SCHIRATTI NICOLÒ GIOVANNI BATTISTA E FAMIGLIA

SCHIRATTI NICOLÒ GIOVANNI BATTISTA E FAMIGLIA (1590 - 1668)

tipografo, editore

Immagine del soggetto

Una delle quattro marche usate dagli Schiratti: uno scoiattolo ('schirat' in friulano) che rema in piedi su un tronco.

Immagine del soggetto

Antiporta, con stemma coronato e dedica al luogotenente Antonio Grimani di "Leggi, Decreti, Provisioni", edito da Schiratti a Udine nel 1658.

N. S. nacque ad Udine nell’agosto 1590 da Giovanni, originario di Susans e da Valentina Sottomonte; fu l’iniziatore di una dinastia di tipografi che lavorò in questa città tra il 1629 e il 1704. Negli anni giovanili si recò a Venezia per imparare il mestiere del tipografo e qui diventò proto, cioè capo tecnico, organizzatore del lavoro di tutta la bottega, nella stamperia di Antonio Pinelli che dal 1610 era lo stampatore ducale (una prerogativa che i suoi discendenti conserveranno fino alla caduta della Repubblica nel 1797). Alla morte per peste, nel luglio del 1629, del tipografo udinese Pietro Lorio, il consiglio di Udine con voto unanime, «atteso la buona informatione avuta di ser Nicolò Schiratti da Udine stampatore nella Stamperia ducale di Venetia», lo chiamò come tipografo della città, con lo stipendio annuale di 60 ducati e gli obblighi che aveva a suo tempo Giovan Battista Natolini, il primo stampatore attivo ad Udine nel Cinquecento (1592-1609); qualche mese dopo lo stipendio salì a 100 ducati, come per i predecessori. Lo S. si accordò con gli eredi di Pietro Lorio per usare i materiali tipografici del defunto, che poi erano quelli del Natolini, dunque ormai vecchi e usurati. Nel 1630 trovò però un finanziatore, Bartoluccio Bartolucci, che comprò una nuova attrezzatura tipografica e gliela affittò per 50 ducati l’anno; da parte sua lo S. fece fondere nuove lettere a Venezia da Giovanni Claser e sempre nella città ducale comprò un altro torchio dal tipografo Andrea Baba per 28 ducati (circa 180 lire venete). Nel 1634 lo S. chiese al comune di Udine di avere una sovvenzione per l’affitto dei locali della stamperia, contributo già concesso al Natolini, per un importo di 30 ducati all’anno e giustificò la richiesta con il fatto di avere numerosa famiglia, comprese alcune figlie. ... leggi Il consiglio gli concesse 20 ducati. In questo periodo lo S. lavorava intensamente e guadagnava in proporzione: negli anni Cinquanta era ormai autonomo da un punto di vista finanziario, anzi prestava denaro al figlio del Bartolucci, Vincenzo, che alla fine, nel 1656, essendogli debitore di 132 ducati, gli avrebbe venduto la tipografia, fino ad allora tenuta in affitto. Lo S. aveva acquisito a Venezia competenze tecniche e ora dimostrava buone capacità imprenditoriali; più dinamico del predecessore Natolini, diventò l’editore di due importanti docenti dell’Università di Padova, come Fortunio Liceti e Claude Bérigard (Berigardo), ma anche di uno storico ed erudito di fama come Giacomo Filippo Tomasini. Fu anche il primo che introdusse a Udine la calcografia, realizzando edizioni spesso corredate di eleganti e preziose tavole. Però conservava la marca dell’“Esperienza”, che era stata prima del Natolini, poi del Lorio e una parte delle silografie del predecessore, quelle non troppo consumate. Tuttavia in qualche edizione, alla fine dell’opera, era impresso il suo emblema: uno scoiattolo (“schirat” in friulano) che rema in piedi su un tronco, guidato da tre stelle e circondato dal motto: SIC AD PORTUM. Sui suoi frontespizi compaiono anche altre vignette silografiche con funzione di marche, come l’“Aurora” (una fanciulla che regge corone nelle due mani), oppure due “Ancore” legate dal motto HIS SUFULTA [da queste sostenuta]. Non è invece una marca dello S. quella che vediamo all’inizio dei libri di Liceti, dove è presente Mercurio che insegue un satiro e il motto FORTASSE LICEBIT: si tratta dell’emblema del docente padovano, che del resto troviamo sui frontespizi di altre sue edizioni non udinesi. I libri dello S. si caratterizzano per l’uso di buona carta, l’inserimento di belle illustrazioni, con un’accurata impaginazione; del resto, si apprende che per stampare le opere del Liceti aveva comprato caratteri nuovi per 80 ducati. Per oltre dieci anni, dal 1655 al 1666, lo S. si servì della “gitteria” di Marco Filippi, che spediva i suoi caratteri prima con barche (fino a Portogruaro), poi per corriere fino ad Udine: a Venezia nel Seicento si utilizzavano una ventina di tipi di caratteri e lo stampatore udinese usava i sette o otto più importanti e diffusi. Per quanto