Nacque a San Marco di Mereto di Tomba (Udine) il 9 ottobre 1854 da Nicolò e Lucrezia Fabrizi. Il 12 ottobre 1884 fu ordinato sacerdote: la formazione si era svolta in famiglia per la salute cagionevole. Il 21 ottobre 1886 fu nominato cappellano di San Marco, continuando a vivere per lungo tratto nella casa paterna. Da San Marco non si mosse, realizzando per il paese opere di livello, ad armonizzare istanze religiose e, insieme, sociali, in una compatta visione della vita. Trasformò la chiesa in un «gioiello d’arte» (è formula acquisita), coinvolgendo gli architetti Girolamo e Raimondo D’Aronco, il pittore Leonardo Rigo, lo scultore Luigi De Paoli, maestri di provata caratura per le cosiddette arti minori. Nel 1903 fondò la latteria sociale turnaria, dimostrando interessi non generici per la coltivazione dei campi. Istituì un doposcuola: l’asilo si avviò il 28 settembre 1913. Prete di radicati sentimenti patriottici, all’ombra dell’asilo, il 28 settembre 1924, inaugurò il monumento ai caduti. Organizzò anche spettacolari rappresentazioni teatrali. Ma la sintonia con la comunità non doveva essere piena, se fu vittima di un agguato e se nel 1920 mise in atto il proposito, poi rientrato, di lasciare l’ufficio. I versi tardi non mancheranno di lamentare il peso di cui il prete deve farsi carico: «chel pês cussí tremént / che mai no’l lasse un flât / di soste e di contént» [quel peso così tremendo / che mai non lascia un attimo / di pausa e di felicità]. Predicò sempre in friulano, anche quando questo «era inibito» (Someda), in grado di rendere con scioltezza i concetti più ardui. ... leggi La scrittura di S. è a largo raggio: in gioventù collaborò a una strenna enigmistica, poi alla «Patria del Friuli», mentre per il «Cittadino italiano» si firmò “Minimus”. E precoce fu il contatto con la stampa: è del 1869 l’esordio con un Sonetto a don Giov. Bertuzzi (foglio volante della tipografia Jacob e Colmegna di Udine). Ma importa la grinta con cui S., diciottenne, avviò un proprio almanacco, assecondando la formula usuale, uno «Strolic furlan» per il 1873, che proseguì l’anno successivo, per interrompersi e riprendere, dopo una lunga pausa, come «Lunari furlan cun regai par l’an 1901», che proseguì l’anno successivo. S. respinse invece la paternità di «L’afitual de lune. Lunari pel an 1878», attribuitogli dal Verzeichnis Rätoromanischer Literatur di Eduard Boehmer, su indicazione di Vincenzo Joppi. S. fu prodigo di componimenti d’occasione e, nel 1941, con un profilo affettuoso dell’autore, Pietro Someda de Marco ne offrì una scelta ampia, con in coda un elenco dei versi friulani e italiani a stampa e manoscritti. Nell’intero arco si può distinguere una prima fase, nella quale è palpabile l’influsso di Zorutti, «la facezia e il sentimento melanconico che si alternano alla satira e all’allegro volo della fantasia»; e una seconda, «più consona alla vita ecclesiastica» e «alla severità del tempo» (Someda). Chiave di volta il 1884, l’anno del sacerdozio. La metrica è varia, con schemi più rigidi (i sonetti) e altri più liberi e leggeri (quinari, quartine di settenari e ottonari). Palese è l’omaggio al modello nella resa dei fenomeni atmosferici: «Cujetíne, cujetíne / senze tons e senze lamps / […] / e’ ven jù une plovisine / dolze, dolze, fine, fine, / par i prâz e par i ciamps…» [Quietina, quietina / senza tuoni e senza lampi / […] / scende una pioggerellina / dolce, dolce, sottile, sottile, / per i prati e per i campi…], a rimodulare La plovisine [La pioggerellina]; nel taglio ambientale: «E’ busine la nape e fûr si sint / il sivilà del vint…» [Ronza la cappa del camino e fuori si sente / il fischiare del vento…], a evocare La sedude [La seduta] di Zorutti. Per tacere degli scorci di una natura carezzevole: «Tal prât la jarbe e’ cres, / e’ salte fur la fuee / […] / morbit si sint il gri / quant che la gnot s’imbrune…» [Nel prato l’erba cresce, / spunta la foglia / […] / incontenibile si sente il grillo / quando la notte imbruna…]. Ma è chiara la lezione di Zorutti anche in certi estri stralunati, di cui l’astrologo si fa titolare: «E jò ài