Cenni anagrafici su T. Z., raro esempio di scrittura poetica al femminile nel Friuli del Settecento, pur legata a contesto monastico, sono trasmessi in maniera non concorde da Giacomo Baldissera e Vincenzo Joppi. Baldissera fa rientrare l’autrice tra i cittadini di Tarcento degni di nota, identificandola con Orsolina Giovanna Teresa, nata il 22 aprile 1675, figlia di «Leonardo di ser Marco Zaleo e di donna Marietta». Joppi, a cui si deve la conservazione del manoscritto che ne tramanda i versi superstiti, non confortato da evidenze d’archivio, ricorda la presenza degli Zai, oltre che a Tarcento, a Gemona e San Daniele, collocando in quest’ultima località la nascita della poetessa. La Z. divenne terziaria francescana nel monastero di S. Bernardino di Udine, dove, secondo le note di Joppi al manoscritto, professò la regola nel 1696. Le carte tacciono sulle vicende che precedono tale scelta. La scrittura restituisce però gestualità ed eventi che la ispirarono, a ombreggiare, oltre la convenzione letteraria, la personalità dell’autrice. Il manoscritto 169 del fondo Joppi della Biblioteca civica di Udine presenta in copia di mano e provenienza ignota 128 rime della Z., stese tra il 1716 e il 1725 (sempre per Joppi, il copista arretra al 1715), più tre componimenti di Giuseppe Fabrici (LXIX, Canzone del sig. Giuseppe Fabrici a richiesta delle monache sue parenti nella liberazione di Corfù e vittoria riportata da’ Turchi dall’armi imperiali in Ungheria più due sonetti CX e CXI), un sonetto anonimo e alcuni versi di risposta di Enrico di Prampero. Baldissera circoscrive la data di morte di T. Z. intorno al 1735. L’autrice si inserisce nella produzione letteraria settecentesca a suo modo, con versi italiani, veneziani e friulani (fanno comparsa anche due strofe in francese), versi privi di tormenti metrici, di soluzioni retoriche argute, ma documento singolare della pratica del tempo sia sotto il profilo della letteratura italiana sia per gli usi scritti friulani. ... leggi Ne definiscono la specificità l’ambiente conventuale, presupposto o manifesto sfondo alla poesia, i rapporti con l’esterno, la prospettiva femminile. Noto è l’autoritratto La parigine falide, cu mande il so retrat a Cividat sore un pesenal di morons [La parigina fallita, che manda il suo ritratto a Cividale in cambio di un pesenale di castagne] (CXXVII), che tratteggia non senza malizia (quasi grottesca l’insistenza sui particolari fisici sgraziati, sui danni dell’età che avanza, ma è tensione reale il pungolo dell’insonnia) le aspirazioni di una monaca quarantenne dall’incerta salute e dagli strumenti letterari dichiaratamente senza pretese «poetesse par disgratie, / d’ignoranze soprafine» [poetessa per disgrazia / di sopraffina ignoranza]. Secolo dell’Arcadia e delle accademie, il Friuli del Settecento predilige gli studi storico-eruditi o scientifici, non distinguendosi particolarmente per lo scandaglio dei filoni letterari. T. Z. si stacca, insieme con Giulia Arcoloniani che scrive a fine secolo, per l’intonazione mistica, mentre le rime friulane la annoverano come prima penna femminile. I suoi componimenti seguono una vena prolissa e facile, che si addentra nel tema devozionale, sfiora pieghe intime (la morte del fratello, la riflessione sull’amicizia o gli inganni degli amori terreni), si offre a lode di notabili e loro consorti, a descrizione di accadimenti, o celebra riti di monacazione. Concessione all’Accademia è il destinatario palese, la rima in risposta o in accompagnamento di doni, nonché lo spunto quotidiano, che si dilata, con addentellati barocchi, a dismisura. Prevalgono le poesie in italiano, e tra queste emerge il motivo religioso (scarsamente personali e riuscite le Ottave divote sopra alcuni punti degl’Evangeli della quadrigesima: una per ciascun giorno, IX-LVI, più composta la Pastorale o veglia sacra, VII), accanto ai versi encomiastici e alle poesie su commissione, ai testi ispirati dai contatti con il mondo esterno, all’inclinazione scherzosa o alla indulgente nota morale. Suscita interesse, oltre che la duttilità, l’imitazione delle rime religiose di C. Maria Maggi (modelli secenteschi più scontati sono le opere sacre di Francesco De Lemene e il misticismo di monsignor Petrucci), a tratti pedissequa, che risalta in testi riusciti come la Pastorale, la Perdita dell’amica. Riflessioni morali, LXI, la Cantata, LXII. Parte residua di un più consistente corpus (non grave danno la perdita secondo Chiurlo, che marca la trama grossolana dei versi), il codice restituisce nelle parti finali due componimenti in veneziano (in Lode dei maroni, CXXI, e Monitorio […] a una pantegana, CXXII) e sei in friulano (tra i quali La parigine falide e il Lament de puare muinie a Anne Marie Prampare, cu mandave dordeis […], CXXVIII, [Lamento della povera suora a Anna Maria Prampero, che mandava tordi (…)], che declinano apertamente la tonalità burlesca.
ChiudiBibliografia
Ms BCU, Joppi, 169, T. Zai, Poesie di T. Z. monaca terziaria francescana nel monastero di S. Bernardino in Udine 1715-1725.
B. CHIURLO, Due monache friulane rimatrici nel settecento, «Bollettino della civica biblioteca e del museo», 4/1 (gennaio-marzo 1910), 19-31; G. BALDISSERA, Cittadini illustri e benemeriti di Tarcento, Gemona, Toso, 1934, 127-130; G. MARCOTTI, Donne e monache. Quindici secoli di vita friulana tra cronaca e storia, Firenze, Barbera 1884 (= Udine, Tarantola Tavoschi, 1975), 323-328; M.A. FANNA, I versi di Teresa Zai, t.l., Università degli studi di Trieste, Facoltà di lettere e filosofia, a.a. 1996-97.
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