riguarda la carta, con la fine dell’attività fondata nel 1576 dal cartaio Giulio Lorio, dall’inizio del Seicento essa non veniva più prodotta a Udine. Le tipografie veneziane si rifornivano soprattutto dalle cartiere di Toscolano sul lago di Garda (La valle delle cartiere); e dal numero delle filigrane che compaiono nelle edizioni dello S. (ne sono state identificate ben ventidue diverse tra loro) si ricava che egli comprava la materia prima da vari produttori. A buon conto, usava ottima carta per libri di ogni tipo ed importanza: dai fogli volanti alle raccolte di poesie, alle opere scientifiche. Le prime calcografie usate dallo S. comparvero nel 1635 in un’opera del Liceti, del quale editò, tra 1635 e 1655, ben ventitre titoli. Tra di esse pregevoli opere di antiquaria, come il De anulis antiquis liber singularis del 1645, con una tavola più volte ripiegata che presenta l’incisione di trentanove importanti anelli antichi, con il ritratto e l’emblema dello stesso Liceti; poi il De lucernis antiquorum reconditis libri sex, 1652, ricca di centodiciassette eccellenti rami di ottimo valore documentario, dovuti al noto incisore veneziano Giovanni Giorgi. Fra il 1639 e il 1654 stampò anche otto opere del Tomasini, in particolare si segnalano due preziosi cataloghi dei manoscritti delle biblioteche di Padova e di Venezia, usciti rispettivamente nel 1639 e nel 1650 e, nel 1642, una importante storia della Congregazione dei canonici di S. Giorgio in Alga. Sono invece sei i testi di Claude Bérigard pubblicati negli anni fra il 1643 e il 1647. Per quanto riguarda la sua dotazione tipografica, possedeva tre serie di caratteri corsivi e tre romani diversi, nonché sette serie di maiuscole. Si conoscono centottantasei edizioni dello S. tra libri ed opuscoli (a partire dal 1631 e fino al 1668), senza calcolare i numerosissimi fogli volanti e i “materiali minori” che doveva imprimere quale stampatore della città, ma anche come “tipografo camerale”, cioè al servizio del luogotenente veneto e degli altri uffici statali. Per queste sue funzioni e per il fatto di essere l’unico attivo a Udine la sua produzione copriva tutti i generi e le diverse tipologie editoriali. Sulla base dei numeri per la produzione libraria avremmo, dunque, una media annuale di cinque titoli, ma in un anno come il 1611 essi salirono ad undici; il fatto invece che in un certa data non si conoscono sue stampe è molto probabilmente dovuto a una nostra carenza di informazioni o a perdite generalizzate. A livello di generi, nella sua produzione ci sono novantadue titoli di carattere letterario, la sezione maggiore, ma di particolare rilievo culturale ed editoriale risultano alcune opere storiche. Quella di Gian Giuseppe Capodagli, Udine illustrata da molti suoi cittadini così nelle lettere come nelle arti famosi, che uscì nel 1665, contiene le biografie di tanti illustri friulani e presenta un’antiporta incisa con la personificazione della città, circondata da armi e insegne di carattere civile ed ecclesiastico. A Enrico Palladio degli Olivi si devono i Rerum Foro-iuliensium ab orbe condito usque ad an. Redemptoris Domini nostri 452 libri undecim, del 1659 (ristampati a Leida nel 1722), ai quali fece seguito l’opera del nipote Gian Francesco, Historie della Provincia del Friuli, che si data al 1660: entrambi sono imponenti volumi in folio rispettivamente di 380 e 830 pagine. Ed i suoi successori pubblicarono anche gli Statuti della Patria nel 1673 e nel 1686 le Leggi per la Patria e Contadinanza del Friuli. Lo S. ebbe anche successo commerciale e con i guadagni della sua attività tipografica comprò terreni, case, pare un negozio di alimentari e sicuramente possedeva anche una libreria. Il tipografo ed editore morì ad Udine nel 1668; aveva sposato Caterina Gingilli, dalla quale ebbe alcune figlie e due figli: Giovanni e Carlo, il primo si fece sacerdote, il secondo divenne il gestore della tipografia. Ma Carlo morì già nel 1670 e della tipografia si dovette occupare Giovanni, perché i nipoti erano piccoli. Giovanni Comelli dice che gli eredi, essendo “pubblici tipografi” di Udine, erano obbligati a consegnare una copia di tutto ciò che stampavano; probabilmente è un riferimento impreciso alle comuni norme veneziane sul “diritto di stampa”. Infatti, dal 1603 era obbligatoria la consegna di una copia di ogni testo stampato nel territorio della Repubblica alla Libreria di S. Marco e dal 1631 una seconda copia doveva essere depositata alla Libreria pubblica di Padova (cioè alla biblioteca dell’Università, allora appena fondata e prima in