Nacque a Villesse (Gorizia) da Stefano e Anna Feresin il 15 agosto 1885. Ben presto la famiglia si trasferì ad Aquileia, in località Farella, dove il padre era fattore dei baroni Ritter de Zahony. Dopo le elementari ad Aquileia, il ginnasio a Gorizia, saranno le scienze agrarie l’ambito professionale di T.: del 1906 il diploma di enotecnico a Conegliano, poi la Facoltà di agraria a Pisa, del 1915 a Vienna l’esame di stato per l’insegnamento nelle scuole speciali di agricoltura. Dal 1915 al 1919 T. frequentò scienze naturali a Torino e Parma, seguendo anche le lezioni di lettere e fiancheggiando il movimento della «Voce» di Firenze. Alla fine del conflitto T. diede vita alla Scuola di agricoltura di Pisino, che diresse fino al 1929, assumendo nel contempo altri incarichi in Istria. Dopo una parentesi romana in qualità di vicedelegato italiano di prodotti nitrici del Cile, con la costituzione della Società anonima italiana prodotti nitrici del Cile, si stabilì a Torino, dove nel 1957 fondò il “Fogolâr da famea furlana”. Nel 1964 si ritirò nel “romitorio” di Rivoli. Ospite negli ultimi anni della casa Albert di Viverone (Vercelli), morì il 30 maggio 1980. Irredentista convinto, T. «ha cantato con struggente nostalgia e grande amore la ‘sua’ Aquileia» (Bressan), anche se, per D’Aronco, «Le sue cose più schiette vanno cercate non tra i canti dedicati ad Aquileia romana, candidamente retorici, ma tra le poche cose intime: come l’Avemaria, ove la sera della bassa friulana è risuscitata – attraverso il ricordo dell’autore bambino – con un sottinteso nostalgico che appena trapela». T. è autore di volumi in friulano e in italiano, firmati per lo più con lo pseudonimo Ros di Vilès (ma anche Isonzo Natissa, Belèn da Farela). Cronologicamente anteriori le pubblicazioni tecniche (tra 1913 e 1918), che argomentano di viticoltura, apicoltura e concimazione con nitrato di sodio. ... leggi L’opera più nota, che riassume bene la personalità di T., è «Flama ca art / Soreli di vita» (Aquileia Romana). Furlanàdis e Dialogâ di Muarz e di Vîs (tra i sostenitori della stampa Giovanni Agnelli e la Fiat di Vittorio Valletta): Aquileia Romana, Fiamma che arde e Sole di vita, dove le maiuscole, con il loro accento iperbolico, rendono una tensione ideale. Dialoghi in prosa, nella cornice di Aquileia, varia per scorci e prospettive, oltre che per incroci temporali: due antichi romani che si materializzano nel frangente del 1913-1914, un’urna e un figlio del paese di oggi a confronto, l’autore che in sogno incontra due donne nella città antica e, verso l’epilogo, Ros nel suo studio con due amici morti, ancora Ros, ormai vecchio e spento, sulla strada che porta a Terzo durante un temporale. I dialoghi si avvicendano con quartine di settenari e di ottonari (in un caso di endecasillabi), strofette di settenari, sempre tese a esaltare Aquileia, «puart e puarta da l’orient, muràja e marciel cuntra i bàrbars, lûs mai pi tan viva e plena di Roma su chista tiara» [porto e porta dell’oriente, baluardo e martello contro i barbari, luce mai più tanto viva e piena di Roma su questa terra]. Nel volume peraltro si registra una parabola, un entusiasmo che si spegne nel segmento conclusivo: inquietudine per l’integrità territoriale, percezione di uno sfaldarsi interno («E par zonta no sono cà di nô, in Friûl, ancia di chei… ca si svergònzin sin di fevelâ la fuarta lenga antìga da’ Mari? C’a pènsin, lôr, di valê alc di pi sbardaciànt un pastròz discusît di lengàz, c’al è po’ ’na fùfigna di dialèz mâl vuluzzâz duc’ insiemis?» [E per di più non ci sono qui da noi, in Friuli, anche quelli… che si vergognano persino di parlare la forte lingua antica della Madre? Che pensano, loro, di valere qualcosa di più pasticciando un miscuglio scucito di linguaggi, che è poi una miseria di dialetti male intrecciati tutti insieme?]), di una frattura («Eco… Sparît al Friûl d’inché volta! Sparît lui… par simpri! Sparît! E jò? Ah, Signôr!» [Ecco… Sparito il Friuli di quel tempo! Sparito… per sempre! Sparito! E io? Ah, Signore!]). Ogni capitolo è preceduto da un lacerto latino, con prelievi da Ausonio, Marziale, Orazio, ma soprattutto Virgilio. Orazio figura anche a testo, tradotto in versi, come Dante («Amôr mi môf…» [Amor mi muove…]), Manzoni (con un brano dell’Adelchi), Mameli (con il suo inno). Il lessico è teso, con lemmi e sintagmi italiani intatti: «saldezza», «sacra stirpe», «idea santa di patria»; o con ritocchi leggeri: «amôr dal sanc e da l’idea» [amore del sangue e dell’idea], «antìga flama» [antica fiamma], «samenza nestra antìga» [semenza nostra antica], «missiòn eterna» [missione eterna]. In altri casi l’adattamento è più sensibile: «feda» [fede], «imortala» [immortale], «orba» [orbe], «umana progènia» [umana progenie], «solitùdina» [solitudine], con gli astratti «nubiltât» [nobiltà], «riditât» [eredità], «romanitât» [romanità], «zivilitât» [civiltà]. Una elazione che si misura anche nella sintassi, nella indulgenza per il ritmo ternario: «Feda, ài dit! Feda ripeti! Feda a ’i ûl!… E crodi. Crodi ben. Crodi simpri!» [Fede, ho detto! Fede ripeto! Fede ci vuole!… E credere. Credere bene. Credere sempre!]. Non senza esiti che sfiorano la sproporzione, come in «Ave, romana lova!», dove solo «lova» [lupa], che nel parlato ha connotati negativi, riferiti a una ingordigia insaziabile, richiede la traduzione. Ma sono precisi i riscontri con un friulano di tipo isontino: l’articolo «al» per il maschile singolare, «li» nel femminile plurale, nel verbo la prima persona stabilmente in –i («crodi» [credo], «disi» [dico], «duàrmi» [dormo], «podi» – ma anche «pos» [posso] –, «sinti» [sento], «viodi» [vedo]), nel lessico («par ogni lota di tiara» [per ogni zolla di terra]). Non senza isolate oscillazioni, come per il plurale di uomini: «ons», «omins», «umins». E non senza tratti più sanguigni: «pavèis» [percosse]; violenti nel marcare l’universo tedesco, con l’acida sequenza degli spregiativi «gnocs», «lurcs», «pùmars», «talmùcs». La dedica del volume ai genitori incastona un «tata» [papà], che nel dominio friulano è del solo goriziano: con piega affettuosa e intenerita.
ChiudiBibliografia
«Flama ca art / Soreli di vita» (Aquileia Romana). Furlanàdis e Dialogâ di Muarz e di Vîs (cun framièz XIV disèns [di C. Masutti]), Torino, Gerli, 1949.
DBF, 804; Mezzo secolo di cultura, 269; D’ARONCO, Nuova antologia, II, 221; V. BRESSAN, Longino Travaini (Ros di Vilès) 1885-1980, «Sot la nape», 39/1 (1987), 75-78, con un elenco delle opere.
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