la lune!!! / E cu la lune / […] / si ponz, si peste, / si fâs tempieste, / si lavin ciâvs, / si rompin cuestis / si pléin lis crestis, / senze riguart / di fà di tuart / sedi un sapient, / sedi un potént, / che al sei un grant, / o un benestánt…» [E io ho la luna!!! / E con la luna / […] / si punge, si pesta, / si fa tempesta, / si lavano teste, / si rompono costole / si piegano le creste, / senza riguardo / di fare un torto / sia un sapiente, / sia un potente, / che sia un grande, / o un benestante…]. Meno coesa è la seconda fase, che cede all’urgenza patriottica, intrecciandosi con il motivo della fede: soprattutto nel frangente della vittoria («Oh svintule, sì, o bandiere / su la crôs dal ciampanîl!» [Oh sventola, sì, bandiera / sulla croce del campanile!]) e dei Patti Lateranensi («Oh, giolt, Itálie, giolt, o pátrie me! / Uè si son strens la man il Pape e il Re!» [Oh, godi, Italia, godi, o patria mia! / Oggi si sono stretti la mano il papa e il re!]). Anche la metrica registra la novità di ariose soluzioni ritornellate. E la natura, nel suo ruotare, ritaglia istantanee dal respiro largo: «e il ciamp in aradure / che al par un mar di siale e di formènt» [e il campo coltivato / che sembra un mare di segala e di frumento], «cussí al va daurmàn / dut cidinansi e dut piardínt vigôr / il verdúm s’inzalís e al mûr il flôr» [così a precipizio / tutto si placa e tutto va perdendo vigore / il verde ingiallisce e il fiore muore], «e alore, ’e ven la gnot / tremende, crude, che fâs jessi fûr / chel ajarin tant fin / che al tae come un rosôr, e al ti va al cûr…» [e allora viene la notte / tremenda, cruda, che fa uscire fuori / quel venticello così sottile / che taglia come un rasoio, e ti va al cuore…]. Gli eventi del paese trovano udienza ovvia, ma lo spazio maggiore è occupato dai versi per nozze, per prime messe, per ingressi di parroci, mentre è quasi evanescente il ruolo più specifico della preghiera. Versi scontati, ma con scampoli autobiografici e considerazioni non di maniera. Il lessico si apre al prestito secco («ingenuo», «pianto», «sventure», «tepide atmosfere», lo stesso «stanc»), ma propone anche tessere più significative: «cartabón» [quartabuono: in falegnameria, squadra a triangolo rettangolo], la serie dei derivati in –um («canajum» [ragazzi], «verdúm» [verde]). Importa però rilevare come alla baldanza dell’avvio, alla disinvoltura dell’autoritratto giovanile («Pluitòst alt e sutil, smavit di ciere, / robuste vos e grande dentadure, / caratar vivaros, brute maniere, / bocie sporgent e caveade scure: / cee folte di ciarbon alte la front / […] / eco del Strolich gnuv l’original» [«Piuttosto alto e sottile, pallido di aspetto, / voce robusta e grande dentatura, / carattere esuberante, brutta maniera, / bocca sporgente e capigliatura scura: / ciglia folte di carbone alta la fronte / […] / ecco dell’Astrologo nuovo l’originale]) risponda lo sconforto del consuntivo, la piega non solare del bilancio: «áncie chest luminút / de me mísare vite / senze vé fat lusôr al va murínt» [anche questo lumicino / della mia misera vita / senza avere fatto luce va morendo]. S. si spense il 7 febbraio 1940.
ChiudiBibliografia
«Il strolic furlan a la prove», Udine, Tip. G. Seitz, 1872; «Il strolic furlan», Udine, Jacob e Colmegna, 1873; Nozze del sig. Orlando Simonutti-Masolini con la cont. Teresa Ottelio, Udine, Tip. del Patronato, 1881 (con una Libera versione del salmo 127); «Lunari furlan cun regai par l’an 1901», Udine, Tip. Tosolini - G. Iacob, 1900; per il 1902, Udine, Tip. del Patronato, 1901; in collaborazione con G. DEL PUPPO, La chiesa di San Marco in Friuli, Udine, Tip. del Patronato, 1902.
DBF, 747; P. SOMEDA DE MARCO, Fabio Simonutti sacerdote, patriota, poeta, Udine, AGF, 1941 (recensito da L. PILOSIO, «Ce fastu?», 17 [1941], 194-195); L. PILOSIO, Antenati e genitori dell’«Avanti cul brun!», «Avanti cul brun! Lunari di Titute Lalele pal 1961», Udine, Avanti cul brun!… Editor, 1960, 260-261; Z. DI ANTONI [G. NAZZI], La liende dai strolics, «Sot la nape», 37/1 (1985), 33, 41-42.
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