare disegnavano la linea geografica della difesa dei Savorgnan, l’esercito imperiale si arrestò e si arrese, anche per le difficoltà degli approvvigionamenti, nella paludosa pianura di Ariis. La resistenza di T. e dei suoi uomini, lunga quaranta giorni, sarebbe stata ampiamente ricordata come la circostanza decisiva che avrebbe spinto Sigismondo ad accettare di sedere ad un tavolo di pacificazione con Venezia; quella tregua, durata cinque anni dal 1413 al 1418, tra la Repubblica di Venezia e l’Imperatore, con i rispettivi aderenti, dopo i quali si sarebbe aperta una nuova fase di conflitto definitivamente risolta con la conquista veneziana del Friuli. Al tavolo delle trattative, Udine si disse disposta alla pace con Venezia a patto che T. non fosse più rientrato nella Patria; l’accordo raggiunto prevedeva che egli non avrebbe potuto infatti rientrare in città, ma gli sarebbe stato consentito di rimanere nel castello di Ariis. Il 6 giugno 1420 l’esercito veneziano e T. S. entrarono in Udine, assoggettando definitivamente tutta la Patria del Friuli alla dominazione di S. Marco. Il 20 luglio una ducale della Repubblica lo rimise in possesso di tutti i beni. L’8 gennaio 1421 T. e Francesco ricevettero la prima investitura veneta dei loro possedimenti, secondo le forme delle loro antiche concessioni feudali. Il patrimonio raccoglieva i frutti dell’ampia diffusione fondiaria e del massiccio investimento delle generazioni trecentesche, considerato dalla storiografia il momento d’oro dell’espansione patrimoniale della famiglia sul territorio. Il patrimonio del padre Federico era stato oggetto di una divisione tra T. e il fratello Francesco nel 1399. La divisione, che era avvenuta per sorteggio, aveva assegnato al primo Osoppo, Ariis, Zuino, i due Forni, Cussignacco, Pradamano e altri beni minori; a Francesco, invece toccarono i castelli di Pinzano e Flagogna, Bibano, Terenzano e altri possedimenti sparsi. Le giurisdizioni di Buia e Savorgnano erano rimaste indivise. La divisione dei beni non aveva inciso tuttavia sulla politica comune dei due fratelli, uniti nell’azione a sostegno di Venezia e sarebbe stata temporanea anche dal punto di vista patrimoniale dato che Francesco, alla sua morte, avrebbe lasciato tutto ai nipoti, figli di T. La diretta discendenza di quest’ultimo è oggetto controverso delle genealogie familiari che concordano tuttavia sui nomi dei principali maschi: Urbano (1397-1465), Pagano (1409-1476), Ghibellino (1428-1464) ed Ettore (1428-1463). Erano tutti figli della seconda moglie, Maddalena Colloredo – la prima viene indicata in Tarsia della Scala – che nel 1398, data del primo testamento che Tristano dettò all’età di ventuno anni, prima di partire per la Palestina al seguito del duca d’Austria, gli aveva già dato un figlio e ne aspettava un secondo. Dal secondo testamento del 1428 sappiamo che, oltre ad Urbano, sono certamente nati anche Ghibellino e Pagano. Un terzo testamento, redatto nel 1440, anno della morte di T., vede eredi universali del suo patrimonio Urbano, Ghibellino Ettore e Pagano, proibendo loro la divisione per dieci anni. Quali che siano le cause, nel 1442, ci sarà una prima, non definitiva, divisione tra i fratelli che evidentemente contravvenivano alla volontà del padre circa l’indivisibilità del patrimonio. Essa vide quella netta spaccatura tra i fratelli che si sarebbe riproposta nel 1450 quando, dieci anni dopo, un’ulteriore divisione tra essi fu offerta dall’eredità che con la morte dello zio Francesco, fratello di T., avvenuta in quello stesso anno, riporta l’intero patrimonio dei Savorgnan dello Scaglione, discendenti di Federico, nelle loro mani. La divisione fu un atto importante nella storia della famiglia perché, alla metà del secolo, a trent’anni dall’inizio della dominazione veneziana e dopo una generazione da coloro che ne avevano favorito il realizzarsi, la casata vide la prima divisione in due linee, quella del Monte e quella del Torre. Agli occhi della storiografia locale coeva e anche più tarda questa divisione non sembrerà intaccare la percezione del casato, presumibilmente unito nell’identificazione con la dignità patrizia veneziana e se ne registrerà soltanto la mera divisione genealogica in due colonnelli, continuando però a definirli come un tutt’uno nella definizione di Savorgnan dello Scaglione.

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Bibliografia

Molta è la documentazione originale e in copia che li riguarda e che è conservata in biblioteche e archivi friulani e veneziani, in fondi pubblici e privati, per un dettaglio della quale si rimanda alla bibliografia che segue. I nuclei documentari maggiori sono comunque in ASU, Savorgnan Moro, secc. XIII-XIX, 95.

P.S. LEICHT, La giovinezza di Tristano Savorgnano, in ID., Studi di storia friulana, Udine, Società filologica friulana, 1955, 3-40; ID., L’esilio di Tristano di Savorgnano, Ibid., 41-174; F. CUSIN, Il confine orientale d’Italia nella politica europea del XIV e XV secolo, Milano, 1937 (= Trieste, Lint, 1977), passim; L. CARGNELUTTI, Tristano Savorgnan (1377-1440) nella crisi del Patriarcato, in I Savorgnan e la Patria del Friuli dal XIII al XVIII secolo. Catalogo della mostra, Udine, Provincia di Udine, 1984, 113-114; PASCHINI, Storia, 554, 649-654, 663, 668, 674-676, 706, 709, 712-721, 729, 732-739, 742; G. TREBBI, Il Friuli dal 1420-1797. La storia politica e sociale, Udine, Casamassima, 1998, 11-16, 26, 28-31, 34, 59; L. CASELLA, I Savorgnan. La famiglia e le opportunità del potere, Roma, Bulzoni, 2003, 19, 24, 25, 30, 32-56, 59-67, 69, 71, 72, 74-76, 80, 98, 106, 129, 203, 205.

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