Nacque a Udine il 18 settembre 1777 da Francesco e Laura Pilosio. La sua famiglia, non nobile, disponeva di ingenti ricchezze, accumulate soprattutto nel corso del Settecento, con interessi commerciali anche in area veneziana. Il padre, che amministrava i beni immobiliari, le proprietà agricole e le attività commerciali, lo lasciò orfano nel 1786, quando ancora non frequentava il collegio dei padri somaschi a Cividale, dove dal 1787 al 1796 impostò la sua formazione nelle lettere umane e nelle scienze, completata poi sotto la guida di Angelo Maria Cortenovis, privilegiando gli studi di matematica. L’educazione acquisita può riassumersi nella frase latina di una esercitazione scolastica portata a termine nel 1797: «Felicitas hominis in hac vita constitit in possidendo scientias» (Venerio, manoscritto 1523). Appena ventenne, dovette assumere responsabilità dirigenziali, perché venne a mancare il cugino del padre, Gottardo, che aveva retto le sorti economiche della famiglia. Da questo momento, impegni di lavoro e ricerca scientifica si intrecciarono indissolubilmente: l’interesse per le scienze naturali, per la statistica e la geografia, ma anche per l’elettricità e per la chimica, secondo la tradizione illuministica friulana, si configurarono da un lato come base necessaria di una moderna agricoltura, dall’altro quasi come dovere morale del possidente. I viaggi a Parigi, Lione e Ginevra nel 1809, in Toscana nel 1810, a Vienna nel 1817, a Roma nel 1819 testimoniano la curiosità per tutte le novità che l’Europa poteva offrire. È infatti altamente probabile che l’introduzione della colza in Friuli si leghi alla prima di queste esperienze, confermando lo stretto legame che intercorre tra ricerca di strumenti scientifici e costante interesse per un’agricoltura razionale (Cittadella, 2009). Nel frattempo i rilevamenti meteorologici già avviati a Udine fin dal 1804 avanzarono regolari anche durante le sue assenze, perché eseguiti dal fratello Antonio. ... leggi Gli affetti familiari, come la pratica religiosa, si rivelarono sostegni importanti per reggere impegni resi ancor più gravosi da una complessione gracile e dal carattere riservato. Quando V. avviò la coltivazione della colza, promosse l’estensione del gelso e la cura dei bachi da seta, insistette sulla qualità dei vini o calcolò la fattibilità di un canale irriguo per l’alta pianura friulana, svolse di fatto un’attività a favore di tutta l’economia agricola del Friuli, collaborando con vecchi e nuovi protagonisti della modernizzazione (Cittadella, 2009). Tuttavia, nei limiti del possibile, V. evitò ogni carica pubblica e persino ogni partecipazione alle accademie, che pur perseguivano i suoi stessi fini. Si direbbe che egli concepisse l’impegno politico quasi come un ostacolo non solo alla cura della famiglia, ma anche al piano di ricerche e rilevamenti che aveva impostato e perseguiva. Rifiutò così cariche importanti, adducendo di regola problemi di salute. Tuttavia, per la sua collocazione censitaria, durante il Regno italico fu designato consigliere generale per il dipartimento di Passariano; dovette, nello stesso 1807, assumere la carica di savio alla Circoscrizione e leva, nel 1808 quella di savio del comune di Udine. Nel 1809 fu chiamato a far parte della Commissione alle manifatture, arti e commercio, strumento di valutazione e programmazione economica del dipartimento; fu incluso come membro nella deputazione comunale degli ornati e nella Commissione incendi; figurò tra i consiglieri comunali di Bicinicco, Palma, Trivignano, Gonars, Ontagnano. Nel 1810 rifiutò la nomina a podestà di Udine e, per esserne esentato, viaggiò fino a Milano. Nel 1812 accettò infine il ruolo di presidente delegato agli esami finali al Liceo ginnasio di Udine, dove esaminò gli studenti in matematica, filosofia teoretica e pratica, metafisica, fisica generale, agricoltura, botanica, storia, letteratura e disegno (Cittadella, 2007-2008). Il merito, le “distinte qualità”, le ricchezze famigliari, forse anche la sostanziale apoliticità, sono le probabili ragioni per cui nel 1816 venne designato, con nomina di Francesco I, rappresentante di Udine presso la Congregazione centrale di Venezia. La prestigiosa carica, ambitissima e ben retribuita, fu respinta da V., adducendo ancora scarsezza di cognizioni e circostanze di famiglia. Solo dal 1828 e fino al 1835 accettò di sedere in Congregazione provinciale, come rappresentante degli estimati non