Nacque a Loncon di Annone Veneto (Venezia), paese non molto lontano da Concordia, il 6 ottobre 1910 e morì a Padova il 6 maggio 1971. Compiuti gli studi medi e quelli teologici nel Seminario di Pordenone e presso i salesiani di Monteortone (Padova), ricevette l’ordinazione sacerdotale a Padova dalle mani del vescovo Carlo Agostini nel 1943. Due anni prima si era laureato presso l’Ateneo patavino con una brillante dissertazione sulle antichità cristiane di Verona, discussa con Sergio Bettini, che, considerati gli ottimi risultati di quel lavoro, volle affidargli uno studio su La Chiesa dei Pagani di Aquileia, come tesi di perfezionamento in storia dell’arte nella Scuola storico-filologica delle Venezie. Lo studio di quel piccolo e singolare monumento che collega l’atrio della basilica patriarcale al battistero paleocristiano di Aquileia fu pubblicato nel 1944 con la prefazione dello stesso Bettini, da cui apprendiamo che Z. seppe condurre tale indagine al miglior risultato, aiutato nello scavo dall’impareggiabile e dottissimo Giovanni B. Brusin. Il dato risolutivo della sua ricognizione stava nell’aver provato, con sondaggi tecnici mai prima tentati, la contemporaneità del vano oblungo e del vano quadrato di quel corpo di fabbrica chiamato “Chiesa dei Pagani” e conseguentemente di aver riferito al secolo IX anche il vano quadrato e cupolato, che prima poteva essere considerato almeno ipoteticamente un relitto paleocristiano inserito nella serie dei sacelli paleocristiani cupolati, come il battistero di Napoli, S. Prosdocimo di Padova e S. Maria Materdomini di Vicenza, edifici indubbiamente della fine del secolo V o degli inizi del VI. In questi primi, promettenti inizi di Z., vediamo dunque affacciarsi due grandi nomi, Bettini e Brusin, portatori di diverse metodologie, quella filologico-artistica di Bettini e quella filologico-archeologica di Brusin: entrambe avrebbero segnato per il futuro gli studi e la produzione scientifica di Z., sempre attento al dato archeologico ed epigrafico, come a quello formale, quando il reperto avesse avuto una qualche pretesa d’arte. ... leggi Così, acquisito ormai il metodo di lavoro e attrezzato di un’ottima e vasta cultura di base, qualche anno dopo egli intravide l’opportunità di volgere lo sguardo a Concordia, che non era poi l’ultima nell’assetto istituzionale del mondo antico e che dalla fine dell’Ottocento era venuta alla ribalta per la sensazionale scoperta del sepolcreto di levante e delle epigrafi cristiane, grazie all’opera di Dario Bertolini. Nel 1945 Z. fu nominato conservatore del Museo nazionale concordiese di Portogruaro e furono affidati alle sue cure i monumenti dell’arte provinciale romana e paleocristiana di Iulia Concordia: sarcofagi ed epigrafi importanti di quel grande sepolcreto di soldati e di cristiani, ottimo materiale «ancora da sfruttare seriamente per lo studio delle origini della chiesa concordiese», secondo quanto nel 1950 scriveva Z., auspicando «ulteriori fruttuose esplorazioni archeologiche su vasta scala», dopo i cospicui risultati delle indagini già intraprese con intelligente passione nell’Ottocento e di quelle anche da lui stesso ultimamente compiute. In effetti nel 1948 egli aveva pubblicato nella rivista «Epigraphica» un saggio su Le epigrafi latine e greche nei sarcofagi paleocristiani di Iulia Concordia, convinto che la vita e l’organizzazione di Concordia paleocristiana nella metà del secolo IV e per tutto il V fossero note dai monumenti del celebre sepolcreto, riferibili appunto a quel periodo, meglio forse che dal discorso In dedicatione ecclesiae Concordiensis, riportato dal Florilegium Casinense e solo in seguito rivendicato a Cromazio di Aquileia dal benemerito p. Joseph Lemarié, e ancor meglio che dalla controversa testimonianza dei martiri concordiesi. Dalle epigrafi latine che menzionano l’“ecclesia Concordiensis”, come dalle greche con riferimento alla disciplina battesimale, Z. riteneva di poter concludere che, nella seconda metà del secolo IV, la Chiesa di Concordia dovesse essere già organizzata col suo clero, guidato da un capo responsabile, e che il cristianesimo qui fosse penetrato subito dopo la pace costantiniana. Nonostante le cospicue documentazioni sulla vita di Concordia romana e cristiana, Z. nel 1950 era costretto a lamentare la mancanza di sicure tracce di costruzioni romane e paleocristiane, quasi che tutto fosse stato travolto e distrutto dall’opera nefasta dei cavatori di pietra. Ma una zona era sembrata a lui intatta, anche perché adibita a cimitero fino all’Ottocento, e perciò tale da riservare sorprese, quella cioè adiacente alla basilica cattedrale e al battistero romanico del vescovo Regimpoto. Lo scavo da lui intrapreso tra il maggio e il giugno del 1950, per iniziativa e incarico della Soprintendenza alle antichità del Veneto, e in seguito allargato da Giulia Fogolari, confermò per larga parte le sue ipotesi. Nel 1950 Z. conseguì la libera docenza in archeologia cristiana e insegnò come professore incaricato nell’Università di Trieste; da allora fu socio corrispondente della Deputazione di storia patria delle Venezie; dal 1952 deputato alla Deputazione di storia patria per il Friuli; nel 1957 l’Università di Padova gli affidò l’incarico d’insegnamento dell’archeologia cristiana e nel 1968 lo chiamò a ricoprire la cattedra come professore ordinario; nel 1966 fu insignito dell’onorificenza pontificia di cameriere segreto soprannumerario. Autore di numerose monografie, nel 1957 firmò assieme a Brusin l’opera tuttora fondamentale Monumenti paleocristiani di Aquileia e di Grado, pubblicata dalla Deputazione di storia patria per il Friuli, in cui Z., raccogliendo e sistemando una serie di precedenti studi, dedicò a Grado 165 pagine per illustrare l’archeologia e l’arte di quella che chiamava «la Ravenna del Nord». Nel 1958 pubblicò il volume Architetture paleocristiane della Venezia in epigrafi commemorative e nel 1963 Mosaici paleocristiani delle Venezie, a coronamento di una serie di saggi sull’arte musiva avviata fin dal 1955. Nel 1960 uscirono i Monumenti romani e cristiani di Iulia Concordia, opera ancora una volta firmata assieme a Brusin. L’ampia bibliografia, le collaborazioni di Z. con numerose testate e gli interventi a congressi in circa trent’anni di attività mostrano i suoi interessi di studio, che si concentrano specialmente su Concordia, Grado, Aquileia e Verona e sui puntuali rapporti che la produzione artistica di questi centri ha avuto col mondo occidentale e orientale: in definitiva, la sua è stata un’opera che ha segnato un balzo in avanti nel dilatato orizzonte dell’archeologia friulana e veneta e della cultura ecclesiastica.
ChiudiBibliografia
R. POLACCO, Paolo Lino Zovatto, «MSF», 50 (1970) [ma 1972], 255-258; S. BETTINI, Ricordo di Paolo Lino Zovatto, «Aquileia Nostra», 42 (1971), 143-146; G. BRUSIN, Paolo Lino Zovatto, «Archivio veneto», s. V, 43 (1971), 145-156; P. ZOVATTO, Mons. Paolo Lino Zovatto (1910-1971), San Daniele del Friuli, s.n., 1972; ID., Mons. Paolo Lino Zovatto, «AAAd», 6 (1974), 577-587.
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