VANDOLI ALBERGHETTO

VANDOLI ALBERGHETTO

notaio

In Friuli non s’impiegava ancora il termine “cancellarius”, ma si ricorreva a quelli di “officialis, scriba, notarius domini patriarche”. Quest’ultimo usava autocertificandosi il bolognese A. di Engiriperto nelle sottoscrizioni di atti da lui rogati a partire dal 1302 sotto il patriarcato di Pietro da Ferentino. L’espressione indica con chiarezza la funzione di cancelliere, data anche la natura della maggior parte degli atti processuali redatti da lui e amministrati dai vicari generali patriarcali Gregorio Biffa da Monselice, il lombardo frate Alberto da Remedello e Domenico dalla Puglia vicario in “spiritualibus”. Questi tipi di documenti curiali stilati da Alberto coprono un arco compreso fra il 9 gennaio 1302 e il 26 febbraio 1307. È rimasto anche un suo verbale di una seduta al parlamento della Patria del Friuli tenutasi a Campoformido il 3 dicembre 1312. La data del 9 gennaio 1302 dimostra oltre a ogni dubbio che questo personaggio non giunse in Friuli al seguito del patriarca Ottobono, nominato alla sede aquileiese il 30 marzo di quell’anno, ma al tempo da Pietro da Ferentino. Certo è che un gruppo di personaggi alquanto eterogeneo per provenienza circolava nel tribunale della curia in quegli anni: in cancelleria, allora, allo stesso titolo di A. lavoravano Gabriele di Enrigino da Cremona, Ingeramo da Piacenza, Antonio di Francescutto e Meglioranza da Thiene; e negli stessi atti processuali redatti da A. si segnalavano i nomi del giudice Graziolo e dei notai Bonaventura Dalle Donne da Padova (Ottobono prima di essere nominato patriarca di Aquileia era vescovo della città antenorea) e Zanano Raina da Piacenza, città, questa, d’origine del patriarca, che si era scelto colà anche uno dei marescialli nella persona di Raimondo Feliciani. ... leggi In particolare Meglioranza sembra aver intrattenuto con il notaio bolognese rapporti di una certa familiarità. Fu lui a stilare il documento con il quale si cercava di combinare un matrimonio fra A. e Caterina figlia del suo concittadino Giacomo, con i buoni uffici di Pasino da Bologna. Tramite il testamento dettato il 14 giugno 1326 e ancora una volta redatto da Meglioranza, oltre al nome di tre figli maschi – tra i quali i notai Filippo ed Enrico – e di tre figlie femmine, si conosce il nome della moglie, tale Maria. Ciò tuttavia non escluderebbe che ci fosse stato un matrimonio precedente. Pare inoltre che A. abbia avuto un altro figlio, Paolo. Da rogatario degli atti processuali fra il 1302 e il 1307 il cancelliere certamente entrò in contatto con personaggi bene pervasi nel commercio e nelle finanze del patriarcato. In questo periodo d’infiltrazione fiorentina nel 1303 e nel 1304 fu testimone di questioni che toccavano gl’interessi della compagnia dei Mozzi, con la quale il patriarca Pietro da Ferentino aveva contratto un debito esorbitante per pagare la tassa del servizio comune alla data di nomina. E accanto ai grandi trafficanti A. s’imbatté anche nella comunità ebraica di Udine che si era da poco insediata in città e si andava scontrando con Fiorentini prestatori di denaro. Che il personaggio avesse evidentemente una certa autorevolezza si evince dal fatto che il 13 ottobre 1310 Pietro da Reggio, al momento abitante in Monfalcone, lo creava suo procuratore sentendosi ben rappresentato nella causa contro Mattia abate della Beligna. A rogare gli atti relativi era ancora il collega Meglioranza. A. conobbe anche il rampante Giovanni di Picossio che si stava arricchendo con varie attività in Aquileia. Il titolo di notaio lo accompagnò sino in fondo. Il 25 agosto 1327 per esempio gli veniva attribuito quando, con un rogito del collega Meglioranza, divideva i propri beni con il nipote Montino. Ancora in ambito di cancelleria egli si moveva il 20 novembre 1328, quando il cancelliere Eusebio da Romagnano lo coglieva testimone e ne ricordava nel contempo la professione di notaio, anteponendolo nell’elenco dei presenti al collega Gabriele. Non sono pervenuti suoi atti posteriori al 1329. Nel 1332 lo stesso Meglioranza riceveva dal patriarca l’incarico di custodire, secondo il costume dell’epoca, gli atti del defunto A. e di suo figlio notaio Enrico.

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Bibliografia

ASU, NA, Alberghetto de Vandolis, 5118/3.

LEICHT, Parlamento, LVII, 50; BIASUTTI, Cancellieri, 39; SCALON, Biblioteca, 196, 260; I. ZENAROLA PASTORE, Osservazioni e note sulla cancelleria dei patriarchi d’Aquileia, «MSF», 49 (1969), 108; ZENAROLA PASTORE, Atti, 71-75; MORO, Carte, n° 42, 78-79; n° 43, 79-81; n° 44, 81-83; n° 47, 88-89; n° 54, 100-102; n° 62, 114-116; n° 66, 122-124; n° 67, 124-126.

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