Giovanni Pietro pittore udinese, vissuto dal 1673 al 1737, è esponente di spicco di quella pittura friulana che, sorda agli insegnamenti di Giulio Quaglio prima, di Ludovico Dorigny e Giambattista Tiepolo dopo, proseguì il suo discorso provinciale nel quale si attardavano elementi riconducibili talvolta addirittura alla tradizione cinquecentesca: rivisitata, com’è ovvio, ma senza slanci emotivi, senza interventi personali, spesso anche senza eccessive capacità tecniche. Più che le figure umane, in ogni modo stereotipe, erano indice dei tempi nuovi i particolari decorativi, che nei festoni di frutta, nelle partizioni architettoniche indicavano l’assimilazione di un certo gusto barocco. Il V. molto operò a Udine ed ebbe anche commissioni di lavoro importanti: suoi sono gli affreschi del soffitto delle chiese di S. Giacomo (uno dei suoi lavori più felici, lodato dai contemporanei, tra i quali il francese Dorigny), di S. Cristoforo e della cappella della Madonna nella basilica della B. V. delle Grazie; suoi anche gli affreschi della chiesetta di S. Giacomo in Tavella a Ribis (1710), della chiesa di S. Silvestro a Cividale, firmati e datati 1706, nei quali professava una certa simpatia per il fare del Quaglio, particolarmente visibile nelle figure dell’Annunciazione, e della chiesa della SS. Trinità a Mortegliano, eseguiti a più riprese, con l’aiuto della figlia Ippolita, dal 1720 al 1733. In questi ultimi, soprattutto nella volta del coro con la Trinità in gloria, si nota una certa difficoltà nell’organizzazione dello spazio, pesantemente saturo, e l’incapacità di suggerire metafisiche visioni celesti. ... leggi Miglior resa cromatica e definizione delle figure presentano in genere le opere di cavalletto, in particolare la bella pala dell’altare di S. Eugenio nella chiesa di S. Giacomo a Udine, «opera lodatissima» come scrive Girolamo Asquini. Da ricordare anche alcune tele nella chiesa di S. Valentino a Udine e la pala del vecchio altar maggiore della parrocchiale di Cussignacco con l’imponente figura di S. Martino vescovo in cattedra tra Santi. Numerose opere, ricordate dai documenti, sono andate perdute: tra queste i tre affreschi del soffitto del duomo di Pordenone (quello centrale raffigurante la Gloria di S. Marco), eseguiti nel 1722 e perduti nel 1882 allorché si rifece il soffitto della chiesa, e le decorazioni della chiesetta di S. Antonio Abate a Flambro, perduti nel crollo del soffitto nel 1981.
G.P. ebbe una figlia, Ippolita (doc. 1737-1774), che pure si dedicò alla pittura. Scrive Girolamo Asquini che «di questa donna vi sono varie opere di sua invenzione, parte cattive e alcune lodevoli, fra le quali conservo io una testa di bifolco che ha tutta la maniera del Piazzetta e che a prima vista si prende per opera dello stesso Piazzetta». Alla sua mano si devono tre dipinti in S. Valentino, uno nel Museo di Udine (un Transito di S. Giuseppe eseguito nel 1743 per l’infermeria dell’ospedale della Misericordia di Udine), uno, raffigurante S. Giacomo, nella sacrestia della chiesa di Nespoledo, oltre a un gonfalone della confraternita del Santissimo nel santuario di Castelmonte (1774). Si ricordano suoi quadri per il monastero udinese dei Sette Dolori e per la chiesa di S. Francesco della Vigna ancora di Udine. A detta del de Renaldis, «dopo l’anno 1743, una passione violenta avendole offuscata la mente, le impedì di più applicarsi a questa professione».
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