nobili. Mentre allontanò ogni rielezione di carattere politico-amministrativo, affrontò invece le consulenze tecniche riguardanti la bachicoltura, la vendemmia, i parafulmini, ma anche le fontane pubbliche e l’illuminazione di Udine. Nel 1837 diventò presidente del Consorzio Rojale di Udine e intervenne nella questione del canale Ledra, derivazione progettata per risolvere il problema dell’acqua nell’alta pianura. Tale sua volontà di rifiutare ogni forma di vita pubblica e attività politica è sottolineata da Luigi Fabris e Camillo Malignani, che riconoscono come giustificazione la sua fragile costituzione fisica (alla quale, dopo i cinquant’anni, si aggiunse la sordità) e la sua timidezza naturale da un lato, il dominante interesse per la scienza e l’agronomia dall’altro. Ma nell’atteggiamento di V. c’è netta e costante la volontà di isolarsi. Per comprendere questo aspetto del suo comportamento, che per alcuni versi lo avvicina a Antonio Zanon e a Fabio Asquini, all’individualismo di molti illuministi, è utile esaminare il testamento che egli lasciò e considerare nuovamente lo spirito religioso che informò la sua esistenza. V. morì a Udine il 4 marzo 1843, lasciando erede universale il fratello Antonio, che diventò proprietario assoluto dei beni mobili, ma semplice usufruttuario degli immobili destinati a pii istituti di pubblica beneficenza. In seguito, vescovo e autorità comunale avrebbero deciso, secondo le leggi del Lombardo-Veneto, destinazione e amministrazione della cospicua donazione. A ogni famiglia dei propri coloni e braccianti, ai quali in vita aveva dedicato sempre attenzioni e assistenza economica, V. lasciò in punto di morte rispettivamente 100 e 20 fiorini. La casa di ricovero di Udine, alla cui prima impostazione fin dal 1826 aveva partecipato di persona, fu realizzata in tempi brevi ed entrò in funzione già nel 1847, perché il fratello anticipò di sua volontà la cessione degli immobili. La filantropia, nel caso, si lega alla fede religiosa e all’assenza di eredi, ma è anche un modo, diffuso peraltro nel periodo, per legittimare i nuovi ruoli della borghesia nella gestione delle ricchezze e del progresso, che V. intende chiaramente come scienza socialmente orientata. Inoltre, sul letto di morte affidò a Giovambattista Bassi i risultati della sua sistematica rilevazione meteorologica, accettando, per le insistenze del fratello e di Bassi stesso, che venissero pubblicati con l’esclusione dei dati igrometrici, che egli ritenne non affidabili (Malignani, 1943-1944). Negli ultimi attimi della sua vita V. rivelò ancora la sua naturale timidezza, il rigore della sua riflessione scientifica, il rispetto per chi lavorava nella sua azienda agricola. Da questa angolatura V. si configura come l’anello forte tra Società di agricoltura pratica e Associazione agraria friulana: è uno dei possidenti illuminati che credono in una agricoltura moderna, il cui fine ultimo dovrebbe essere il bene collettivo. Emblematicamente, dopo i colloqui su “l’olio cafro” con Fabio Asquini, egli costruì il frantoio per la soia a Felettis, attirando in pochi anni non solo i consensi, ma anche la produzione di tutti i grandi possidenti friulani, a cominciare da Pietro Ciriani, Giuseppe Cernazai, Alvise Ottelio e Antonio Simoni (Cittadella, 2009). La sua tenuta modello a Felettis dimostra il valore della connessione tra meteorologia e gestione aziendale, ma anche tra interessi pratico-scientifici e doveri familiari e morali. Per certi aspetti il possidente sembrerebbe precedere lo scienziato, ma la distinzione serve soltanto per individuare la complessità della figura, il modo originale secondo il quale V. interpreta la qualità dei tempi. Malignani sottolinea soprattutto lo «scienziato dalla complessa attività», il «ricercatore acuto ed originale», disegnando una storia della meteorologia che prende le mosse da Giovanni Poleni, Giuseppe Toaldo, Fabio Asquini e, tramite V. stesso, precorre Giulio Andrea Pirona, Torquato Taramelli e Giovanni Marinelli; da questa angolatura, ricorda anche gli oltre quattrocento dati altimetrici di città, villaggi e località varie rilevati da V. con il barometro durante i suoi viaggi (Malignani, 1943-1944). Gentilli, riconosciuti ampiamente i meriti di Giovambattista Bassi, discute da un punto di vista esclusivamente climatologico le Osservazioni meteorologiche fatte in Udine nel Friuli nel quarantennio 1803-1842, edite a Udine nel 1851. Le rigorose osservazioni