Italia). Queste norme furono però largamente disattese e oggi solo una piccola parte delle edizioni dell’epoca si conservano nelle due citate biblioteche. La ditta S., dopo la morte del fondatore, non conservò l’importanza di un tempo, in compenso allargò il proprio patrimonio: nel 1671 venne comprata la stamperia di Antonio Venier, tipografo in Valvasone (del quale si conoscono due edizioni a Venezia nel 1669) per 270 ducati; nel 1679 gli S. acquisirono un’altra tipografia, quella di Giacomo Vigatio, per 250 ducati. Pare che i discendenti seguissero la politica di eliminare i concorrenti minori operanti sul territorio, per avere libero campo e il monopolio del mercato. Frattanto, nel 1671, si era interrotto il rapporto con gli eredi del fonditore Filippi e gli S. passarono a rifornirsi da Nicolò Pezzana (tra l’altro uno dei maggiori editori veneziani), fornitore anche di libri, in particolare religiosi e liturgici (messali ecc.), indubbiamente un materiale importante per la libreria. Negli anni 1675-80 si aprì una lite giudiziaria con gli eredi di Vincenzo Bartolucci, che tentarono di far passare il congiunto per un incapace, accusando gli S. di inganno per gli accordi del 1656; ma i querelanti persero la causa. Dai primi anni Ottanta della ditta si occupò Francesco, figlio di Carlo, nato nel 1666; per quest’ultimo nei suoi venti anni di attività non ci sono documenti d’acquisto di materiali tipografici: sembra si sia occupato soprattutto della gestione dei beni di famiglia. Dalle pubblicazioni scomparvero quasi del tutto le antiporte, con conseguente minor pregio e impegno da un punto di vista tipografico; spesso si trattava di pubblicazioni d’occasione legate alle commissioni locali. A buon conto entro il 1704 in totale i discendenti di Nicolò stamparono almeno un altro centinaio di titoli. Nel 1686 scoppiò una disputa con Antonio Venier, che affermava di aver stampato delle “fedi di sanità” (tipica produzione dei tipografi camerali) per i paesi di oltre Tagliamento; gli S. negarono la circostanza e sottolinearono che sarebbe stato pericoloso avere diversi stampatori per documenti così delicati; del resto lavoravano a Udine sotto il diretto controllo delle autorità. Continuarono gli acquisti di terre e case; e vennero acquisite anche una libreria a Gorizia e nel 1695 un’altra a Capodistria. Per ricostruire l’attività dei successori S. sono importanti i permessi di stampa concessi dall’inquisitore di Udine: nel Libro nuovo, nel quale si registrano le licenze, che si concedono da Padri Inquisitori per le stampe (Archivio curia arcivescovile, anni 1677-1750) dal 1677 al 1692 sono registrate ben 476 licenze, occorrendo la licenza anche per stampare un foglio con un sonetto encomiastico. Naturalmente le richieste variavano di anno in anno: nel 1687 si chiesero ottanta licenze, in altri anni appena una decina; delle sessanta concesse nel 1687 solo quattro sono state riscontrate con stampe oggi conosciute: spesso, probabilmente, si trattava di semplici fogli volanti poi perduti o non ritrovati, o di licenze prive di seguito tipografico. Francesco ebbe vari figli che, a quanto pare, morirono tutti giovani. Nel testamento, del maggio 1704, lasciò sua erede la madre Giulia Gallici e poi i Filippini, nell’archivio dei quali finirono alla morte della Gallici le carte della ditta. Per quanto invece riguarda la tipografia, essa passò a Domenico Murero, già agente per undici anni degli S.

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Bibliografia

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COMELLI, Arte della stampa, 129-153; M. DE RE, Dalla bottega all’impresa commerciale nel Seicento: Pietro Lorio, Nicolò Schiratti e i suoi eredi, in Prodotto libro. L’arte della stampa in Friuli tra il XV e il XIX secolo, a cura di M. DE GRASSI, Gorizia, Provincia di Gorizia, 1986, 65-82; C. DONAZZOLO, Un’impresa calcografica di Nicolò Schiratti: la veduta prospettica di Udine metropoli del Friuli, in Prodotto libro. L’arte della stampa in Friuli tra il XV e il XIX secolo, a cura di M. DE GRASSI, Gorizia, Provincia di Gorizia, 1986, 83-87; M. DE RE, De lucernis antiquorum reconditis: il capolavoro calcografico di Nicolò Schiratti, «Ce fastu?», 63/2 (1987), 279-300; G. DEL BASSO, “Fortasse licebit”. La marca tipografica di Nicolò Schiratti e l’impresa accademica di Fortunio Liceti, «Quaderni della FACE», 81 (1992), 49-56; E. VIDIC, Gli Schiratti tipografi ed editori ad Udine (1629-1704), t.l., Università degli studi di Udine, a.a. 1998-1999.

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