relative alla pressione, alla temperatura, all’umidità dell’aria, ai venti e allo stato del tempo condotte per quaranta anni dagli osservatori di Udine e poi di Felettis – costruiti secondo l’esperienza acquisita nei viaggi, utilizzando e perfezionando i migliori strumenti ottenibili in Europa – non registrano soltanto le misurazioni di temperatura e piovosità, ma classificano i venti secondo direzione e intensità, lo stato del tempo (bello, vario, coperto) secondo tredici suddivisioni. I dati fenologici riguardanti le fasi vegetative del frumento, della segale, della colza, della vite, del gelso, di due specie di prugne e del salice piangente costituiscono, insieme con la volontà di costruire una rete regionale di osservatori, altrettante innovazioni scientifiche, che confuterebbero definitivamente le “opinioni volgari” sul clima, soprattutto quelle relative all’influenza della luna (Gentilli, 1966). Cittadella, ragionando in termini di storia sociale, riesce a coniugare le due figure del possidente e dello scienziato, la cui attività è collocata in un contesto friulano, veneto, ma anche, infine, europeo, all’interno del quale troverebbe senso una distinzione tra ricerche climatologiche e ricerche meteorologiche. L’interesse di V. è, infatti, strettamente legato alla previsione del tempo e alle applicazioni in agricoltura delle misurazioni termometriche e pluviometriche; la radiazione solare e la circolazione delle masse aeree non rientrano nei suoi programmi di ricerca. Da questa angolatura il capolavoro di V. mantiene i caratteri e il significato che Malignani gli assegna all’interno della cultura friulana, quando sottolinea con forza i rapporti con Fabio Asquini. Il sapere scientifico di V. è, di fatto, rivolto alle conoscenze pratico-applicative, ma è attento anche al ruolo sociale e civile delle scienze, la cui applicazione è «pensata in funzione del miglioramento delle classi subalterne duramente provate da carestie ed epidemie» (Cittadella, 2007-2008). La modernità di cui V. è sostenitore, se prevede la lotta ai pregiudizi popolari, include tuttavia la costanza delle pratiche religiose tradizionali, disegnando una figura di possidente le cui fortune sarebbero giustificate dai fini sociali che si potrebbero realizzare mediante la scienza, senza staccarsi dai valori della Chiesa cattolica. La beneficenza diventa così non soltanto motivazione profonda di uno stile di vita individuale, ma anche sostegno dell’indagine scientifica. Nella società friulana del tempo non mancano analoghe figure di filantropi, ma indubbiamente V. le comprende e ripropone alla generazione risorgimentale con la testimonianza di una vita.
ChiudiBibliografia
ASUd, Venerio, 3.4 (testamento di Girolamo Venerio, 10 ottobre 1842); ms BCU, Principale, 1523, G. Venerio, Libro ad uso di lettere, MDCCXCVII.
L. FABRIS, In morte di Girolamo Venerio. Elogio letto nella Chiesa di S. Maria Maddalena in Udine il dì 23 marzo 1843, Udine, Vendrame, 1843; C. MALIGNANI, Girolamo Venerio nel centenario della sua morte (1843-1943), «AAU», s. VI, 7 (1940-1943), 229-264; ID., Giulio Asquini primo climatologo udinese, ibid., s. VI, 10 (1945-1948), 1-21; J. GENTILLI, L’opera di Girolamo Venerio e di Giambattista Bassi come precursori della climatologia italiana, «RGI», 73 (1966), 321-327; F. MICELLI, Gerolamo Venerio e l’età della restaurazione, in Età Restaurazione, 198-200; L. CARGNELUTTI, Interessi commerciali e agrari in Friuli e fuori dal Friuli: i primi contratti di assicurazione tra ’700 e ’800, in Le carte sicure. Gli archivi delle Assicurazioni nella realtà nazionale e locale: le fonti, la ricerca, la gestione e le nuove tecnologie, Trieste, Associazione nazionale archivistica italiana - Sezione Friuli Venezia Giulia, 2004, 273-284; A. CITTADELLA, Alpinismo ed esplorazione scientifica in Friuli tra fine Settecento e prima metà dell’Ottocento, «In Alto», 89 (2007), 13-29; ID., Agronomia, scienza e meteorologia in Friuli tra Sette e Ottocento. ... leggi Girolamo Venerio (1777-1843) e l’ambiente scientifico friulano, t.d., Università degli studi di Udine, a.a. 2007-2008; ID., Nascita e sviluppo della meteorologia agraria in Friuli. Girolamo Venerio (1777-1843) e la sua cerchia di collaboratori, «RGI», 115 (2008), 545-575; ID., Progresso e innovazione nelle campagne friulane dell’Ottocento: l’introduzione e diffusione del colzàt, «M&R», 28/2 (2009), 147-174.
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